Fred Hoyle - L’insidia di Andromeda
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- Название:L’insidia di Andromeda
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La ragione di tutto ciò era che la discussione verteva sul tempo. Tutti si trovavano d’accordo sul fatto che il tempo era innegabilmente cattivo. Considerato che le tempeste infuriavano in modo indiscriminato da est ad ovest, ed una quantità anormale di pioggia ininterrotta continuava a cadere su tutto l’emisfero settentrionale, nessun nazionalista di buonsenso era riuscito a trovare una scusa per prendersela con il vicino.
Un piccolo numero di nazioni, abbastanza dotate di sufficiente immaginazione per credere che il controllo del clima non fosse troppo lontano dalle possibilità reali, aveva mandato a Ginevra scienziati e meteorologi, nella speranza di trovare qualche accordo sui metodi e sulle applicazioni pratiche, prima che venissero messi in atto casualmente degli esperimenti. L’Inghilterra era una di quelle nazioni. Questa era la ragione per la quale il ministro della Scienza vi aveva spedito Osborne come delegato ex officio.
E Osborne vi era andato, ma con la mente distratta. A dispetto di tutti i dispacci tra dipartimento e dipartimento, che erano stati fatti circolare per attirare l’attenzione sugli strani fenomeni meteorologici privi di precedenti, questa conferenza sul tempo aveva l’aria di presentare soltanto qualche interesse accademico — una di quelle attività delle Nazioni Unite, che fanno felice tanta gente, senza far male a nessuno. Osborne si domandava anche se questo viaggio non fosse stato deciso, per caso, quale azione preliminare per trasferirlo in un dipartimento innocuo come quello meteorologico, come conseguenza dei sospetti che erano rimasti di una sua complicità nell’affare Thorness.
Il ministro era stato pieno di comprensione a proposito dell’intera faccenda. Funzionari addetti alla sicurezza stavano ancora interrogando il personale, e l’assistente di Osborne sembrava diventare sempre più nervoso e spaurito. Osborne aveva acutamente insistito sul fatto che, qualora tutti e due si fossero attenuti alla versione secondo la quale l’assistente lo avrebbe accompagnato a Thorness in quella notte di crisi, tutto sarebbe andato bene. Era più che normale, per un funzionario importante, essere accompagnato dal proprio segretario privato. Molto a malincuore, l’assistente aveva infine accettato di tenersi a questa versione dei fatti. Osborne, però, sospettava che una vera pressione da parte dei poliziotti, o il semplice sistema di far parlare il giovanotto sotto giuramento, gli avrebbero strappato la verità. Questa era la ragione per la quale avrebbe preferito rimanere a Whitehall, a controllare che la risoluzione del suo assistente non venisse meno, e a dargli un certo sostegno morale.
Ma, una volta a Ginevra, decise di prendere la cosa nel miglior modo possibile. Qualunque fosse il disastro che il maltempo stava provocando altrove, per le Alpi significava soltanto una quantità maggiore di neve. Le fitte nevicate notturne erano seguite da scintillanti giornate di sole, con regolarità da orologio. Il lago appariva di un colore azzurro-ghiaccio, nella luminosità dell’aria; la famosa fontana zampillava alta nel cielo, rompendo le sue spume in un arcobaleno di colori. Le strade pulite, sgombrate dalla neve, erano movimentate dai delegati e dalle loro famiglie, tutti occupati a divertirsi, tra una sessione e l’altra.
Quando guardava dalle alte finestre del caffè, nell’attico del palazzo, questa scena gradevole, rimpiangeva amaramente il tempo passato nella sala delle conferenze chiusa e troppo riscaldata. Tuttavia, la lettura del professor Neilson non era stata priva di interesse. Questi americani andavano proprio fino in fondo, quando c’era da risolvere una questione.
Osborne se ne era andato prima che cominciasse la discussione, con i suoi inevitabili interrogativi senza scopo, che in realtà erano affermazioni. Stava pigramente guardando il proprio caffè mentre cadeva a gocce attraverso il filtro, quando una donna si avvicinò al suo tavolo. Non era più giovane, ma aveva un aspetto gradevole ed intelligente.
«Il signor Osborne?» L’accento era americano.
Osborne si alzò in piedi. «Sì,» rispose, «ma credo di non…» La donna sorrise. «Sono la moglie del professor Neilson.» Si dettero la mano, ed Osborne prese un’altra sedia. La signora sedette.
«Temo che abbia perso la lettura di suo marito,» cominciò lui, «ha appena finito di parlare. Tutti erano molto impressionati. Uscirà subito, la discussione dovrebbe essere quasi finita.»
Essa non sembrò accorgersi di quello che stava dicendo. «Signor Osborne,» disse tranquillamente. «Credo che mio marito voglia parlarle; ma non della conferenza.» Lanciò uno sguardo verso la porta, oltre la quale una folla di delegati si stava muovendo nel foyer. «Se potesse aspettare fino a che arrivi… preferirei che le dicesse lui stesso di cosa si tratta.»
«Naturalmente,» rispose Osborne, «intanto posso offrirle qualcosa?»
Annuì. «Del caffè, per favore.»
Quando Neilson arrivò, si guardò intorno attentamente, poi si sedette, rivolgendosi ad Osborne senza alcun preambolo.
«Suppongo che mia moglie abbia lasciato a me il compito di parlare. E io ho assolutamente bisogno di parlare. Verrò subito al punto. Cosa sa di un’organizzazione internazionale chiamata Intel?»
Osborne prese tempo per decidere cosa rispondere. «Che si tratta di un grande consorzio affaristico internazionale; molto grande.»
«Certo,» disse Neilson, «molto grande. Il problema è: ha anche una buona reputazione?»
«Non lo so, veramente,» dise cauto Osborne.
«Signor Osborne,» intervenne la signora Neilson, «questa mattina abbiamo ricevuto un cablo da nostro figlio. Non lo vediamo da due anni. Il cablo diceva soltanto: ’Vi incontrerò al caffè Nicole di Ginevra, una sera di questa settimana, Intel permettendo.’ Questo è il primo indizio che abbiamo che sia almeno vivo, dal Natale di due anni fa.»
«Ma sapevate più o meno dove fosse e cosa stesse facendo?» suggerì Osborne.
Neilson rise brevemente. «Se ne è andato due anni fa per un lavoro a Vienna. Allora ricevemmo una cartolina nella quale diceva di star bene e di non preoccuparsi. Tutto qui.»
«Che tipo di lavoro era?»
«Ecco, dato che aveva preso la laurea in elettronica al Massachusetts Institute, suppongo che fosse un lavoro in quel ramo.»
«Credo che la Intel abbia un ufficio qui, o certamente a Zurigo. Avete domandato a loro?»
«S’intende,» rispose la signora Neilson, «ma ci hanno detto che non sanno niente del personale dei laboratori fuori della Svizzera. Ecco perché ho convinto mio marito a rivolgersi a lei.»
«Ma perché?» chiese Osborne.
«Perché lei è amico di un amico di mio figlio,» disse Neilson, «John Fleming. Jan lo ha portato da noi un paio di volte, quando stava in America per uno scambio organizzato dal Cavendish Laboratory di Cambridge. Erano grandi amici. E, naturalmente, sappiamo che Fleming è diventato un uomo importante nel programma del vostro Ministero.»
«Non credo di poter fare nulla per voi,» disse goffamente Osborne, «abbiamo perso ogni contatto con il professor Fleming…» Fece una pausa imbarazzata, poi continuò frettolosamente: «Io, però, non tornerò a Londra fino a dopodomani; forse credete che potrei avere un incontro con vostro figlio? Se nel cablo dice che verrà entro la fine di questa settimana, significa o oggi o domani.»
I Neilson si dimostrarono molto grati. Lo invitarono a cenare al caffè con loro quella sera stessa e, se Jan non si fosse fatto vedere, anche il giorno dopo.
Quella sera, la signora Neilson insistette per andare al caffè alle sette. «Mi siederò più avanti possibile, così sono sicura che mi vedrà. Nella sala da pranzo ci andremo dopo.»
Ordinò un kirsch e ne stava assaggiando il primo sorso, quando il figlio le si materializzò davanti, uscendo dalla penombra, e si sedette al suo fianco senza parlare: un giovane pallido, serio, con l’aria molto preoccupata. Ella rimase colpita notando come fosse invecchiato e dimagrito e quanto apparisse nervoso. L’aveva baciata su di una guancia, allontanando però la mano di lei, quando aveva cercato di prendere la sua.
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