Frederik Pohl - Gli antimercanti dello spazio

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Gli antimercanti dello spazio: краткое содержание, описание и аннотация

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Sono passati trent’anni da quando Frederik Pohl inventò quei
che Kingsiey Amis nelle sue
mise al disopra dello stesso
di Orwell. Fu allora che dagli uffici di Madison Avenue le grandi compagnie pubblicitarie assunsero il controllo della Terra, ma fecero lo sbaglio di mandare un’astronave sul pianeta Venere. Oggi Venere è il rifugio dei refrattari e dei ribelli, il simbolo dell’anti-pubblicità, la bandiera dei nemici della produzione e del consumo. I rapporti tra i due pianeti si fanno ogni giorno più difficili. La situazione insomma è così tesa, che Frederik Pohl ha sentito la necessità di scrivere un nuovo romanzo sullo scottante argomento. E l’ha scritto.

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Quando entrai nel mio ufficio, Dixmeister mi guardò ad occhi spalancati, come gli altri. — Accidenti, signor Tarb — disse. — Sembrate scoppiare di salute! La vacanza vi ha fatto proprio bene!

Annuii. Mi stava dicendo solo quello che mi avevano detto nelle ultime mattine la bilancia e lo specchio. Avevo riguadagnato dieci chili. Non tremavo più. Non mi sentivo più neppure teso. Perfino i cartelloni luminosi e sonori della pubblicità non mi avevano risvegliato alcun desiderio, mentre percorrevo le strade. — Vai pure avanti col tuo lavoro — gli dissi. — Devo sentire Mitzi Ku prima di riprendere.

La cosa non fu facile. La prima volta che provai lei non c’era. Non c’era neppure la seconda, e quando la trovai, al terzo tentativo, c’era ma stava uscendo. — Il signor Haseldyne l’aspetta — l’avvertì la Terza Segretaria, ma Mitzi lo lasciò aspettare. Chiuse la porta. Ci baciammo. Poi lei fece un passo indietro.

Mi guardò. La guardai. Mi disse con aria sorpresa: — Tenny, ti trovo bene .

Io dissi: — Anche tu stai bene — e aggiunsi, per amore della verità: — per me. — Perché in realtà lo specchio di Mitzi non sarebbe stato così generoso con lei quanto il mio. Aveva un’aria terribilmente stanca, in effetti, ma al di là di questo fatto oggettivo c’era il fatto soggettivo che a me non importava che aspetto avesse: bastava che fosse con me. Data la sua carnagione, le occhiaie non sembravano così terribili. Ma c’erano; aveva l’aria di chi ha dormito poco, e forse ha saltato qualche pasto… ma ai miei occhi sembrava sempre splendida.

— È stato brutto, Tenny?

— Passabilmente brutto. — Avevo vomitato parecchio, avevo frugato in ogni angolo per cercare qualcosa con cui tagliarmi la gola. Ma non c’ero riuscito, e avevo avuto le convulsioni solo un paio di volte. Lasciai cadere il discorso. — Mitzi — dissi, — ho due cose importanti da dirti.

— Certo, Tenny, ma adesso ho tante di quelle cose da fare…

La interruppi. — Mitzi, voglio sposarti.

Lei serrò le mani. Il suo corpo si irrigidì. Spalancò tanto gli occhi, che temetti che le lenti a contatto le saltassero fuori.

Dissi: — Ho avuto un sacco di tempo per pensarci al Centro. Parlo sul serio.

Da fuori giunse il brontolio impaziente di Haseldyne. — Mitzi! Vogliamo andare?

Silenziosamente, automaticamente, lei tornò in vita. Prese la borsetta, aprì la porta, il tutto senza staccare gli occhi da me. — Muoviti — sbraitò Haseldyne.

— Vengo — disse lei; e rivolta a me, mentre si dirigeva verso l’ascensore: — Caro Tenny, non posso parlare adesso. Ti telefono.

E dopo aver fatto due passi, si voltò e tornò da me. E di fronte a Dio e a tutti quanti, mi baciò. Appena prima di sparire nell’ascensore, sussurrò: — Mi piacerebbe.

Ma non mi telefonò. Per tutta la giornata non sentii la sua voce.

Dal momento che non avevo mai proposto a nessuna di sposarmi, prima, non avevo alcuna esperienza che potesse indicarmi se quella era una reazione ragionevole. A me non pareva. Mi pareva piuttosto che fosse un comportamento tipico di Mitzi; non questa Mitzi, ma quell’altra di ottone che era rimasta su Venere, che quando avevamo fatto l’amore per la prima volta, e io avevo finito molto prima di lei mi aveva detto che avrei fatto meglio a stare più attento la prossima volta, altrimenti… Comunque, era una brutta sensazione. Ero sospeso nell’incertezza. E non le avevo detto l’altra cosa importante.

Per fortuna, c’erano un sacco di cose per tenermi occupato. Dixmeister aveva mandato avanti la baracca come ci si poteva aspettare: decentemente. Ma lui non era me. Lo tenni alzato fino a notte inoltrata, esaminando i suoi errori e ordinando cambiamenti. Quando poté andare a casa, era distrutto e irritato. Quanto a me, buttai una moneta per decidere dove passare la notte, e persi. Mi infilai m un albergo con letti privati a pochi isolati dall’ufficio, e tornai al lavoro la mattina presto. Quando andai all’ufficio di Mitzi, la sua Terza Segretaria mi disse che la Seconda Segretaria le aveva detto che la signorina Ku sarebbe stata fuori tutta mattina, insieme alla Prima Segretaria. Passai l’ora di pranzo (tutti i venticinque minuti che mi erano restati, cioè, perché una giornata non era stata sufficiente a rimettere in moto le cose nella direzione giusta) seduto nell’anticamera di Mitzi, usando il telefono della sua Prima Segretaria per far trottare Dixmeister. Mitzi non comparve. L’impegno della mattina era stato prolungato.

Quella sera andai nell’appartamento di Mitzi.

La porta mi lasciò entrare, ma Mitzi non c’era. Non c’era quando arrivai, alle dieci, e neppure a mezzanotte, e neanche quando mi svegliai alle sei, aspettai un po’, mi vestii e tornai in ufficio. Oh sì, signor Tarb, mi disse la sua Terza Segretaria, la signorina Ku aveva chiamato durante la notte per dire che era stata chiamata fuori città per un tempo indefinito. Si sarebbe messa lei in contatto con me. Presto.

Ma non fu così.

Una parte della mia testa archiviò quel fatto senza alcun commento, e continuò con quello che stava facendo. Che era di portare a compimento gli ordini ricevuti. Quello che Mitzi voleva da me, era far eleggere alcuni candidati. Era già settembre, e mancavano poche settimane alle «elezioni». C’erano molte cose per tenermi occupato, e quella parte della mia mente sfruttava o minuto a disposizione. E anche ogni minuto a disposizione di Dixmeister, e di tutti quelli del dipartimento Intangibili (Politica). Quando passavo per il corridoio, la gente degli altri dipartimenti distoglieva gli occhi e si toglieva di mezzo… per paura che li arruolassi a turni di dodici ore al giorno, immagino.

L’altra parte della mia testa, quella nuova, che avevo scoperto al Centro, non se la cavava tanto bene. Stava male. Non solo per Mitzi, ma per il dolore di quell’altra cosa che avevo dentro, e che non le avevo detto. Poi il fattorino interno schizzò nel mio ufficio il tempo sufficiente per lasciar cadere una busta sul tavolo, e sparire.

Era una lettera di Mitzi. Diceva:

Caro Tenny, la tua idea mi face. Se usciremo vivi da questa faccenda, spero che lo vorrai ancora, perché io lo vorrò, moltissimo. Ma questo non è un momento adatto per parlare d’amore. Sono sottoposta a disciplina rivoluzionaria, Tenny, e anche tu. Ti prego, non cambiare idea…

Con tutto l’amore di cui ora posso dirti…

Mitzi

Ancora una volta, la lettera si incendiò e mi bruciò le dita prima che la lasciassi cadere. Ma non importava. Era una risposta!… Ed era la risposta giusta!

Rimaneva la questione di quell’altra cosa che volevo dirle.

Così continuai a tormentare la Terza Segretaria, e quando lei mi disse che sì, la signorina Ku era tornata in città quella mattina, ma era andata direttamente a una riunione urgente, da qualche parte, non potei aspettare.

Anche perché sospettavo dove poterla trovare.

— Tarb! — gridò Semmelweiss. — … Volevo dire, signor Tarb, che piacere rivedervi! Vi trovo veramente bene!

— Grazie — dissi, guardandomi intorno. Le presse sbuffavano, sferragliavano, martellavano, espellendo anelli di tenuta a milioni. Il rumore era lo stesso, la sporcizia era la stessa, ma mancava qualcosa. — Dov’è Rockwell? — chiesi.

— Chi? Oh, Rockwell. È vero, lavorava qui. Gli è capitato un incidente. Abbiamo dovuto licenziarlo. — Il suo sorriso si fece nervoso vedendo la mia espressione. — Be’, non era più in grado di lavorare, capite. Due gambe rotte, e una faccia… Comunque, voi vorrete andare al piano di sopra, vero? Prego, signor Tarb! Penso che siano tutti su. Non si sa mai, con tutte quelle entrate e quelle uscite. Comunque, dico io, se pagano l’affitto puntualmente, che bisogno c’è di tare domande?

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