Fred Hoyle - L’insidia di Andromeda
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Fleming passò i cancelli e si avviò per il campo. Sembrava che ci fossero soltanto tre o quattro passeggeri, tutti dall’aria molto innocente.
Non si accorse di un uomo di mezza età, discretamente vestito di tweed grigio e con una lobbia nera, che era rimasto in piedi accanto al chiosco dei giornali, a leggere il Times. Questi abbassò il giornale soltanto quando Fleming porse il biglietto alla hostess della B.E.A. per il controllo. Appena Fleming fu uscito dall’edificio, l’uomo si affrettò verso l’uscita, sulla strada. L’autista dell’automobile parcheggiata di fronte accese immediatamente il motore…
3
Previsione di burrasca
Fleming non tornò nell’isola fino a sera tarda. Dovette aspettare che facesse buio, prima di poter mettere in mare la barca, che aveva tirato su un piccolo imbarcadero, in una rientranza del porto naturale. La pioggia cadde senza pietà per tutta la strada del ritorno, ma egli era di buon umore, ed avanzò a tutta forza. La velocità non era molta, ma il rumore, in compenso, parecchio. Lo scienziato, però, era così eccitato di essere di ritorno, che non si curò di controllare se ci fossero navi in ricognizione dalle quali potessero sentirlo e venire a vedere.
Piombò nella casetta con un grido di saluto. Preen era seduto e stava parlando ad André. L’aspetto della ragazza allarmò Fleming; il suo volto, anche alla luce della lampada, appariva di un colore molto livido. Ma, alla vista di Fleming, ella balzò in piedi e gli corse incontro incespicando. Si buttò contro il suo petto, con le braccia alzate a proteggere le mani ferite.
«Piano, piano,» le sussurrò Fleming, sostenendola delicatamente. «Ho con me la medicina che guarisce. Starai subito bene.»
Al di sopra della testa di lei, ghignò a Preen. «È tutto a posto; non sono stato arrestato e nemmeno interrogato; e non ho detto a nessuno di lei!»
Preen apparve visibilmente sollevato. «Le preparo qualcosa da mangiare, mentre farà quello che è possibile per le sue mani… Si tratta di un unguento, vero?»
«Penso che lo si possa anche chiamare così,» annuì Fleming, aiutando André a sedersi sul sofà. «Ma di un tipo speciale. L’unica cosa buona, per quanto ne so io, venuta fuori da questa tutela intergalattica. Ma meno ne saprà e meglio sarà, nel caso che la sua anima onesta venga messa alla prova dai nostri signori e padroni. Può credermi, i suoi timori di ritrovarla con un grazioso cadavere sono ormai fuori luogo.»
Fleming prese dalla tasca la scatoletta. «Enzimi… un piccolo, glorioso fermentare di cellule vive, tutte pronte e desiderose di costruirne delle altre.»
Preen scosse la testa, stupefatto. Poi andò in cucina ad aprire un’altra scatola di minestra. Fleming cominciò immediatamente il trattamento.
La materia gelatinosa e quasi trasparente si sparse subito, appena venne in contatto con le carni straziate e innaturalmente calde di André.
Ella la guardava attentamente, senza il più vago ricordo del fatto che era stata proprio lei, programmando il calcolatore, a trovare la formula, e ad interpretare la sfilata di cifre che era uscita sui nastri.
Fleming le tolse le scarpe e l’avvolse in una coperta, ponendole le mani in grembo, su di un panno pulito. «Dormi, se ci riesci, tesoro,» mormorò, «il dolore passerà; lentamente, ma sicuramente. E domani mattina… vedrai! niente più male.»
André si sdraiò sul sofà e gli sorrise con la fiducia di un bambino. Obbedientemente, chiuse gli occhi.
Per tutta la strada del ritorno, Madeleine Dawnay rimuginò l’offerta di lavoro dell’Azaran. Essendo soprattutto una donna sola, si era sempre gettata nel lavoro come su un antidoto contro l’inconscia infelicità che provava per la propria mancanza di grazia e di socevolezza. Il suo esperimento di sintesi sulle cellule viventi, culminando con lo sviluppo di un organismo femmina in grado di gareggiare, e, in un certo senso, superare la naturale femminilità, era stato un trionfo che ella riteneva tale da giustificare la propria vita, e anche un’entusiasmante promessa per il futuro.
Poi erano venute le bruciature provocate dal calcolatore, ed il terribile errore nella composizione dell’enzima vitale, tanto che le iniezioni avevano aumentato la distruzione delle cellule, invece di ricostituirle. Questa esperienza le aveva mostrato non soltanto il pericolo di credere che le equazioni del calcolatore, capite a metà, fossero sempre valide e benigne, ma anche che l’ala della morte l’aveva spaventata molto di più di quanto avrebbe ritenuto possibile.
Era stato meraviglioso, s’intende, scoprire che l’errore nella composizione dell’enzima era dipeso unicamente dalle menti umane, e che la formula era, invece, letteralmente il dono della vita. Tuttavia, rimaneva il grave sospetto che John Fleming avesse ragione. L’intelligenza che aveva realizzato il calcolatore non era impersonale ed oggettiva. Essa poteva avere i suoi propositi, i quali non parevano comprendere il benessere dell’umanità.
Ad ogni modo, quel lavoro era ormai finito. Il luminoso progetto di costruire una tecnocrazia scientifica per la Gran Bretagna era svanito nel fumo che si levava dal calcolatore bruciato. Madeleine si sentiva perfino sollevata all’idea che il grande codice a sistema binario, arrivato dallo spazio, e in base al quale ogni cosa era stata costruita, fosse scomparso anch’esso. Sarebbe stata felice di allontanarsi da tutto ciò, e di tornare all’ordinaria ricerca scientifica.
L’Azaran attirava il suo idealismo e la sua curiosità. Ecco che c’era un piccolo paese, temporaneamente e superficialmente ricco, sul suo sotterraneo Eldorado di petrolio, ma torturato dalla miseria proprio nelle necessità più essenziali, come quella di avere una buona agricoltura e sufficienti riserve di cibo per i suoi abitanti.
Appena rientrata a Thorness, chiese un permesso per presentarsi al Foreign Office, e partì immediatamente per Londra.
Il più basso funzionario del dipartimento del Medio Oriente sembrava incline a liquidare l’Azaran come uno staterello da operetta. Descrisse il suo presidente come un uomo una volta pieno di fuoco, ed ora in lento spegnimento. La rivoluzione che gli aveva dato il potere, spodestando il capo dinastico subito dopo la guerra, era stata una faccenda priva di pericolo, e con conseguenze internazionali minime. Il presidente aveva frettolosamente assicurato alla Gran Bretagna che avrebbe mantenuto tutti gli impegni presi a proposito degli interessi petroliferi inglesi, a patto che fosse messo in atto qualche piccolo provvedimento nella suddivisione delle azioni. Il che fu fatto dopo le solite, tormentose contrattazioni. Il presidente aveva annunciato che gli introiti sarebbero stati usati per incrementare il benessere del popolo.
Il deserto avrebbe germogliato attraverso le irrigazioni. Si sarebbero costruite scuole. Delle strade sarebbero state aperte al traffico. Ospedali avrebbero sconfitto le malattie che uccidevano un bambino su cinque, e mantenevano il limite medio della vita sui 32 anni. Le scuole, le strade e gli ospedali erano infatti stati costruiti. Ma il deserto era rimasto deserto, e adesso anche il petrolio stava per finire.
«L’acqua c’è,» continuò il funzionario, «una compagnia francese ha scavato dei pozzi artesiani. A nord c’è un lago sotterraneo che ha molta più acqua di quanto non vi sia petrolio nei depositi del sud. Il problema è la superficie. Neanche sabbia, per la maggior parte sassi e rocce. Si può anche irrigarlo, ma certo non darà raccolti.»
«L’erosione di parecchie migliaia di anni non può essere messa a posto con un poco d’acqua,» disse la Dawnay tranquillamente; «non ci sarebbero obiezioni, se vi andassi?»
«Nessuna, per quanto riguarda il F.O., davvero. Siamo ansiosi di mantenere i nostri rapporti amichevoli con quella gente. Si tratta solo di una piccola nazione, ma qualsiasi amico è utile, al giorno d’oggi. I termini della sua assunzione non riguardano, naturalmente, i nostri affari ufficiali. Avrà un colloquio con il colonnello Salim, l’ambasciatore a Londra. È un personaggio sfuggente; per quanto, probabilmente, si tratta solo del solito amore degli arabi per l’intrigo. Ad ogni modo, egli è, con ogni probabilità, la migliore via per arrivare al presidente.»
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