Fred Hoyle - L’insidia di Andromeda
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«Allora, professoressa Dawnay, su quale braccio la preferisce?» La voce della donna aveva un tono professionale, ma, come notò Madeleine con soddisfazione, anche un forte accento francese.
Soffocando la sua immediata antipatia per la donna, disse che avrebbe preferito il braccio destro. Si tolse il cappotto, e rialzò la manica della camicetta.
Mademoiselle Gamboul strofinò sul braccio steso un batuffolo di cotone impregnato d’alcool. La Dawnay guardò da un’altra parte, mentre l’ago entrava sotto la pelle. L’iniezione non era stala fatta bene; ella ebbe un brivido alla violenta puntura.
Salim non se ne era andato. Fissava la siringa come affascinato. Cominciò a parlare rapidamente. «Avrà tutte le possibili facilitazioni per il suo lavoro, quando arriverà alla nostra capitale, che si chiama Baleb. Abbiamo finito recentemente di costruire i fabbricati dei laboratori. Di qualsiasi cosa abbia bisogno…»
La sua voce parve diventare più spessa, ed il suo volto scuro, ancora chino sul braccio teso, sembrò svanire dietro una nebbia.
Madeleine cercò di combattere la vertigine che la stava prendendo.
«Potrei… potrei avere un bicchier d’acqua?» balbettò, «credo di non stare ancora bene come credevo…»
La testa le cadde in avanti. Le parve di sentire il duro orlo di un bicchiere premuto contro le labbra; inghiottì qualche sorso d’acqua. La sua vista si schiarì un poco, ed ella fissò le unghie rosse sulle dita che circondavano il bicchiere.
Da una distanza incommensurabile, ma, tuttavia, chiara e minacciosa, venne di nuovo la voce di Salim.
«Allora, dov’è il professor Fleming? Se lo sa, ce lo dirà con ogni dettaglio. Ripeto: dov’è il professor Fleming?»
Come se a parlare fosse un’altra donna, Madeleine sentì la propria voce descrivere minuziosamente l’incontro all’aeroporto di Oban. Parola per parola, ripeté la sua conversazione con John, come se la stesse leggendo sul copione di una commedia. I suoi ricordi erano chiari come cristallo. Non poté arrestarsi fino a che non ebbe spiegato ogni dettaglio dell’incontro.
Salim rise. «Allora è così che funziona una vera droga.» Guardò con interesse la Dawnay.
Janine Gamboul annuì. «Amital sodico; l’effetto sarà finito tra cinque o dieci minuti. Non ricorderà nulla. Le dica che è svenuta per l’iniezione contro la febbre gialla, o quello che era. E badi di metterla su quell’aereo.»
Si tolse il camice, rivelando un abito sicuramente arrivato da Parigi, ed anche buona parte della sua persona. Pur non essendo più una fanciulla, la pelle del suo collo e la curva superiore del seno apparivano giovani e lisci come il suo volto. Sembrava perfettamente tranquilla ed a suo agio. Si piegò al di sopra di uno degli angoli della scrivania, e fissò Salim con un misto di malizia e divertimento, mentre accendeva una sigaretta; aspirava ed espirava il fumo lentamente e delicatamente. Salim la guardò con un che di ammirato negli occhi, fino a quando ella parlò di nuovo. «Ripeta quello che ha sentito al nostro Kaufmann,» disse lei, senza sforzarsi di sembrare gentile. «Non ha molta fantasia, ma è pieno di risorse. Gli dica anche che la rapidità è essenziale. E la ragazza che Fleming ha con sé; quella per la quale ha preso le medicine. Dica a Kaufmann di portare anche lei.»
«Ma quella non ha nessuna importanza,» protestò Salim, «è solo l’amante di Fleming, c’è da credere. Perché dovremmo averne bisogno? Non ci mancheranno ragazze di fiducia, una volta che Fleming sarà a Baleb. Lo aiuteranno a divertirsi.»
«Ciò nonostante,» disse la Gamboul, «dovremo averla.»
Salim alzò obbedientemente il microfono del telefono. Furono necessari alcuni minuti, per rintracciare Kaufmann. Dall’albergo dove aveva detto di essere, risposero che era andato fuori. Il portiere aggiunse spontaneamente che il signor Kaufmann era molto appassionato del moto all’aria aperta, e delle ondulate colline scozzesi. Salim tagliò corto, e disse che avrebbe richiamato. Non desiderava lasciare il proprio numero.
Quando finalmente la voce gutturale di Kaufmann rispose all’apparecchio della stanza d’albergo, Salim parlò rapidamente. «Abbiamo notizie sicure. Un’isoletta vicino ad un’altra isola, a poca distanza da un’altra isola ancora.» Si fermò di colpo, rendendosi conto di quanto le sue parole fossero ridicole. «Un momento, ho scritto i nomi di tutti questi posti; non li avevo mai sentiti prima. Ah, ecco: c’è un posto che si chiama Skye?»
«Naturalmente,» grugnì Kaufmann, «ci sono stato. Il nostro amico è stato visto prendere laggiù un aereo. Ma non ci sono altre informazioni.»
«E vicino a Skye c’è Soay.» Kaufmann prese una carta, e cercò la parola, incapace di pronunciarla meglio dell’ambasciatore.
«Bene, accanto a questa Soay,» disse Salim, «c’è forse un’altra isola più piccola?»
«Ho bisogno di una carta più dettagliata,» rispose Kaufmann. «So che ve ne sono parecchie. Ora è meglio che finiamo questa telefonata. Lasci fare a me.»
«Spero proprio che possa. Io ho fatto la mia parte, ora tocca a lei.»
Salim riagganciò il microfono. Kaufmann ripiegò la carta e si mise a riflettere.
Prima di tutto preparò il piano di una ricognizione in tutte le isolette lontane dalla terra, e vicino a Skye. Fece un paio di chiamate a Glasgow, per procurarsi degli assistenti, la cui collaborazione, per un adeguato compenso, era già stata provata in affari precedenti. Poi andò a Portree. Laggiù affittò una piccola ma potente lancia, con il pretesto di fotografare degli uccelli marini. Il proprietario, molto ben pagato, non contestò l’affermazione di Kaufmann, che sosteneva di essere specializzato nelle fotografie notturne dei nidi e delle abitudini degli uccelli. Gli amatori di uccelli erano tutti strani… ma rendevano bene.
La pace solitaria dell’isola di Preen faceva tornare indietro nel tempo. Fleming annotò nella mente come fossero necessari due giorni, perché le mani di André cominciassero a ricostituire la carne; il terzo giorno, non c’era più bisogno di bende.
La vita, sull’isola, aveva preso un andamento senza scosse, con le sue sveglie mattutine, la preparazione dei pasti arrangiati alla meglio dalla riserva di cibi disidratati ed in scatola, che Preen aveva accumulato in quantità tali da bastare per un’intera guerra, con discussioni sulle partite di scacchi, e con i tentativi di aiutare delicatamente André a recuperare la memoria e il bandolo degli avvenimenti.
C’erano poche possibilità di andare fuori, anche solo per raccogliere le reti da pesca che Preen aveva steso in tutte le insenature tra le rocce; ma, in una giornata immobile e nebbiosa, Andromeda uscì, dirigendosi verso la piccola spiaggia; quando rientrò nella casetta, sembrava perplessa.
«La nebbia si sta allontanando, verso il mare,» disse, nel suo modo lento e vago.
Fleming non la credette, ed ella non ebbe mai la possibilità di dimostrare di aver detto la verità, perché il tempo si era di nuovo tramutato in una violenta tempesta sul mare già burrascoso. Sembrava che l’irrequietezza del cielo e dell’oceano non avesse mai fine. Quando ascoltavano la radio a transistor di Preen, le previsioni del tempo comprendevano sempre avvisi sulla forza del mare, ed il clima era così terribile, in tutto l’emisfero nord, che veniva regolarmente menzionato nei bollettini. André continuava ad essere vaga e confusa, e cominciò anche a muoversi in maniera alquanto goffa.
Ma, nella casetta, si provava un senso di sicurezza inattaccabile, specialmente quando il vento ululava e rumoreggiava tutto intorno. La tensione che Fleming aveva provato sulle prime, ogni volta che la porta strideva o, dal di fuori, si sentivano dei rumori, aveva ceduto ad una calma piacevole ed un poco fatalista.
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