— E per aiutarti nella tua missione — disse lei, — sarà meglio che ti spieghi quali sono i tuoi doveri. Ci sono due generi di persone che verranno da te per aiuto. Il primo, è composto da quelli che sono preoccupati per qualche cosa: hanno ricevuto una lettera dalla fidanzata o dal fidanzato che vuole piantarli, oppure pensano che la loro mamma stia male, o sono convinti di diventare pazzi. Il modo per aiutarli, è dirgli che non si preoccupino e dargli un permesso di ventiquattr’ore. Il secondo genere, è quello dei piantagrane. Non sanno stare in formazione, dormono durante le guardie, non superano l’ispezione. Quello che devi fare con loro, è mandare una nota al sergente maggiore, dicendogli di sospendere per una settimana i permessi, e di dir loro che devono cominciare a preoccuparsi. Ogni tanto capita qualcuno con un vero problema, e quello che devi fare…
L’ascoltai annuendo di tanto in tanto, e in effetti mi sentivo piuttosto bene. Allora non sapevo che due di queste persone con dei veri problemi le conoscevo.
E che entrambe erano sedute al mio tavolo.
I doveri di cappellano non erano assillanti. Mi lasciavano un sacco di tempo per lunghi pranzi ad ora tarda nella mensa ufficiali, e per uscite serali a Urumqi. Mi lasciavano anche il tempo per chiedermi, piuttosto frequentemente all’inizio, cosa diavolo ci facessi lì: perché l’operazione per, la quale eravamo stati spediti da un emisfero all’altro sembrava non dovesse mai cominciare… Qualunque cosa dovesse cominciare. Quando chiesi lumi a Gert Martens, lei alzò le spalle e disse che era la buona vecchia tradizione militare: muoversi in gran fretta e aspettare, così smisi di preoccuparmi. Presi a vivere alla giornata. Il vecchio albergo di Urumqi che era stato requisito come spaccio militare mi divenne familiare quanto la mia tenda di schiuma… Anzi, era all’albergo che passavo le mie notti tutte le volte che potevo, non solo a causa dell’aria condizionata, ma perché ognuna delle vecchie e malconce camere aveva un bagno privato, cori water, vasca da bagno e doccia. Spesso funzionavano tutti e tre. E nella sala ufficiali c’era l’Omni-V.
Non che fossero tutte rose. Tanto per cominciare, quello che volevo vedere io erano i notiziari. Per poterli avere, dovevo passare davanti a tutti gli altri ufficiali, affamati di civiltà, la maggior parte di grado più elevato di me, che volevano vedere solo sport, spettacoli di varietà, telefilm e pubblicità… soprattutto pubblicità. Il tipo di notizie che mi interessavano non era quello solito: la coppia sorridente e commossa che aveva vinto il premio Consumatore del Mese a Detroit, o i discorsi del Presidente, o la storia dei sei peditaxi distrutti, con undici morti, quando la punta del vecchio Chrysler Building era crollata schiacciando mezzo isolato sulla Quarantaduesima Strada. A me interessavano le vere notizie, il Mondo della pubblicità, gli orari e il numero degli spot giornalieri. Le notizie erano trasmesse alle sei del mattino, dal momento che ci trovavamo dalla parte opposta del globo, e non avevo speranza di vederle a meno di non passare la notte all’albergo… e naturalmente di svegliarmi in tempo. Non era una cosa facile. Svegliarmi diventava sempre più difficile ogni mattina. L’unica cosa che alla fine poteva indurmi ad uscire dal letto era non tenere Mokie in camera, in maniera che appena aperti gli occhi dovessi alzarmi per cercarne una.
E anche quello che vedevo non era tutto allegro. Una mattina ci fu uno spot della durata di un intero minuto dedicato al mio progetto sui Consumisti Anonimi. Era stato lanciato con un budget di sedici milioni di dollari. Era un grande successo. Ma non era mio.
A questo ero preparato. Quello a cui non ero preparato era il commentatore, con quel sorriso untuoso e avido che ha la gente quando qualcuno mette a segno un buon colpo, il quale terminò rendendo omaggio alla nuova dinamica Agenzia che era venuta dal nulla a sfidare i giganti… Haseldyne & Ku.
Il capitano che arrivò in quel momento nella sala, con in mano i pesi per fare i suoi esercizi mattutini, non seppe mai quanto fu fortunato. Lo lasciai vivere. Se non l’avessi sconvolto a tal punto con la mia esplosione di rabbia quando cercò di cambiare canale, mi avrebbe senza dubbio fatto rapporto per comportamento scorretto, ma non credo che avesse mai visto una tale violenza sulla faccia di un uomo. Mi aggrappai con tutte le mie forze al selettore. Non distolsi neanche gli occhi quando lui si allontanò di soppiatto, con i suoi pesi in mano. Stavo girando disperatamente il quadrante, alla ricerca di frammenti di notizie. Con duecentocinquanta canali che arrivavano dai satelliti, era come cercare il tagliando vincente in un bidone di spazzatura. Non pensai a quante possibilità avessi. Clic: le previsioni del tempo coreane; clic, uno spot-jockey; clic: un kiddy-porno con partecipazione del pubblico; clic… continuai così per un po’. Riuscii a trovare il riassunto conclusivo del notiziario notturno della BBC, e quello mattutino della RussCorp da Vladivostok. Non riuscii a mettere assieme l’intera storia. Non ero sicuro elle tutti i pezzi si incastrassero. Ma la Haseldyne & Ku era una notizia mondiale, e il succo era chiaro. Dambois non mi aveva detto tutta la verità. Mitzi e Desmond Haseldyne avevano incassato i soldi e messo in piedi una nuova agenzia, vero. Ma. non si erano presi solo i soldi. Si erano portati via l’intero dipartimento Intangibili dalla T.G.&S., staff e clienti compresi…
E avevano rubato la mia idea.
La cosa seguente di cui mi resi conto, fu che ero a mezza strada fra la città e il quartier generale, su quella orribile strada calda e polverosa, e che andavo a piedi.
Non avevo mai provato una rabbia simile. Ero quasi fuori di me… anzi, del tutto, perché altrimenti non mi sarebbe mai venuto in mente di camminare in quell’inferno, dove anche gli indigeni si facevano portare dagli asini o dagli yak. Avevo sete. Avevo ingoiato Mokie su Mokie, mescolate con tutti gli alcolici a disposizione del bar ufficiali. Ma era tutta evaporata lungo la strada, e il residuo rimasto era rabbia concentrata, cristallizzata.
Come potevo tornare alla civiltà? Tornare e ottenere giustizia; ottenere quello che mi era dovuto da Mitzi Ku! Doveva esserci un sistema. Ero cappellano. Potevo scrivermi un permesso per gravi motivi familiari? Se no, potevo fingere un collasso nervoso, o trovare un medico amico che mi fornisse pillole. che davano palpitazioni di cuore? Se non potevo fare nessuna di queste cose, quante possibilità avevo di imbarcarmi clandestinamente sul prossimo aereo da carico diretto in America? Altrimenti…
Naturalmente, non potevo fare nessuna di queste cose. Avevo visto cosa succedeva a quei poveri imbecilli piagnucolosi che venivano nel mio ufficio con le loro storie semi-inventate di mogli infedeli e intollerabili dolori al fondo della schiena; non esistevano licenze per gravi motivi familiari, alla Riserva, e nessuna possibilità di imbarcarsi clandestinamente.
Ero bloccato.
Ero anche sul punto di sentirmi male. Il troppo bere e le notti insonni non erano stati la cura migliore per il mio fisico impregnato di Mokie. Il sole era senza pietà, e ogni volta che un veicolo mi superava, mi sembrava di sputare i polmoni a forza di tossire. C’erano anche un sacco di veicoli; si era sparsa la voce che finalmente l’operazione stava per cominciare. Da un momento all’altro. I grossi pezzi di attacco erano stati sistemati. Alle truppe erano stati forniti gli obbiettivi designati. I supporti logistici erano operativi.
Mi fermai di colpo in mezzo alla strada, oscillando sulle gambe e cercando di raccogliere le idee. C’era un significato, qui, una speranza… Ma certo! Una volta conclusa l’operazione saremmo stati rispediti nella civiltà. Sarei stato ancora in servizio, ma in qualche base in America, dove mi sarebbe stato facile ottenere un permesso di quarantott’ore, per poter tornare a New York e affrontare Mitzi e farle sputare…
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