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Lester del Rey: Nelle tue mani

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Lester del Rey Nelle tue mani

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Era incredibile che lei riuscisse a capire quei suoi movimenti appena accennati, eppure sentì che il suo braccio veniva sollevato e posto sopra il suo petto, non appena ebbe desiderato di farlo. Ma non erano affari suoi chiedersi il come e il perché. Doveva dedicare tutta la sua restante energia a recuperare interamente le forze, prima che gli uomini riuscissero a trovare l’Albero!

«Così; io giro questo… questo dado. E quest’altro… Ecco, la piastra è tolta. Cosa faccio adesso?»

Questo lo fermò. La forza vitale era stata fatale a un maiale, e con ogni probabilità avrebbe ucciso anche una donna. Eppure lei si fidava di lui. Non osò muoversi… eppure l’intenzione doveva aver prodotto un moto istintivo, poiché le sue dita furono scostate, le mani di lei gli penetrarono nel petto e un istante dopo un’ondata d’energia gli attraversò tutto il corpo.

Le dita di lei gli si erano appoggiate sopra gli occhi, ma non ebbe bisogno del loro aiuto quando strappò via il pezzo guasto e inserì il ricambio, ripristinando i circuiti. Ora c’era preoccupazione nella voce della donna, malgrado si sforzasse di tenerla calma: «Non restare troppo sorpreso da ciò che vedrai. Va tutto bene».

«Va tutto bene!» ripeté lui, obbediente, sillabando le parole mentre la voce gli risuonava di nuovo alle orecchie. Per pochi istanti ancora, mentre riavvitava la piastra, lasciò che lei gli tenesse gli occhi chiusi. «Donna, chi sei?»

«Eva. E… si, Adamo, questi nomi andranno bene per noi». Le dita si ritrassero dagli occhi, anche se lei gli rimase alle spalle, fuori dalla sua vista.

Ma il primo sguardo che lui rivolse davanti a sé fu sufficiente. Malgrado le file di scaffali pieni di libri e di bobine di film, le macchine, e le dimensioni del laboratorio, quello era chiaramente il duplicato della sua caverna, circondato dalle stesse pareti di cemento. Ciò poteva significare solamente… l’Albero!

Con un balzo frenetico si girò per affrontare la sua salvatrice, e vide davanti a sé un altro robot, più piccolo e grazioso, dalle forme femminili, la risposta a tutte le sue brame, a tutta la solitudine che aveva conosciuto! Ma quelle emozioni l’avevano tradito già altre volte, e le ricacciò indietro con rabbia. Non poteva esserci nessun dubbio, visto che quelle dannate lettere spiccavano anche sul corpo di lei… Satana era maschio e femmina e il Male si era mosso per salvare la sua razza!

Quell’inferno di emozioni doveva esser trapelato, almeno in parte, all’esterno, poiché lei si stava ritraendo, annaspando con le mani per coprire i segni che lui stava fissando. «Adamo, no! Quell’uomo ha letto male, sciaguratamente male. Non è un nome, noi siamo macchine, e tutte le macchine hanno la sigla e il numero del modello, come questo. Satana non ostenterebbe mai, così, il suo nome. Ed io non ho mai avuto intenzioni diaboliche!»

«Neppure io!» Smozzicò le parole, incespicando sugli oggetti sparsi sul pavimento, facendola arretrare un po’ per volta, fino a intrappolarla in un angolo senza uscita della caverna, cercando allo stesso tempo di controllare le proprie emozioni che si ribellavano a ciò che lui doveva fare. «Il male dev’essere distrutto! Il sapere è vietato agli uomini!»

«Non tutto il sapere… Aspetta! Lasciami finire! Un condannato ha sempre il diritto alle sue ultime parole… L’albero del sapere era del Bene e del Male. Dio lo chiamò così! E proibì loro di mangiarne i frutti perché essi non potevano sapere quale fosse il bene; non capisci? Lui li voleva proteggere fino a quando non fossero stati più saggi e in grado di scegliere da soli! Soltanto che… Satana diede ad essi il frutto del male: l’odio e l’assassinio , per rovinarli. Diresti mai che la guarigione dei malati, il buon governo o il giusto uso degli animali siano il male? È il sapere, Adamo: il benefico, glorioso sapere che Dio vuole che l’uomo abbia. Non capisci?»

Per un attimo, quando lesse in lui la risposta, il robot-femmina si voltò per fuggire; poi, con un piccolo singhiozzo, tornò a fronteggiarlo senza opporgli resistenza.

«Va bene, ammazzami pure! Credi forse che la morte mi spaventi, dopo esser rimasta prigioniera, qui dentro, per seicento anni senza alcun modo per liberarmi? Soltanto… fai in fretta!»

La sorpresa e la sfrontatezza di quella menzogna trattennero la sua mano mentre il suo sguardo andava dallo scavatore atomico a una grossa trivella a un bidone con la scritta «Esplosivo». Eppure, neanche queir occhiata superficiale poteva trascurare il pavimento consunto e tanti altri segni di molti secoli di occupazione, come pure l’indubbio fatto che la cupola, fino a poche ore prima, era rimasta intatta. Con riluttanza il suo sguardo tornò allo scavatore, e anche lei lo guardò.

«Non serve a niente! Le istruzioni su di esso dicono di mettere sullo zero qualcosa contrassegnato "Controllo dell’Orifizio", prima di cominciare a usarlo. Così come sta, non si muove!»

Il robot-femmina si fermò, sbalordita, senza più parole, quando vide le dita di lui sollevare la piccola leva dal dente di arresto, facendola scattare sullo zero della scala! Poi, scosse la testa, sconfitta, e alzò le mani per aiutarlo, svogliatamente, a svitare la propria piastra toracica. Riprese a parlare, con voce priva d’emozione:

«Seicento anni soltanto perché non ho mosso una leva! Soltanto perché mi manca qualunque concetto della meccanica, là dove invece tutti gli uomini l’hanno per istinto, dando tutto ciò per scontato. Col tempo, un uomo avrebbe imparato a dominare queste macchine e avrebbe dato un significato ai libri che io ho memorizzato senza neppure capirne i titoli. Ma io sono come il cane che cerca di aprire la porta a unghiate, mentre ha il più semplice dei chiavistelli proprio davanti al naso. Be’, è finita. Addio, Adamo!»

Ma lui, per qualche sconvolgente motivo, pur avendo i cavi di lei, scoperti, a pochi centimetri dalle mani, esitò. Sì, le istruzioni non avevano parlato del dente di arresto; era qualcosa di troppo ovvio perché qualcuno pensasse a menzionarlo… Cercò d’immaginarsi una simile, totale ignoranza, e trasalì quando gli occhi gli caddero sopra uno dei trattati elementari sulla radio, in uno scaffale davanti a lui: «Applicazioni d’un Risonatore di Cavità». Si rese conto, riflettendoci su, che una traduzione letterale, non tecnica, era priva di significato: «Uso d’un produttore o rafforzatore di suoni in un buco»! Ma quasi subito gli balzò alla mente un fatto da lui trascurato:

«Ma sei uscita!»

«Perché ho perso la pazienza e ho scagliato il piccone contro la parete. E ho scoperto allora che la sua lama era il metallo, e non il legno! Le uniche macchine che potevo usare erano il proiettore e la macchina per scrivere… e la macchina per scrivere si è rotta!»

«Uhmmmm…» Prese su la piccola macchina, notando il foglio ingiallito e incompleto infilato dentro, mentre staccava l’uno dall’altro le levette di due tasti che erano rimaste incrociate e manovrava avanti e indietro il cervello. Ma la sua attenzione era soprattutto rivolta alle schegge di cemento conficcate dentro il manico scheggiato del piccone.

Nessuno, uomo o robot, poteva essere così stupido o incapace, eppure lui non dubitava più. Lei era un robot stupido, idiota! E se il sapere era male, lei certamente apparteneva a Dio! Tutto l’orrore dell’assassinio che era stato sul punto di commettere, scomparve, lasciando la sua mente ripulita, e debole, davanti al sollievo che l’invase quando le fece cenno di uscire.

«D’accordo, non sei il male. Puoi andare».

«E tu?»

E lui? Prima, nella veste di Satana, le argomentazioni di lei sarebbero state plausibili, e lui le aveva date per scontate. Ma adesso… si, era davvero l’Albero del Sapere del Bene e del Male! Eppure…»

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