Fred Hoyle - La voce della cometa
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- Название:La voce della cometa
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- Издательство:Longanesi & C.,
- Жанр:
- Год:1986
- Город:Milano
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Poi comparve alla vista il teatro del castello. Frances Margaret si rese subito conto che il sogno l’aveva di nuovo ingannata, solo che, grazie al Cielo, lei era più intelligente del sogno. Il sogno teneva in serbo qualcosa di grosso, una cosa orribile. Una volta entrata nel teatro del castello, che cosa vi avrebbe trovato? Ragnatele. Solo ragnatele, nient’altro.
La porta del teatro era presidiata da vari inservienti, messi lì indubbiamente per controllare i biglietti dei visitatori comuni. Gli inservienti riconobbero senza commenti la validità del cartellino che lei portava appuntato al petto, e nell’attimo successivo Frances Margaret si ritrovò all’interno del teatro. In quell’istante provò la stessa strana scossa che aveva sentito un’ora prima. E con la scossa scomparve lo strano stato d’animo e lei poté constatare che il teatro era in realtà pieno di gente, non di ragnatele. Riuscì anche a distinguere Isaac Newton tra i delegati nel palco britannico. Era ritornata di colpo alla normalità. Almeno così sembrava. Eppure, il suo ingresso nel teatro coincise esattamente, come se qualcuno avesse azionato un interruttore, con una catastrofica interruzione dei lavori.
L’interruzione era dovuta al Presidente francese il cui volto apparve improvvisamente in primo piano sui teleschermi della sala, sostituendosi al personaggio che parlava dalla tribuna degli oratori. La voce del capo di stato, malamente amplificata dagli altoparlanti, investì come un tuono l’assemblea:
«Chiedo scusa per l’interruzione, ma devo comunicarvi una notizia sgradevole. Abbiamo ricevuto una segnalazione dall’Osservatorio di Meudon con la quale il governo francese viene avvertito che un oggetto del diametro di quasi due chilometri colpirà la Terra domattina tra le due e le quattro, tempo medio di Greenwich. Purtroppo, il fenomeno causerà danni molto estesi. Il punto dell’impatto dell’oggetto non è ancora certo, per cui non si sa ancora quali luoghi saranno sicuri e quali no. E’ evidente che molte persone vorranno fare immediatamente ritorno nei loro paesi e voglio assicurarvi che il governo francese prenderà tutte le misure per facilitare questo esodo».
71
Frances Haroldsen si fece strada a spintoni tra la folla in preda allo sgomento per dirigersi verso il palco britannico. Mentre si avvicinava, Isaac Newton disse: «Mi stavo domandando dov’eri andata a finire. Hai le chiavi della macchina? Sì, bene. Allora ti raggiungo alla macchina tra pochi minuti. Voglio solo domandare in giro se sanno qualcosa del messaggio da Meudon».
Erano passati più di pochi minuti, forse una ventina, prima che Isaac Newton comparisse alla macchina dove trovò Frances Margaret sul sedile del passeggero.
«Vuoi guidare tu?» le chiese.
«Preferirei di no. Non mi sono sentita bene.»
Mentre Isaac Newton usciva con una serie di manovre dal parcheggio per imboccare il lungo viale che porta verso la città di Versailles, Frances Margaret descrisse le strane allucinazioni di cui era rimasta vittima.
«Così, dopo tutto, non sei sfuggita», osservò Isaac Newton.
«Sfuggita a che cosa?»
«Ricordi il cottage sulla costa del Norfolk? Quella notte c’era qualcosa, là.»
«Non ho visto nulla.»
«Vuoi dire che non ricordi di aver visto qualcosa, il che non è lo stesso. Neppure io ricordo di aver visto molto, ma ormai ho avuto già due volte allucinazioni del genere. Tu sei stata fortunata perché eri ancora in grado di camminare. Io sono stato messo completamente fuori combattimento.»
«Che cosa significa questo?»
«Beh, visto che la cosa si è verificata prima di quest’annuncio venuto da Meudon, essa ha ovviamente un suo significato. Come se anche tu stessi trasmettendo dei «bip».»
«Non riesco a capire perché questo oggetto, o quel che sia», disse Frances Margaret con un’espressione perplessa, «non era conosciuto prima. Gli astronomi avrebbero dovuto vedere facilmente un oggetto così grande come dicono che sia.»
«Lo hanno visto. L’oggetto è noto da ormai un anno.»
«Perché, allora, ci hanno informato a sorpresa solo adesso?»
«Perché l’oggetto ha cambiato improvvisamente rotta. Altrimenti sarebbe passato al largo della Terra a una distanza perfettamente sicura, come usano fare i piccoli asteroidi.»
«Si è comportato allora come un missile, correggendo a metà strada la rotta? Per colpire un bersaglio, intendo dire?» chiese Frances Margaret in tono ponderato.
«Sembra di sì.»
«Come può essere stato ottenuto quest’effetto?»
«Naturalmente nessuno lo sa, in realtà. Probabilmente si è trattato di un processo di improvvisa evaporazione, come un razzo che viene sparato da un jet.»
«Dev’essere stata un’azione deliberata, no?»
«Deliberata, sì, come la tua allucinazione e come la sensazione che ho continuato ad avere per tutta la mattina. Specialmente dopo aver finito il mio discorso.»
«Che genere di sensazione?»
«Di aver assolto il mio incarico. Che ne avevo abbastanza di tentar di persuadere la gente. Questo andrebbe d’accordo con la tua balorda impressione di rivolgere la parola a un mazzo di carte. Si potrebbe dire che la mia sensazione fosse realmente identica.»
Isaac Newton parcheggiò la macchina in uno spazio libero nei pressi del centro della città di Versailles, dicendo mentre spegneva il motore: «Voglio vedere se riesco a comprare un paio di cose speciali». Poi, consegnando la cartella a Frances Margaret, disse: «Perché non ti leggi i dati arrivati da Meudon? Io non li ho chiesti né ho pregato per averli. Li ho rubati spudoratamente sotto il loro naso pensando che il governo francese potrà ottenerne un’altra copia e noi no, invece».
Un po’ più tardi, Isaac Newton ritornò con due pacchi. Dopo averli spinti sul sedile posteriore della macchina si raddrizzò sul sedile del guidatore e spiegò: «Sacchi a pelo e un thermos. Se la notte è bella ci potrebbe venire la voglia di uscire all’aperto e trovare un posto da dove osservare il cielo. Potremmo cercare il punto adatto durante il ritorno alla locanda».
«Ma che cosa fanno tutti quanti?» chiese Frances Margaret.
«Là regna un caos feroce. Noi siamo rimasti fuori.»
«Caos? Pensavo che il Presidente francese avesse detto che avrebbero preso tutte le misure per facilitare l’esodo.»
«Che avrebbero preso tutte le misure se fossero «stati in grado» di prenderle, il che è un po’ diverso.»
«Sei riuscito a scoprire come stanno veramente le cose?»
«I francesi stanno tentando di persuadere i capi di governo a riunirsi in qualche castello nei pressi di Fontainebleau, non lontano dalla zona da noi visitata ieri. Ma la gente ha chiesto più che altro di precipitarsi a casa. Gli americani riusciranno probabilmente a spuntarla a bordo dell’aereo presidenziale, ma i russi non ce la faranno, per cui farebbero meglio a fermarsi dove si trovano. I francesi dicono che faranno intervenire gli elicotteri militari per traghettare la gente sulle distanze più brevi. Il Primo Ministro voleva che andassimo anche noi, ma sembrava una cosa piuttosto futile perché non potevamo fare nulla. Secondo me saremmo stati costretti a girare di qua e di là con le mani in mano.»
«Ma mancano ancora dodici ore perché quella roba piombi sulla Terra. Sono tante, dodici ore.»
«Non quando gli aeroporti sono congestionati, quando i mezzi di trasporto sono paralizzati. E non voglio pensare a un eventuale panico mentre la notizia si diffonde.»
«A cosa stai pensando, allora?»
«Sto pensando agli impulsi irresistibili di un enorme numero di persone.»
«Impulsi a fare che cosa?»
«A muoversi, semplicemente a muoversi. Sarà una specie di vigilia di Natale moltiplicata per cento. Vuoi sapere una cosa? Quando il Presidente francese ha letto il suo comunicato, ho pensato immediatamente di ritornare di corsa nel Devon, a casa mia, qualcosa che da anni non ho più fatto cedendo a un impulso. Poi ho pensato di precipitarmi a Cambridge. Ho pensato anche a Kurt e Rosie Waldheim, al loro châlet a Wengen e che quello sarebbe stato il posto ideale per trascorrere le prossime dodici ore. Potevamo dormire all’aperto, sul balcone, ho pensato, guardando verso le montagne e verso il cielo — l’oggetto sarà molto luminoso quando arriverà. Poi mi sono reso conto che non ce l’avremmo fatta a raggiungere Wengen. Saremmo finiti nel bel mezzo di un’enorme folla sbandata in qualche schifoso aeroporto. Così sono giunto alla conclusione che la cosa più semplice e migliore per noi era quella di fermarci dove ci troviamo.»
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