Frederik Pohl - Gli antimercanti dello spazio

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Sono passati trent’anni da quando Frederik Pohl inventò quei
che Kingsiey Amis nelle sue
mise al disopra dello stesso
di Orwell. Fu allora che dagli uffici di Madison Avenue le grandi compagnie pubblicitarie assunsero il controllo della Terra, ma fecero lo sbaglio di mandare un’astronave sul pianeta Venere. Oggi Venere è il rifugio dei refrattari e dei ribelli, il simbolo dell’anti-pubblicità, la bandiera dei nemici della produzione e del consumo. I rapporti tra i due pianeti si fanno ogni giorno più difficili. La situazione insomma è così tesa, che Frederik Pohl ha sentito la necessità di scrivere un nuovo romanzo sullo scottante argomento. E l’ha scritto.

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Sogni, pensavo… con invidia, perché le pillole verdi non solo eliminavano il bisogno di Mokie, ma avevano tarpato anche le ali ai miei sogni. È una cosa terribile svegliarsi alla mattina e rendersi conto che il giorno appena iniziato non sarà migliore di quello precedente.

2

Cosa cambiò la situazione? Non lo so. Non ci fu nulla. Non presi nessuna decisione, non ottenni la risposta a nessuna domanda irrisolvibile. Ma una mattina mi alzai presto, presi un’altra linea a una stazione diversa, e risalii alla superficie in un punto dove da tempo non ero più stato, e mi presentai all’appartamento di Mitzi.

La porta aprì le sue mascelle per annusarmi la punta delle dita e leggermi le impronte del palmo. Ebbi successo a metà. Non mi fece entrare, ma non mi bloccò neppure la mano, fino a quando non fossero arrivati i poliziotti. Un minuto dopo, la faccia assonnata di Mitzi apparve sullo schermo. — Sei proprio tu — disse; pensò un momento, poi aggiunse: — Tanto vale che tu venga su.

La porta si aprì il tempo sufficiente per farmi passare, e mentre salivo appeso alla maniglia dell’ascensore, cercavo di capire cosa c’era di strano nel suo aspetto. I capelli in disordine? Evidentemente l’avevo fatta alzare. L’espressione? Forse. Non era sembrata particolarmente contenta di vedermi.

Scacciai la domanda in un angolo della mente, dove si stava accumulando una montagna di domande senza risposta e di dubbi vari. Quando mi fece entrare, si era lavata la faccia, e si era annodata un foulard attorno ai capelli. L’unica espressione che avesse era di cortese curiosità. Cortese e distante. — Non so perché sono qui — dissi. — Solo che… be’, non avevo nessun altro posto dove andare. — Non avevo avuto intenzione di dire così. Non avevo avuto nessuna intenzione, ma mentre le parole mi uscivano di bocca e le sentivo, mi accorgevo che erano vere.

Lei guardò le mie mani vuote, le tasche altrettanto vuote. — Non ho Mokie, qui, Tenny.

Feci un gesto. — Non bevo più Mokie. No, non le ho eliminate. Le ho sostituite.

Lei spalancò gli occhi. — Pillole? Capisco perché hai un’aria distrutta.

Con calma dissi: — Mitzi, non sono pazzo, e non penso che tu mi debba qualcosa, ma pensavo che mi avresti ascoltato. Ho bisogno di un lavoro. Un lavoro che mi permetta di usare le mie capacità, perché adesso, per quello che faccio, potrei anche essere morto, e una mattina non sarò capace di svegliarmi perché non riuscirò a vedere la differenza. Sono sulla lista nera, lo sai. Non è colpa tua; non dico questo. Ma tu sei la mia sola speranza.

— Ah — disse lei. L’espressione di cortese curiosità sparì, e per un momento pensai che stesse per piangere. — Ah, Tenny… Vieni in cucina e facciamo colazione.

Anche quando il mondo è tutto grigio, quanto tutte le circostanze sono talmente diverse da quelle che avete conosciuto prima, che la vostra mente si morde la coda, le abitudini e l’educazione vi fanno tirare avanti. Osservai Mitzi spremere le arance (veri frutti! Spremuti!), e macinare semi di caffè per fare il caffè, e nel frattempo snocciolavo il mio discorsetto come se fossi davanti al Vecchio. — Il prodotto, Mitzi. L questa la mia specialità, e ho pensato nuove campagne promozionali. Per esempio: non ti è mai venuto in mente che è un grosso fastidio usare i prodotti da gettare: fazzoletti di carta, rasoi, spazzolini da denti, pettini? Bisogna sempre averne una scorta. Se invece uno ne avesse di permanenti…

Lei aggrottò la fronte. I solchi erano evidenti. — Non capisco dove vuoi arrivare, Tenny.

— Un sostituto permanente per i fazzolettini, per esempio. Ho fatto delle ricerche. Una volta li usavano di stoffa. Un articolo di lusso, capisci? Di prestigio, e quindi caro.

Lei disse dubbiosamente: — Però non hanno un mercato illimitato. Se sono permanenti…

Scossi la testa. — L permanente solo fino a quando il consumatore vuole tenerlo. Il segreto è la moda. Il primo anno li vendiamo quadrati. Quello dopo triangolari, per esempio… poi con disegni e colori diversi, magari con dei ricami; se fai i conti, ti accorgi che il guadagno lordo è maggiore che con i prodotti a perdere.

— Non è male come idea, Tenny — ammise lei, mettendomi davanti una tazza del suo caffè. In effetti non era male.

— Questa è solo una, e delle meno importanti — dissi inghiottendo il primo sorso. — Ne ho delle altre più grosse. Molto grosse. Val Dambois ha cercato di portarmi via i gruppi di auto-sostituzione, ma non si immagina cosa altro si potrebbe tirarne fuori.

— Perché, c’è dell’altro? — disse guardando l’orologio.

— Puoi scommetterci! Non mi hanno lasciato andare fino in fondo, ecco il guaio. Vedi, dopo che i gruppi si sono formati, ogni membro cerca altri membri. Per ognuno che ne trova prende una percentuale. Se procura dieci membri, a cinquanta dollari l’anno ciascuno, ha una percentuale del dieci per cento su ognuno… questo serve a pagare la sua quota.

Lei strinse le labbra. — Suppongo sia un buon sistema per espandersi.

— Non solo per espandersi! Come si fa a reclutare questi nuovi membri? Si dà una festa nel proprio condominio. Si invitano amici. C’è da mangiare, da bere, dei regalini (e i regalini glieli vendiamo noi), e poi… — tirai un profondo respiro. — Poi viene il bello. Il membro che recluta nuovi membri viene promosso. Diventa Socio Onorario, e la sua quota sale a settantacinque dollari. Con venti iscritti, diventa Consigliere… quota, cento dollari. Con trenta è… non so… Eminentissimo Eccellente Selezionatore, o qualcosa del genere. Vedi, noi gli stiamo sempre davanti: per quanti membri raccolga, ci ripaga la metà della sua quota… e noi continuiamo a vendergli la mercanzia.

Mi accomodai col mio caffè, osservando la sua espressione. Qualsiasi fosse. Avevo pensato che potesse essere di ammirazione, ma non riuscivo a capire bene. — Tenny — disse lei con un sospiro, — sei il più colossale imbroglione che abbia mai conosciuto.

E ancora una volta, questo fece scattare qualcosa. Misi giù la tazza con tale forza che un po’ di caffè si rovesciò sul piattino. Ascoltai le parole uscirmi dalla bocca, e anche se non avevo progettato di dirle, riconobbi che erano vere. — No — dissi, — non lo sono. Per quello che vedo, non sono niente di niente. La ragione per cui voglio tornare al mio lavoro è che mi pare che devo volerlo. Ma quello che voglio veramente è solo…

E mi fermai lì, perché avevo paura a finire la frase con la parola «te»… e perché mi ero accorto che la voce mi tremava.

— Vorrei — dissi disperatamente, e pensai un minuto prima di continuare:

— Vorrei che questo fosse un mondo diverso.

Voi cosa pensate che volessi dire con quelle parole? Non è una domanda retorica. Non conoscevo la risposta allora, e non la conosco adesso; il mio cuore diceva qualcosa che la mia mente non aveva ancora preso in considerazione. Immagino che la domanda non sia così importante. Quello che contava era il sentimento, e vidi che aveva toccato Mitzi. — Oh, accidenti, Tenny — disse, e abbassò gli occhi.

Quando li rialzò, mi scrutò un momento prima di parlare. — Lo sai — disse, rivolgendosi più a se stessa, mi parve, che a me — che mi tieni sveglia la notte?

Esterrefatto, cominciai: — Non immaginavo… — ma lei non mi lasciò continuare.

— È assurdo — disse pensierosamente. — Perché tu sei un imbroglione. È vero che adesso te la passi male, e che pensi cose che non ti saresti permesso di pensare qualche settimana fa. Ma sei sempre un imbroglione.

Non per essere polemico, ma per la precisione, dissi: — Sono un pubblicitario, Mitzi. — Non era da lei usare quel linguaggio.

Fu come se non mi avesse sentito. — Quando ero piccola, mio padre mi diceva che se mi innamoravo, non avrei più potuto farci niente, e che la cosa migliore per me era stare lontano dal tipo di uomo che mi avrebbe fatto innamorare. Avrei dovuto dare ascolto a mio padre.

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