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Lester del Rey: Nelle tue mani

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Lester del Rey Nelle tue mani

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Il sapere! Il sapere, proibito da Dio! Satana aveva posto sui suoi passi tutto il male simboleggiato dall’Albero del Sapere, nascosto lì in quel falso uovo, e lui c’era quasi cascato! Qualche minuto ancora… Rabbrividì e arretrò, ma dentro di lui l’ottimismo stava riprendendo vigore. Perché, se c"era l’albero, ciò significava che quello era davvero l’Eden, e poiché lui era stato messo sull’avviso dal segno di Dio, non aveva paura degli inganni di Satana, vivo o morto.

Con lunghi passi saltellanti discese la collina, dirigendosi verso le praterie e il bosco, lasciandosi alle spalle la barca, adesso inutile. Sarebbe entrato nell’Eden camminando coi propri piedi, così come Dio l’aveva creato!

Mezz’ora più tardi fischiettava tra sé tutto felice mentre passava accanto a campi lussureggianti, ricchi di vegetazione, lungo un piccolo sentiero che costeggiava il bosco. Qui c’erano ordine e logica, proprio come doveva essere. Quello era certamente l’Eden!

E a conferma, arrivò Eva! Stava arrivando dal lungo sentiero che lui stava percorrendo, i capelli al vento, e una veste sciolta che le modellava i fianchi e i seni: l’intera forma che la veste celava senza nasconderla era quella di una donna, inequivocabilmente donna, e bella. Si tirò indietro, nascondendosi alla vista di lei, all’improvviso spaurito e incerto, chiedendosi vagamente come avesse fatto ad arrivargli davanti. Poi gli fu accanto, e lui si mosse d’impulso. La sua voce fu un sussurro estatico:

«Eva!»

«Oh, Dan, Dan!» Fu uno strillo acuto che tagliò l’aria, e lei fuggi via, in preda al panico, nel folto del bosco. Lui scosse la testa sbalordito, mentre le sue gambe pomparono con più forza per inseguirla.

Le era quasi addosso quando vide il serpente, vivo e più forte di prima!

Ma non per molto! Mentre lei cacciava un breve rantolo, una delle sue braccia la sollevò, scostandola, mentre l’altra scattò all’infuori e fece schizzar via la testa dai denti venefici dal resto del corpo. La voce del robot fu di gentile rimprovero, quando tornò a metterla giù: «Non avresti dovuto fuggire dal serpente, Eva!»

«Dal… Ugh! Ma… Avresti potuto uccidermi, prima che lui mi avesse morso!» Il pallore terrorizzato stava svanendo dal suo viso, sostituito da un atteggiamento di sfida e di dubbio.

«Ucciderti?»

«Sei un robot! Dan!» I suoi richiami s’interruppero quando una figura nerboruta emerse dal sottobosco stringendo un’ascia in mano; uno splendido cane comparve subito dopo. «Dan, mi ha salvato la vita… ma è un robot!»

«Ho visto, Syl. Stai calma. Vieni qui accanto a me, se puoi. Bene, così! A volte hanno dei periodi di passività ho sentito dire. Shep!»

Il cane rispose con un sordo ringhio, ma i suoi occhi rimasero incollati sul robot. «Sì, Dan?»

«Vai a chiamare gli altri! Grida la parola "robot" e torna indietro. Su. vai!» Disse Dan al cane. Poi, rivolto al robot: «E tu… cosa vuoi?»

SA-10 replicò con un aspro grugnito, curvando le spalle. «Cose che non esistono! Compagnia, e la possibilità d’impiegare la mia forza e la scienza che conosco. Forse non dovrei voler questo, ma non importa. Lo voglio!»

«Uhmmm… Ci sono storie su robot amichevoli nascosti da qualche parte, pronti ad aiutarci, sì, le ho sentite. E abbiamo certamente bisogno d’aiuto. Qual è il tuo nome e da dove vieni?»

La voce del robot era intrisa d’amarezza quando indicò la direzione a monte del fiume. «Dal lato del sole. Finora sono riuscito soltanto a scoprire ciò che non sono!»

«Dunque, è così? Avevo intenzione di recarmi laggiù io stesso, una volta terminato d’insediare la colonia». Dan fece una pausa, studiando soprappensiero la figura metallica. «Durante gli anni dell’inferno abbiamo perduto i nostri libri, o almeno quasi tutti, e i sopravvissuti non erano esattamente dei tecnici. Così, pur cavandocela con le bestie, l’agricoltura, la medicina e cose del genere, per il resto siamo piuttosto primitivi. Se davvero conosci le scienze, perché non rimani con noi?»

Il robot aveva visto troppe speranze infrante, allo stesso modo del suo uomo d’argilla, per fidarsi del tutto di quella promessa d’uno scopo e di compagnia, ma la sua voce mostrò una traccia di commozione quando rispose: «Voi… voi mi volete?»

«Perché no? Sei un magazzino di sapere, Say-Ten, e noi…»

«Satana?» [1] SA-10 si legge in inglese Say-Ten, pronuncialo quasi uguale a Satana. (N.d.T.)

«Il tuo nome. Ce l’hai lì sul petto». Dan gliel’indicò con la mano sinistra, il suo corpo si era fatto d’improvviso teso. «Vedi? Proprio lì!»

Ora, quando SA-10 allungò il collo e guardò in basso, quelle oscene lettere divennero visibili, alte e ben chiare sul suo petto! Esse, A…

Il primo avvertimento fu dato dall’ascia che si schiantò sopra il suo petto, facendolo barcollare all’indietro sui calcagni… e poi scese di nuovo, proiettata da muscoli che parvero vigorosi quasi quanto i suoi. Al terzo colpo, qualcosa si ruppe dentro di lui. Tutte le sue forze svanirono, e crollò al suolo con uno schianto sferragliante, che gli chiuse le palpebre per il contraccolpo. E giacque la, incapace perfino di riaprire gli occhi.

Non tentò neppure di farlo, ma giacque aspettando quasi con ansia i colpi finali, che l’avrebbero finito. Satana, il magazzino del sapere, il tentatore degli uomini… l’unico essere che aveva imparato a odiare! Aveva fatto tutta quella strada per trovare un nome e uno scopo; adesso li aveva! Non c’era da meravigliarsi che Dio l’avesse chiuso in una caverna per tenerlo lontano dagli uomini.

«Morto! Quella vecchia favoletta mi ha permesso di coglierlo alla sprovvista». L’uomo scoppiò in una risata nervosa. «Spero che il suo generatore funzioni ancora. Con quello, potremo scaldare tutte le case della colonia. Chissà dov’era il suo nascondiglio?»

«Come quello, su a nord, con tutte le armi nascoste? Oh, Dan!» Uno strano suono schioccante accompagnò la frase, poi la voce parlò ancora, più calma: «Sarà meglio tornare indietro e chiedere aiuto per trasportarlo».

I loro passi si allontanarono, lasciando il robot ancora immobile ma non più passivo. L’Albero del Sapere, così facilmente visibile senza la copertura di rampicanti, era appena a una ventina di miglia, e non ci avrebbero impiegato molto a scoprirlo! Doveva distruggerlo prima che ciò accadesse!

Ma, a stento la piccola batteria riusciva a mantenerlo cosciente, e il generatore non rispondeva più ai suoi comandi. I sensori continuavano a inviargli messaggi attraverso i nervi, garantendogli che il generatore funzionava ancora, ma sull’automatico, fuori dal suo controllo. Già prima, un intera sezione dei suoi circuiti era guasta, probabilmente era stato il sovraccarico d’energia da lui usato per cuocere l’uomo d’argilla… e adesso comunque i colpi e la caduta avevano completato l’opera, cortocircuitando tutti i restanti circuiti collegati al generatore e lasciandolo nell’incapacità di muovere un solo dito.

Neppure quando escludeva del tutto la sua mente, la batteria riusciva a far muovere le sue mani. La sua opera demoniaca era compiuta: ora lui avrebbe riscaldato le loro case, mentre essi avrebbero cercato le tentazioni che lui aveva loro offerto. E non poteva far nulla per impedirlo. Dio gli negava perfino la possibilità di rimediare al male che aveva fatto.

Continuò a pregare, con amarezza, mentre strani rumori si udivano accanto a lui. Si sentì sollevare e portar via in una corsa sussultante. Dio non voleva ascoltarlo! Alla fine, cessò di pregare, mentre la corsa sussultante continuava, qualunque fosse la sua meta. Poi, anche la corsa finì e vi furono istanti di assoluto silenzio.

«Ascolta! So che sei ancora vivo!» Era una voce dolce, quasi ipnotica, che s’insinuò nei vortici oscuri dei suoi pensieri, e li placò. Pensò a Dio, per un attimo, ma questa era una voce femminile, e ciò voleva dire che una delle donne della colonia doveva aver creduto in lui e stava tentando segretamente di salvarlo. L’udì di nuovo: «Ascolta e credimi! Tu puoi muoverti… molto poco, sì, ma quanto basta perché io possa cogliere l’intenzione di ogni tuo movimento. Cerca di riparare te stesso, e io sarò la forza delle tue mani. Prova… Ah, il tuo braccio!»

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