Non mi ero reso conto che lei era più tesa di me. — Credi? — sbraitò. — Cristo, Tenny, anche per un mokomane sei… eh, eh… sei proprio stupido… eh…
Quando il ciù arrivò fu violento. Lei si mise le mani sulla faccia. — Al diavolo! — grugnì. Si inginocchiò per terra, frugando in mezzo alla polvere, e quando alzò la faccia inviperita, uno dei suoi occhi blu era marrone.
Immagino che se non fossi stato un mokomane, l’avrei capito da un pezzo. Mangiava insalata. Lenti a contatto per nascondere il colore degli occhi. Evitava la madre che voleva disperatamente vederla. Mi chiamava «imbroglione» quando si arrabbiava. Un’altra dozzina di piccole incongruenze.
E una sola spiegazione si adattava a tutte.
Immagino che se non fossi stato prima un mokomane, e poi un succhia-pillole, avrei reagito in maniera completamente diversa. Chiamando la polizia, per esempio. O almeno avrei cercato di farlo, anche se questo mi sarebbe probabilmente costato la vita. Ma ero stato torchiato. Quello che lei stava facendo era forse terribilmente sbagliato. Ma non mi era rimasto nulla a cui potessi credere.
Fu come se avessi tutto il tempo del mondo. Presi dalla tasca il mio notes, scrissi rapidamente, poi strappai la pagina e la piegai. — Mitzi — dissi facendo un passo verso di lei, senza curarmi della lente persa, — tu non sei Mitzi, vero?
Come se si fosse congelata, lei mi fissò con un occhio azzurro e uno marrone.
— Tu non sei Mitzi, vero? — chiesi. — Sei un agente venusiano. Un falso della vera Mitzi Ku.
Haseldyne emise un lungo respiro. Lo sentii muoversi verso di me, pronto ad agire. — Leggete qui! — dissi, e gli misi in mano il foglio. Lui quasi non si fermò, poi gettò un’occhiata al foglio, aggrottò la fronte, sembrò sorpreso e lesse ad alta voce:
— Non posso più sopportare questa vita da drogato. Il suicidio è per me l’unica via d’uscita. Firmato Tennison Tarb. Cosa diavolo vorrebbe dire, Tarb?
Glielo spiegai. — Usatelo se volete liberarvi di me. Oppure lasciate che vi aiuti. Vi aiuterò come meglio potrò, in ogni modo che potrò, qualunque cosa stiate facendo. Non m’importa cos’è. Lo so che siete Venusiani. Non mi importa.
E aggiunsi:
— Per favore.
Una volta c’era questo Mitchell Courtenay, a cui sono intitolate metà delle strade su Venere. Loro credono che sia un eroe, ma quando la mia insegnante delle medie ci raccontava di lui nelle lezioni di storia, pronunciava il suo nome con disgusto. Come me, lui era un redattore pubblicitario di prima classe. Come me, era stato preso da una crisi di coscienza che lui non aveva voluto, e da cui non sapeva come uscire.
Come me, era un traditore.
È una parola che uno non vuole sentir applicata a se stesso. — Tennison Tarb — urlai con tutto il fiato (nel frastuono della metropolitana, sul convoglio della sera per Bensonhurst, dove nessuno poteva sentire le parole, neppure io) — Tennison Tarb, tu sei un traditore delle Vendite!
Neppure un’eco mi rispose. O se lo fece, venne sommerso dal rombo del tunnel. Non provai alcun dolore per quella parola, anche se sapevo che era giusta, e che mi condannava.
Immagino che fossero le pillole verdi ad attutire il dolore, insieme a tutti gli altri dolori che non sentivo più. Questa era la mia fortuna; ma l’altra faccia della medaglia, era che non sentivo alcuna gioia per essere ancora un pubblicitario. Su e giù. Su e giù. Per quanto sarei rimasto su, questa volta, non potevo immaginarlo, ma adesso c’ero.
Avrei esultato, se il mondo non fosse stato così grigio, e se non fosse stato così grigio, avrei potuto tremare ancora di paura, perché c’era mancato poco, nel capannone abbandonato della fabbrica. Potevo vedere i piani formarsi l’uno dopo l’altro nella mente calcolatrice di Haseldyne: fracassargli la testa, e poi ficcarlo sotto una pressa per nascondere ogni indizio; drogarlo e buttarlo giù da qualche finestra; procurarsi qualche estratto di Mokie e farlo fuori mediante overdose… questo era il sistema più facile e sicuro. Ma non lo fece. Mitzi disse che voleva darmi una possibilità, e Haseldyne non si oppose.
Però non mi restituì la nota con cui annunciavo il mio «suicidio».
Quando guardavo alla vita che mi attendeva, vedevo aprirsi due abissi. Da una parte, Haseldyne si serviva della lettera, e questa sarebbe stata la fine di Tennison Tarb, per sempre. Dall’altra parte, venivo scoperto, arrestato, lobotomizzato. Fra le due possibilità, c’era uno strettissimo passaggio su cui potevo sperare di camminare… e che portava a un futuro in cui il mio nome sarebbe stato in eterno maledetto da generazioni di scolari.
Era una gran fortuna che avessi le pillole verdi.
Dal momento che ero destinato a camminare su quello stretto sentiero, andai avanti. Mi feci la barba, stirai il vestito, mi misi elegante… per quanto me lo permettevano i soldi rimastimi, e i servizi dell’appartamento di Bensonhurst, e Topo aver superato genitori sonnambuli e ragazzini piangenti. La lunga corsa nei tunnel umidi della metropolitana fece sparire la piega degli shorts e mi cosparse di fuliggine i capelli appena lavati, ma comunque ero ragionevolmente presentabile quando entrai nell’atrio della Haseldyne & Ku. Qui un agente della Wackerhut controllò le mie impronte, mi attaccò al colletto un permesso magnetico temporaneo, e mi spedì all’ufficio di Mitzi. Alla porta dell’ufficio, perlomeno, dove il suo nuovo Secondo Segretario mi bloccò. Non l’avevo mai visto, ma lui evidentemente mi conosceva, perché mi chiamò per nome. Dovetti sottopormi a certe formalità. Il Secondo Segretario aveva messo in moto tutto l’Ufficio Personale; c’era la copia di un contratto pronto per ricevere l’impronta del mio pollice, e non appena ebbi firmato lui mi fornì un cartellino di identità dell’Agenzia e due settimane di paga anticipate.
Così, fu con il mio conto in banca rifornito che finalmente feci ingresso nell’ufficio di Mitzi. Era un ufficio di prima classe sontuoso e impressionante quanto quello del Vecchio alla T.G.&S. C’erano una scrivania, un divano, con bar e video, tre finestre e due sedie per gli ospiti. L’unica cosa che mancava era Mitzi Ku. Al suo posto, seduto dietro la scrivania, c’era Des Haseldyne che mi guardava torvo, e sembrava più grosso che mai. — Mitzi è occupata — disse. — Mi occuperò io di voi.
Annuii, anche se l’idea che Des Haseldyne si occupasse di me non era fra le mie massime aspirazioni. — Possiamo parlare qui? — chiesi.
Lui sospirò pazientemente, e indicò le finestre. Mi accorsi allora che finestre e porta mostravano il lieve scintillio di uno schermo antispie: nessun marchingegno elettronico poteva trasmettere fuori dalla stanza, mentre lo schermo era attivo. — Bene — dissi. — Mettetemi al lavoro.
Lui sembrò stranamente esitante. — In effetti non abbiamo un posto per voi — grugnì alla fine.
Questo era ovvio. Non ero entrato nei loro calcoli fino a quando non mi ci ero messo dentro. Non pensavo che qualsiasi idea potessi offrire gli sarebbe sembrata buona; forse poteva ascoltare Mitzi, ma non avrebbe mai ascoltato me. Comunque, cercai di indorargli la pillola. — Mitzi ha parlato di Politica… sono un mago m questo campo — proposi.
— No! — Chiaro, brutale, definitivo. Ma perché agitarsi tanto? Alzai le spade e riprovai.
— Ci sono altri Intangibili… per esempio la Religione. O qualunque genere di prodotto…
— Non è il nostro campo — grugnì lui, scuotendo il testone. Alzò una mano per bloccare altri inutili suggerimenti da parte mia. — Ci vuole qualcosa di molto significativo — disse deciso.
Illuminazione. — Ah — dissi. — Capisco. Volete un’azione dimostrativa. Volete che faccia qualcosa che provi la mia lealtà. Volete che commetta un vero crimine, giusto? In maniera che non possa più tornare indietro. Cosa volete da me? Che uccida qualcuno?
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