Carl Sagan - Contact

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Ellie è il direttore del «Progetto Argus,» nel quale i segnali provenienti dallo spazio e captati da radiotelescopi nel Nuovo Messico sono analizzati intensivamente per cercare l’intelligenza extraterrestre (SETI).
Dopo un po’, il progetto scopre, effettivamente, la prima comunicazione confermata da esseri extraterrestri, una serie ripetitiva dei numeri primi sino al 261 (una sequenza di numeri primi è un primo messaggio comunemente previsto da intelligenza aliena, poiché la matematica è considerata «un linguaggio universale», ed è congetturato che le procedure che producono i numeri primi successivi sono sufficientemente complicate da richiedere intelligenza per effettuarli). Un’ulteriore analisi del messaggio rivela che due messaggi supplementari sono codificati all’interno di esso in forme differenti di modulazione del segnale. Il secondo messaggio è un abecedario, una specie di manuale d’istruzioni che insegna come leggere ulteriori comunicazioni. Il terzo è il messaggio vero e proprio, i progetti per una macchina che sembra essere un genere di veicolo altamente avanzato, destinata ad ospitare un equipaggio umano.
Una sottotrama vede Ellie interagire con una coppia di predicatori cristiani, che dibatte in maniera informale l’esistenza di Dio. Applicando il metodo scientifico, dichiara che «non esiste una prova schiacciante che Dio esista… e non esiste una prova schiacciante che Dio non esista.»
Infine, una macchina è costruita con successo ed attivata, e trasporta cinque passeggeri — compresa Ellie — attraverso i buchi neri in un luogo vicino al centro della Via Lattea, dove vengono a contatto con i mittenti del messaggio. Molte delle domande dei viaggiatori trovano risposta.
Al ritorno, i passeggeri scoprono che la loro esperienza che soggettivamente per loro era durata molte ore, sulla Terra era durata solo circa venti minuti, e che tutta la loro registrazione video è stata cancellata, presumibilmente da un certo fenomeno nel veicolo. Rimangono pertanto privi di prove del loro racconto.

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La bellezza fisica del luogo era notevole. Al crepuscolo, guardava fuori dalle finestre di servizio e vedeva nubi tempestose sorvolare l’altro bordo della valle, proprio al di là di uno dei tre immensi piloni cui erano appesi i cavi che sorreggevano i bracci dell’antenna e il suo maser montato di recente. In cima a ciascuno dei piloni, una luce rossa lampeggiava per invitare gli eventuali aeroplani che si fossero avventurati per errore su quel remoto panorama a starsene alla larga. Alle quattro del mattino, usciva per una boccata d’aria e cercava confusamente di interpretare un coro compatto di migliala di rane locali, chiamate onomatopeicamente «coquis». Alcuni astronomi vivevano nei pressi dell’osservatorio, ma l’isolamento, combinato all’ignoranza dello spagnolo e all’inesperienza di ogni altra cultura, tendeva a trascinare loro e le loro mogli alla solitudine e all’anonimia. Alcuni avevano deciso di vivere alla base aerea di Ramey, che vantava l’unica scuola di lingua inglese delle vicinanze. Ma i novanta minuti d’auto contribuivano ad accrescere ancora il loro senso di isolamento. Ripetute minacce da parte dei separatisti portoricani, convinti erroneamente che l’osservatorio svolgesse una funzione militare di una certa importanza, aumentarono il senso di isteria repressa, di circostanze difficilmente controllabili.

Molti mesi dopo, Valerian venne in visita. Ufficialmente si trovava lì per tenere una conferenza, ma lei sapeva che era motivato anche dal desiderio di controllare come se la stesse cavando e di darle una parvenza di sostegno psicologico. La sua ricerca era andata molto bene. Aveva scoperto quel che sembrava un nuovo complesso di nubi molecolari interstellari, e aveva ottenuto alcuni dati estremamente precisi nell’analisi del tempo di risposta di una pulsar che si trova al centro della Nebulosa del Granchio. Aveva persino portato a termine la più accurata ricerca mai compiuta su segnali emessi da alcune dozzine di stelle vicine, ma senza risultati positivi. C’erano state una o due ripetizioni sospette. Osservò di nuovo le stelle in questione e non potè riscontrare nulla fuori dall’ordinario. Si esamini un certo numero di stelle e presto o tardi le interferenze terrestri o la concatenazione di rumori casuali produrranno un segnale che per un momento farà battere il cuore. Riacquistata la padronanza di sé, lo si controlla e se non si ripete, lo si considera spurio. Questa disciplina era essenziale, se voleva conservare un certo equilibrio emotivo nei confronti di ciò che stava cercando. Ellie era decisa a essere più che mai inflessibile, senza comunque abbandonare quel senso di meraviglia che era il motore primo del suo agire.

Con le sue scarse provviste conservate nel frigorifero della co-munita, aveva preparato un modesto spuntino di mezzogiorno da consumare all’aperto, e Valerian sedeva con lei sull’orlo della dolina che ospitava il paraboloide. Si potevano vedere in lontananza gli operai che riparavano o sostituivano i pannelli, dotati di speciali racchette da neve per non lacerare i fogli di alluminio e non precipitare sul terreno sottostante. Valerian si rallegrava dei suoi progressi. Si scambiarono qualche pettegolezzo e le ultime novità scientifiche. La conversazione si indirizzò su SETI, come si cominciava a chiamare la ricerca di un’intelligenza extraterrestre. «Hai mai pensato di farlo a tempo pieno, Ellie?» le chiese. «Non ci ho pensato molto. Ma in realtà non è possibile, non è vero? Per quanto ne so, non c’è nessuna installazione importante, al mondo, dedita a SETI a tempo pieno.»

«No, ma ci può essere. Esiste una probabilità che dozzine di paraboloidi supplementari vengano aggiunti al Very Large Array e lo trasformino in un osservatorio riservato a SETI. Farebbero anche qualcosa del solito lavoro di radioastronomia, naturalmente. Sarebbe un superbo interferometro. Si tratta soltanto di una possibilità, è costosa, richiede una reale volontà politica, e nel migliore dei casi si realizzerà fra degli anni. Solo qualcosa da pensarci su.»

«Peter, ho appena esaminato una quarantina di stelle vicine, del tipo a spettro solare approssimativo. Ho guardato nella riga di ventun centimetri dell’idrogeno, che tutti dicono sia l’ovvia frequenza di segnale, perché l’idrogeno è l’elemento più abbondante dell’Universo, e così via. E ho operato con la più alta sensibilità mai sperimentata. Non c’è traccia di un segnale. Forse non c’è nessuno là fuori. Forse l’intera faccenda è una perdita di tempo.»

«Come la vita su Venere? Chiacchiere da quattro soldi. Venere è un mondo infernale; è solo un pianeta. Ma ci sono centinaia di miliardi di stelle nella Galassia. Ne hai guardate pochissime. Non diresti che sia un po’ prematuro rinunciare? Hai trattato una miliardesima parte del problema. Probabilmente ancora meno, se consideri altre frequenze.»

«Lo so, lo so. Ma non hai la sensazione che se sono da qualche parte, siano ovunque? Se esseri davvero avanzati vivono mille anni luce lontano da noi, non dovrebbero avere un avamposto nelle nostre vicinanze? Si potrebbe fare il SETI per sempre, sai, e non convincersi mai di aver completato la ricerca.»

«Oh, stai cominciando a parlare come Dave Drumlin. Se non possiamo trovarli durante la nostra vita, lui non è interessato. Siamo solo all’inizio del SETI. Tu sai quante possibilità ci sono. E’ il momento di lasciare aperta ogni opzione; è il momento di essere ottimisti. Se vivessimo in un qualsiasi periodo precedente alla storia umana, potremmo porci degli interrogativi a questo j proposito per tutta la nostra esistenza e non potremmo fare nulla per trovare una risposta. Ma questo momento è unico. E’ la prima volta che qualcuno è in grado di cercare un’intelligenza extraterrestre. Hai costruito il rivelatore per cercare civiltà sui pianeti di milioni di altre stelle. Nessuno ti sta garantendo il successo, ma puoi pensare a un problema più importante? Supponi che là fuori ci stiano inviando dei segnali e che nessuno sulla Terra stia ascoltando. Sarebbe una beffa, un’assurdità. Non ti vergogneresti della tua civiltà se fossimo in grado di ascoltare e non avessimo lo spirito d’iniziativa per farlo?»

Duecentocinquantasei immagini del mondo di sinistra sciamarono sulla sinistra. Duecentocinquantasei immagini del mondo di destra scivolarono via a destra. Integrò tutte le cinquecentododici immagini in una visione avvolgente di ciò che la circondava. Si trovava immersa in una foresta di grandi steli ondeggianti, alcuni verdi, altri scoloriti, quasi tutti più grossi di lei. Ma non aveva difficoltà ad arrampicarsi su e giù, a mantenersi talvolta in equilibrio precario su uno stelo ricurvo, a cadere sul soffice cuscino di steli coricati che si stendeva sotto di lei, e quindi a continuare con precisione nel suo viaggio. Poteva dire di seguire la pista giusta. Faceva meravigliosamente fresco. Non le sarebbe importato nulla, se era là che la pista conduceva, di scalare un ostacolo cento o mille volte più alto di lei. Non aveva bisogno di piloni o di funi; era già equipaggiata. Il terreno immediatamente davanti a lei era fragrante di un odore caratteristico lasciato di recente, ne era certa, da un’altra esploratrice del suo clan. Portava al cibo; lo faceva quasi sempre. Il cibo appariva automaticamente. Le esploratrici lo trovavano e segnavano il cammino. Lei e le sue compagne lo avrebbero riportato indietro al nido. Talvolta il cibo era una creatura abbastanza simile a lei; altre volte si trattava soltanto di un pezzette amorfo o cristallino. Di quando in quando era così grande che richiedeva l’ausilio di molti individui del suo clan, che dovevano lavorare assieme, sollevandolo e facendolo avanzare sugli steli piegati, per portarlo a casa. Fece schioccare le mandibole pregustandone il sapore. «Quello che mi preoccupa di più,» continuò lei, «è il contrario, cioè la possibilità che loro non stiano provando. Potrebbero comunicare con noi, d’accordo, ma non lo stanno facendo perché non ci vedono nessuno scopo. Come…» — gettò un’occhiata all’orlo della tovaglia che avevano disteso sull’erba — «come le formiche. Occupano il medesimo nostro paesaggio. Hanno moltissimo da fare, una quantità enorme di cose che le tengono occupate. A un certo livello, sono perfettamente consapevoli del loro ambiente. Ma noi non cerchiamo di comunicare con loro. Perciò non penso che abbiano la più vaga idea della nostra esistenza.»

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