Fred Hoyle - La voce della cometa

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Fred Hoyle, nato nel 1915 nello Yorkshire, astronomo e matematico, è autore di romanzi di fantascienza basati su ipotesi rigorose. Tra essi «La nuvola nera» (1957), «A per Andromeda» (1962), «Inferno» (1974).

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Vi era una tale risolutezza nel modo in cui Frances Margaret, seguita dal Segretario per il Commercio americano, si avvicinava al gruppo da richiamare l’immediata attenzione degli interpreti russi.

«Lo vuol fare davvero?» chiese ridacchiando la sua accompagnatrice.

«Certo che lo voglio fare», rispose Frances Margaret senza l’ombra di un sorriso, soggiungendo: «Non mi lascio intimorire da un mazzo di carte».

Gli interpreti russi mossero loro incontro con tanti sorrisi concilianti sulla faccia, e anche gli appartenenti al gruppo alle loro spalle, che si erano accorti dell’arrivo delle due bellissime donne, fecero anch’essi un paio di passi in avanti, trascinando i piedi. La voce di Frances Margaret era forte e limpida. Quando l’occasione lo esigeva, riusciva sempre ad avere la voce forte e limpida.

«Noi due vorremmo sapere», chiese, «se voi tutti avete tre dita come i personaggi dei fumetti oppure cinque dita come la gente normale.»

Per descrivere con precisione la maniera in cui il gruppo intorno a Frances Margaret si dissolse, sarebbe stato necessario studiare un filmato della situazione con la stessa attenzione che una squadra di calcio ci mette nello studiare, seguendo la partita con la moviola, la tattica di una squadra rivale. Era un fenomeno al quale aveva assistito già molte volte, quello di persone che se ne andavano in ogni direzione in seguito a qualcosa che lei aveva detto. Anzi, era già un’eccezione il fatto che la donna dai capelli scuri con le fossette fosse ancora lì, scossa da violente risate.

«Non avrei mai pensato che l’avrebbe fatto», gorgogliò il Segretario per il Commercio. «Io non ce l’avrei fatta, e sì che ho una certa grinta.»

«Non è stato affatto difficile. Non le avevo detto che erano solo un mazzo di carte?»

La risposta provocò un nuovo scoppio di risate da parte del Segretario per il Commercio. «Basta, non ne posso più», esclamò, con il fiato corto. «Come si chiama lei, se posso chiederglielo?»

«Frances Margaret.»

«Il nome può andare anche bene. Il guaio sembra essere nel cervello. E’ stata lei quella che ha mandato il biglietto sui calabroni?»

«Naturalmente.»

«Come ha fatto a sapere che c’erano?»

«Non le capita qualche volta, sognando, di sapere ciò che accadrà?» rispose Frances Margaret congratulandosi per la sottigliezza della risposta.

Perché era questa, naturalmente, la cosa in ballo. Non le carte, ma un sogno, un sogno cominciato proprio all’inizio, dal momento in cui Isaac Newton era arrivato al Cavendish Laboratory. Perché, naturalmente, non esisteva alcun Isaac Newton. Come poteva esserci con un nome come quello? Quando si fosse svegliata, Si sarebbe trovata indosso i jeans e una vecchia camicia, non l’abito da cerimonia e le scarpe. Non sarebbe stata Cenerentola al ballo, ma una Cenerentola intenta ad accendere il fuoco in una fredda mattinata invernale, con Mike Howarth gemente in un angolo, alle prese con le sue folli idee. Frances Margaret si congratulò di nuovo per la squisita sottigliezza di essere capace di ragionare così bene persino in un sogno così balordo come questo.

Frances Margaret fece un’altra riflessione: nei sogni capita sempre che i personaggi vengano e se ne vadano misteriosamente. Se ne vanno all’improvviso dicendo che torneranno subito. Ma non ritornano. Al che ti metti a cercarli, ma non riesci più a ritrovarli per quanti sforzi tu faccia. Così sarebbe andato a finire con Isaac Newton. Frances Margaret aveva occhi perfetti e riusciva a distinguere molto bene in lontananza il Presidente americano. Di Isaac Newton non c’era traccia. Con una certa attenzione si mise a osservare tutta l’assemblea: Isaac Newton non c’era. Frances Margaret tentò di reprimere un senso di disperazione dicendosi che poteva sempre mettere fine al sogno per svegliarsi e ritrovarsi indosso i jeans e la vecchia camicia, con Mike Howarth intento a gemere in un angolo per via delle sue comete.

«Perché è tanto agitata? Lei deve trovarsi in uno stato d’animo buffo», disse la donna con le fossette.

«E per lei dev’essere sicuramente buffo essere solo un personaggio del mio sogno», rispose Frances Margaret, facendo di nuovo ridere a crepapelle la donna. «Lo straordinario è», continuò, «che io sia riuscita a concepire lei. Chissà come avrò fatto?»

La donna barcollava ormai a tal punto che Frances Margaret l’afferrò per il braccio.

«Ehi, che forza! Non stringa tanto, mi fa male», esclamò il Segretario per il Commercio.

«Non creda di potermi fare lo scherzetto di dissolversi», ribatté Frances Margaret, provocando un altro sussulto di risate nella donna.

«Ah! Non l’ho già vista da qualche parte, signora?» chiese il Presidente americano quando l’incerta rotta seguita da Frances Margaret e dal Segretario per il Commercio finì per portare le due donne nella sua direzione.

«Varenna», rispose immediatamente Frances Margaret, di nuovo contenta di essere in grado di ricordarsi i più piccoli particolari di un sogno.

«Esattamente, Varenna! Ma ora, signora, mi stavo facendo delle domande su quei suoi calabroni.»

«Quello è il passato, signor Presidente. E ciò che è passato è un prologo.»

«Come mai?»

«Me lo sono spesso chiesto anch’io, signor Presidente», rispose Frances Margaret notando che la donna con le fossette era sgusciata via. Come capita sempre, pensò. Tu giureresti che qualcuno non si dissolverà, ma quelli si dissolvono sempre, spesso nel modo più ingegnoso. Ora giurò a se stessa che il Presidente non si sarebbe dissolto, succedesse quello che doveva succedere.

«Ha notato, signor Presidente, come tutti scompaiono?»

«Effettivamente l’ho notato, signora. Sembra che si sia verificata una situazione d’emergenza.»

«Lo scommetto. Va sempre a finire così», annuì Frances Margaret domandandosi perché si stava prendendo la briga di ingraziarsi un personaggio nel suo sogno. «Si ricordi una cosa, signor Presidente», proseguì. «Se resterà attaccato a me, sopravvivrà.»

«Questo mi fa piacere», rispose il Presidente. «Dovremmo ritornare al teatro. La gente sta davvero scomparendo.»

«Nel nulla», convenne Frances Margaret.

Finalmente arrivarono a un bivio del sentiero. Frances Margaret sapeva benissimo quale strada aveva seguito per venire. Così, quando il Presidente prese l’altro sentiero, lei disse: «Se fossi in lei, non seguirei quel sentiero».

«Perché non dovrei seguirlo? E’ da qui che sono venuto», fece il Presidente, un tantino sorpreso. Nella realtà, naturalmente, ci potevano essere molti percorsi per ritornare al teatro, ma in quell’occasione Frances Haroldsen sapeva che qualsiasi deviazione da quel sentiero avrebbe potuto portare quasi ovunque, nel bel mezzo di Londra o Cambridge o New York, ovunque, insomma. Decisa a non lasciarsi ingannare un’altra volta, seguì il sentiero sul quale aveva camminato con l’immaginario Isaac Newton, per esclamare, rivolta al Presidente: «Segua comunque la sua strada, signor Presidente. Ma quando avrà svoltato intorno al prossimo angolo, per lei sarà finita».

Fermamente decisa, Frances Margaret rimase sul sentiero che ricordava, aspettandosi che la facesse finire a Timbuctù — ma non per colpa sua. Adesso non c’era più in giro nessuno. Di tutta la folla di poco prima… nessuno, come capitava sempre nei sogni. I tacchi alti delle scarpe picchiavano sulle lastre di pietra del sentiero, il che per lo meno era un fenomeno reale e logico. Tentò di immaginare dove stava andando, per anticipare in certo qual modo la prossima grossa sorpresa, ma si accorse, molto delusa, mentre svoltava intorno a un angolo, di avere davanti ciò che sembrava essere effettivamente il castello di Versailles.

Poi, la spiegazione ovvia le venne in mente. Non era che stesse camminando per raggiungere qualche altro posto come Timbuctù o la vetta dell’Everest. Stava camminando in un’altra epoca, probabilmente nel Seicento, quando migliaia di persone si affollavano nel castello. Scene pulsanti, camere da letto pulsanti, cucine pulsanti. A pensarci bene, perché il tempo attuale dovrebbe essere più reale del Seicento? Non le venne in mente alcun motivo che andasse d’accordo con le leggi della fisica. Così doveva trattarsi del Seicento, decise. Si era domandata come tante faccende illecite avessero potuto verificarsi in continuazione a Versailles, dato che la maniera in cui il castello era costruito non sembrava favorire la vita intima. Forse, nel Seicento non ci tenevano tanto alla vita privata. Forse se ne andavano semplicemente in giro a guardare ciò che facevano gli altri.

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