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Carl Sagan: Contact

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Ellie è il direttore del «Progetto Argus,» nel quale i segnali provenienti dallo spazio e captati da radiotelescopi nel Nuovo Messico sono analizzati intensivamente per cercare l’intelligenza extraterrestre (SETI). Dopo un po’, il progetto scopre, effettivamente, la prima comunicazione confermata da esseri extraterrestri, una serie ripetitiva dei numeri primi sino al 261 (una sequenza di numeri primi è un primo messaggio comunemente previsto da intelligenza aliena, poiché la matematica è considerata «un linguaggio universale», ed è congetturato che le procedure che producono i numeri primi successivi sono sufficientemente complicate da richiedere intelligenza per effettuarli). Un’ulteriore analisi del messaggio rivela che due messaggi supplementari sono codificati all’interno di esso in forme differenti di modulazione del segnale. Il secondo messaggio è un abecedario, una specie di manuale d’istruzioni che insegna come leggere ulteriori comunicazioni. Il terzo è il messaggio vero e proprio, i progetti per una macchina che sembra essere un genere di veicolo altamente avanzato, destinata ad ospitare un equipaggio umano. Una sottotrama vede Ellie interagire con una coppia di predicatori cristiani, che dibatte in maniera informale l’esistenza di Dio. Applicando il metodo scientifico, dichiara che «non esiste una prova schiacciante che Dio esista… e non esiste una prova schiacciante che Dio non esista.» Infine, una macchina è costruita con successo ed attivata, e trasporta cinque passeggeri — compresa Ellie — attraverso i buchi neri in un luogo vicino al centro della Via Lattea, dove vengono a contatto con i mittenti del messaggio. Molte delle domande dei viaggiatori trovano risposta. Al ritorno, i passeggeri scoprono che la loro esperienza che soggettivamente per loro era durata molte ore, sulla Terra era durata solo circa venti minuti, e che tutta la loro registrazione video è stata cancellata, presumibilmente da un certo fenomeno nel veicolo. Rimangono pertanto privi di prove del loro racconto.

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Al di là delle accorate esortazioni a Ellie e Staughton a non «farsi la guerra», sua madre partecipava poco a tali discussioni. In privato implorava Ellie di obbedire al patrigno, di essere «buona». Ellie ora sospettava che Staughton avesse sposato sua madre per l’assicurazione sulla vita di suo padre; per quale altra ragione altrimenti? Certamente «lui» non dava segni di amarla, non era predisposto certo a essere «buono». Un giorno, con una certa agitazione, sua madre le chiese di fare qualcosa per il bene di tutti loro: di frequentare il corso biblico. Mentre suo padre, uno scettico sulle religioni rivelate, era stato vivo, non si era mai parlato di corsi biblici. Come poteva sua madre aver sposato Staughton?

L’interrogativo le si presentò per la millesima volta. Il corso biblico, sua madre proseguì, avrebbe contribuito a inculcarle le virtù tradizionali; ma, cosa persino più importante, avrebbe dimostrato a Staughton che Ellie era disposta a venirgli incontro in qualche modo. Per amore e per pietà verso sua madre, acconsentì. Così ogni domenica, per quasi un intero anno scolastico, Ellie partecipò alle regolari discussioni di un gruppo in una chiesa vicina. Era una delle rispettabili sette protestanti, immune da sregolato evangelismo. C’erano alcuni studenti di scuola superiore, un certo numero di adulti, in massima parte donne di mezza età, e l’istruttrice, la moglie del ministro del culto. Ellie non aveva mai letto seriamente la Bibbia prima di allora ed era stata incline ad accettare il giudizio forse ingeneroso di suo padre che si trattasse di un coacervo di storia barbara e di favole. Così durante il fine settimana precedente la sua prima lezione, lesse attentamente quelle che sembravano le parti più importanti del Vecchio Testamento, cercando di superare ogni pregiudizio. Immediatamente riconobbe che c’erano due differenti e contraddittorie storie della Creazione nei primi due capitoli della Genesi. Non vedeva come ci potessero essere la luce e i giorni prima che venisse creato il Sole, ed ebbe delle difficoltà a immaginarsi esattamente con chi si fosse sposato Caino. Le storie di Lot e delle sue figlie, di Abramo e Sarah in Egitto, del fidanzamento di Dinah, di Giacobbe ed Esaù, la riempirono di stupore. Si rendeva conto che la viltà può essere presente nel mondo reale: che i figli possono ingannare e defraudare un vecchio padre, che un uomo può dare il suo squallido consenso alla seduzione della moglie da parte del re, o persino incoraggiare lo stupro delle proprie figlie. Ma nel santo libro non c’era una parola di protesta contro tali oltraggi. Invece, a quanto pareva, i crimini venivano approvati, addirittura lodati. Quando il corso cominciò, desiderava ardentemente una discussione su queste irritanti incoerenze, un’illuminazione liberatoria sui fini divini, o almeno una spiegazione del perché quei delitti non venissero condannati dall’autore o dall’Autore. Ma in ciò doveva restar delusa. La moglie del ministro temporeggiava blandamente. In un modo o nell’altro, quelle storie non venivano mai a galla nella discussione che seguiva. Quando Ellie domandò come le ancelle della figlia del faraone potessero dire con una sola occhiata che il piccino tra i giunghi era ebreo, l’insegnante arrossì fino alla radice dei capelli e pregò Ellie di non rivolgere domande indecenti. (La risposta le apparve in quel momento.)

Quando arrivarono al Nuovo Testamento, il turbamento di Ellie crebbe. Matteo e Luca ricostruivano l’albero genealogico di Gesù risalendo fino a re David. Ma per Matteo c’erano ventotto generazioni fra David e Gesù; per Luca quarantatré. I due elenchi non avevano quasi nessun nome in comune. Come potevano Matteo e Luca essere entrambi il Verbo di Dio? Le genealogie contraddittorie sembravano a Ellie un tentativo lampante di adattarsi alla profezia di Isaia dopo l’evento. Una vera manipolazione dei dati. Fu profondamente commossa dal Sermone della montagna, profondamente delusa dall’esortazione di dare a Cesare quel che è di Cesare, e ridotta alla disperazione dopo che l’istruttrice eluse per due volte le sue domande sul significato di «Io non porto la pace ma la spada». Riferì alla madre dispiaciuta che aveva fatto del suo meglio, ma neppure con gli argani l’avrebbero trascinata a un altro corso biblico.

Era sdraiata sul suo letto in una calda notte d’estate. Elvis stava cantando «One night with you, that’s what I’m beggin’ for». I ragazzi alla scuola superiore sembravano terribilmente immaturi, ed era difficile — specialmente con le critiche e i divieti del patrigno — stabilire rapporti profondi con i giovani universitari che incontrava alle conferenze e alle riunioni. John Staughton aveva ragione, riconosceva a malincuore, almeno su questo punto: i giovanotti, quasi senza eccezione, avevano una tendenza a considerare le ragazze un oggetto sessuale. Nello stesso tempo, essi sembravano molto più vulnerabili emotivamente di quanto si fosse immaginata. Forse una cosa era la conseguenza dell’altra. Aveva quasi preso in considerazione l’eventualità di non frequentare il college, benché fosse risoluta a lasciare la casa. Staughton non avrebbe pagato perché lei se ne andasse altrove e le blande intercessioni di sua madre erano inefficaci. Ma Ellie aveva conseguito risultati splendidi ai tradizionali esami di ammissione al college ed ebbe la sorpresa di sentirsi dire dai suoi insegnanti che probabilmente avrebbe ricevuto l’offerta di borse di studio da famose università. Aveva tirato a indovinare a una quantità di domande che presentavano un’ampia gamma di risposte e considerava il suo successo un colpo di fortuna. Se si sa poco, solo quel tanto che basti a escludere tutte le risposte, tranne le due più probabili, e se poi si cerca di indovinare le prossime dieci domande, allora c’è pressappoco una possibilità su mille, si disse, che si risponda correttamente a tutte e dieci. Per venti di seguito, le probabilità erano una su un milione. Ma qualcosa come un milione di ragazzi, quasi certamente, avevano sostenuto quella prova. «Qualcuno» doveva per forza avere fortuna.

Cambridge nel Massachusetts sembrava abbastanza lontano per sottrarsi all’influenza di John Staughton, ma abbastanza vicino per tornare durante le vacanze a vedere sua madre, la quale considerava l’accomodamento come un difficile compromesso tra l’abbandonare la figlia e l’irritare sempre più il marito. Ellie non si sarebbe mai immaginata di scegliere Harvard invece del Massachusetts Insti tute or Technology.

Arrivò per un periodo di orientamento, graziosa giovane bruna di media altezza con un sorriso asimmetrico e una gran voglia di imparare tutto. Incominciò ad allargare la sua educazione, a partecipare al maggior numero possibile di corsi indipendentemente dai suoi interessi primari per la matematica, la fisica e l’ingegneria. Ma c’era un problema connesso ai suoi interessi primari. Trovava difficile parlare di fisica, impossibile poi discuterne con i maschi che erano decisamente in maggioranza nel corso. Dapprima manifestavano una sorta di disattenzione intenzionale alle sue osservazioni, c’era una breve pausa e poi continuavano come se lei non fosse intervenuta. Occasionalmente davano retta a un suo commento, addirittura la lodavano, e poi di nuovo proseguivano imperterriti. Lei era ragionevolmente sicura che le sue osservazioni non fossero del tutto sciocche e non voleva che la ignorassero, meno ancora che la ignorassero e la trattassero con degnazione a fasi alterne. In parte, ma solo in parte, ciò era dovuto, ne era consapevole, alla esilità della sua voce. Così sviluppò una voce per la fisica, una voce professionale: chiara, competente, e di molti decibel al di sopra del tono di una conversazione. Con una voce simile era importante aver ragione. Doveva cogliere al balzo i suoi momenti. Era duro continuare a lungo con una voce siffatta perché talvolta correva il rischio di scoppiare a ridere. Allora optò per interventi veloci, talvolta taglienti, di solito sufficienti ad attirare la loro attenzione; poi poteva proseguire per un po’ in un tono più usuale. Ogni volta che si trovava in un nuovo gruppo doveva rinnovare la stessa battaglia solo per poter dire la sua nella discussione. I ragazzi uniformemente ignoravano perfino che ci fosse un problema.

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