Frederik Pohl - Gli antimercanti dello spazio

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Sono passati trent’anni da quando Frederik Pohl inventò quei
che Kingsiey Amis nelle sue
mise al disopra dello stesso
di Orwell. Fu allora che dagli uffici di Madison Avenue le grandi compagnie pubblicitarie assunsero il controllo della Terra, ma fecero lo sbaglio di mandare un’astronave sul pianeta Venere. Oggi Venere è il rifugio dei refrattari e dei ribelli, il simbolo dell’anti-pubblicità, la bandiera dei nemici della produzione e del consumo. I rapporti tra i due pianeti si fanno ogni giorno più difficili. La situazione insomma è così tesa, che Frederik Pohl ha sentito la necessità di scrivere un nuovo romanzo sullo scottante argomento. E l’ha scritto.

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Ma qualche volta le cose vanno diversamente. Il mio primo giro di ballo lo feci con una tipa giovane ed esile del Dipartimento Affari Extraplanetari. Era bianca come un lenzuolo, naturalmente, ma non stonava con i capelli biondo platino. Se non fossi stato così risentito per Mitzi, avrebbe anche potuto piacermi. Ma lei rovinò tutto lo stesso. — Signor Tarb — disse subito, — pensate che sia giusto obbligare i minatori di Hyperion ad ascoltare i vostri sproloqui pubblicitari?

Be’, era molto giovane. I suoi superiori non avrebbero mai detto una cosa del genere. Il guaio era che c’erano i miei superiori nei dintorni, e la conversazione cominciò a peggiorare. Perché le astronavi da guerra terrestri ogni tanto si mettevano in orbita attorno a Venere senza spiegare la loro missione? E perché avevamo rifiutato ai Venusiani il permesso di mandare una missione «scientifica» su Marte? E… tutto il resto era più o meno sullo stesso tono. Le diedi tutte le giuste risposte difensive, ma lei parlava a voce piuttosto alta, e la gente cominciava a guardarci. Hay Lopez era uno di questi; era insieme alla Capo Stazione, e si scambiavano certe occhiate che non mi piacquero. Quando finalmente il ballo finì, mi diressi con sollievo verso il bar.

L’unico posto libero era vicino a Pavel Borkmann, capo di qualche settore dell’Industria Pesante venusiana. L’avevo già incontrato, e potevo sperare in dieci minuti di innocue chiacchiere sul nuovo sbarramento di tubi di Hilsch nell’Anti-Oasi, o suoi progressi della nuova fabbrica di razzi. Ma non funzionò: anche lui aveva sentito qualche brano della mia conversazione con quella degli Affari Extraplanetari. — Non dovreste mettervi a discutere con chi è più grosso di voi — disse sogghignando, riferendosi contemporaneamente alla mia ex partner e alle ferite che mi ero guadagnato finendo addosso al tram. Se avessi avuto un po’ di buon senso, avrei scelto il significato meno pericoloso, e gli avrei raccontato tutto dell’incidente. Ma ero teso, e scelsi la strada sbagliata. — Faceva discorsi campati in aria — mi lamentai, facendo segno che mi portassero un liquore di cui certamente non avevo bisogno.

Ma a quanto pareva anche Borkmann aveva bevuto un bicchiere di troppo, perché si lanciò lungo una strada piena di trappole. — Oh, non so — disse. — Dovete capire che noi liberi Venusiani abbiamo molte obiezioni morali ad obbligare la gente a comprare delle cose… specialmente con il fucile puntato alla gola.

— Non c’è nessun fucile su Hyperion, Borkmann! Lo sapete.

— Non ancora — ammise, — ma non ci sono stati dei casi del genere, proprio sul vostro pianeta?

Mi misi a ridere, con commiserazione. — State parlando degli aborigeni, immagino.

— Sto parlando degli ultimi lembi di Terra non ancora corrotti dalla pubblicità, sì.

Be’, cominciavo ad arrabbiarmi. — Borkmann — dissi, — lo sapete benissimo che non è vero. Abbiamo delle forze di pace, naturalmente. Immagino che alcuni siano armati di fucili, ma sono per protezione. Ho fatto anch’io l’addestramento militare, mentre ero all’università; so di cosa sto parlando. Non vengono mai impiegati in azioni offensive, solo per mantenere l’ordine. Dovete capire che anche fra i popoli il primitivi ci sono un sacco di individui che desiderano i benefici della società di mercato. Naturalmente i vecchi retrogradi resistono. Ma quando gli elementi migliori ci chiedono il loro aiuto, noi gliel’offriamo.

— Già, mandando l’esercito.

— Mandiamo squadre di pubblicitari — lo corressi. — Non c’è costrizione. Non c’è violenza.

— E non c’è speranza — disse facendomi il verso. — L’hanno scoperto nella Nuova Guinea.

— È vero che le cose sono degenerate nella Nuova Guinea — ammisi. — Ma in realtà…

— In realtà — disse lui sbattendo giù il bicchiere, — adesso devo andare, Tarb. Piacere di avervi visto. — E mi lasciò lì furente. Ma come, non era successo proprio niente di terribile in Nuova Guinea! C’erano stati meno di mille morti in tutto. E adesso l’isola faceva fermamente parte del mondo moderno… Avevamo perfino una succursale dell’Agenzia a Papua! Trangugiai il liquore in un sorso solo, e mi voltai… e quasi andai a sbattere contro Hay Lopez, che mi guardava sogghignando. La Capo Stazione si stava allontanando, guardandomi da sopra la spalla. La vidi raggiungere ambasciatore, e mormorargli qualcosa all’orecchio, senza smettere di guardarmi, e mi resi conto che quella si stava rivelando una giornataccia nera. Dal momento che me ne stavo tornando a casa, quelli dell’ambasciata non potevano crearmi grane, ma decisi comunque di comportarmi da buon diplomatico per il resto della serata.

Ma neanche questo funzionò. Sfortuna volle che la seconda partner che mi toccò fosse Berta la Porcona, la Terrestre rinnegata. Avrei dovuto tagliare la corda. Ma avevo ancora le idee confuse, immagino. Mi voltai, e me la trovai di fronte, con l’alito che sapeva di liquore, flaccida e grassa, un’acconciatura enorme che doveva servire a farla sembrare più alta. — È il mio ballo, vero Tenny? — disse ridacchiando.

Mentii con galanteria: — Non vedevo l’ora! — L’unica cosa buona di Berta la Porcona è che, anche coi tacchi alti e l’acconciatura a baldacchino, non riesce a dominarti, come le Venusiane. È l’unica cosa che si possa dire a suo favore. I convertiti sono sempre i peggiori, e Berta, che adesso è vice-direttrice del sistema bibliotecario di Venere, era un tempo Vice-Presidente Anziana del Settore Ricerche dell’Agenzia Taunton, Gatchweiler e Schocken! Aveva abbandonato tutto per emigrare su Venere, e adesso si sente in obbligo di provare, con ogni parola che dice, di essere più Venusiana dei Venusiani. — Bene, signor Tennison Tarb — disse appoggiandosi al mio braccio e osservando il mio occhio pesto, — pare che qualche marito sia tornato prima del previsto.

Solo una battuta innocente? Neanche per sogno! Le battute di Berta la Porcona sono sempre cattive. Ti saluta con un «Quante bugie avete inventato oggi?», e se ne va con: «Be’, non voglio farvi perder tempo: con tutti quei cioccolatini avvelenati che dovete vendere ai bambini…». A noi non è permesso dire cose del genere. Per essere onesti, la maggior parte dei cittadini venusiani non lo fa, ma Berta è il peggior concentrato di due mondi. La nostra politica ufficiale nei confronti di erta è sorridere e non dire niente. È quello che avevo fatto anch’io per tutti quegli anni, ma il troppo è troppo. Dissi…

Be’, non posso giustificare quello che dissi. Per capirlo, dovete sapere che il marito di Berta, quello per il quale lei aveva piantato lavoro e carriera, faceva il pilota sulla rotta Kathy-Discovery, e aveva perso parte della gamba destra, e qualche parte adiacente non specificata, in un incidente, l’anno dopo che si erano sposati. È l’unica cosa su cui sia sensibile. Così le rivolsi un dolcissimo sorriso, e dissi: — Volevo solo dare una mano a Carlos, ma ho sbagliato casa.

Non era una battuta molto divertente. Berta non cercò neanche di rispondermi con un’altra. Spalancò la bocca. Si liberò dalle mie braccia, rimase immobile un istante in mezzo alla pista da ballo, e gridò con tutto il fiato che aveva in gola: — Bastardo! — C’erano lacrime nei suoi occhi… di rabbia, suppongo.

Non ebbi la possibilità di studiare le sue reazioni. Un paio di braccia si chiusero come una morsa attorno alle mie spalle, e la Capo Stazione in persona disse gentilmente: — Posso rubarti Tenny un momento, Berta? Ci sono ancora alcune cosine da sistemare… — Una volta nel corridoio mi squadrò fissandomi negli occhi. — Imbecille! — sibilò. Spruzzi di saliva, come veleno di serpente, mi bruciarono le guance.

Cercai di difendermi. — È stata lei a cominciare! Ha detto…

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