Connie Willis - Il raggio di Schwarzschild
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- Название:Il raggio di Schwarzschild
- Автор:
- Издательство:Fanucci
- Жанр:
- Год:1998
- Город:Roma
- ISBN:88-347-0623-4
- Рейтинг книги:5 / 5. Голосов: 1
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«Schwarzschild non può essere riformato,» dico. «Il fronte è dentro di lui.»
Il dottore rimette a posto il rotolo di garza e chiude la borsa. «Quando la strada verrà sgombrata, ti faccio riformare per sintomi da assideramento. Anche Muller.»
Muller è tanto sorpreso che si lascia sfuggire: «Non ho sintomi da assideramento.»
Ma il dottore non ascolta più. «Dovete fuggire entrambi,» dice, e non sono nemmeno sicuro che si stia ascoltando mentre lo dice, «finché potete.»
«Ho una teoria sul perché non mi hai parlato dei problemi di Schwarzschild,» dice Muller appena il dottore se ne è andato.
«Vado a prendere la posta.»
«Non ce ne sarà,» mi urla dietro Muller. «Le linee di rifornimento sono bloccate.» E invece c’è posta, sparpagliata fra i pezzi della motocicletta. Ne mancano solo pochi. Appena la strada verrà liberata, la recluta potrà montare in sella e andarsene.
Raccolgo le lettere e le porto alla luce della lanterna per leggerle, ma i miei occhi sono messi proprio male, non vedo altro che macchie rosse. «Le porto alla baracca della trasmittente,» dico, e la recluta annuisce senza nemmeno girarsi.
Comincia a nevicare. Muller mi intercetta sulla porta ma io entro passandogli accanto e alzo al massimo la fiamma della stufa, tenendoci le lettere dietro.
«Te le leggo io,» dice Muller curioso, frugando tra le buste che ho scartato. «Guarda qua, c’è una lettera di tua madre. Forse ti ha mandato i guanti.»
Osservo minutamente le lettere una per una mentre lui apre per me quella di mia madre. Sebbene le tenga cosi vicine alla fiamma che la carta si comincia a bruciacchiare, non riesco a distinguerne i nomi.
«“Caro figlio,”» legge Muller, «“non ho tue notizie da tre mesi. Ti hanno ferito? Stai male? Ti serve niente?”»
L’ultima lettera è da parte del professor Zuschauer a Jena. Riesco a leggerne il nome abbastanza chiaramente nell’angolo della busta, ma il mio è solo una macchia illeggibile. La apro. Non c’è scritto niente sulla carta rossa.
La passo a Muller. «Leggimela,» dico.
«Non ho ancora finito quella di tua madre,» dice Muller, ma poi prende la lettera e la legge: «“Caro Herr Rottschieben, ho ricevuto la sua lettera ieri. Quasi non riuscivo a capire la sua scrittura. Non avete penne decenti al fronte? La malattia di cui mi parla si chiama malattia di Neumann o pemfigo…”»
Gli strappo via la lettera dalle mani e corro verso la porta. «Fammi venire con te!» strilla Muller.
«Devi rimanere a controllare la trasmittente!» rispondo euforico, correndo poi lungo la trincea di comunicazione. Schwarzschild non ha il fronte dentro. Ha il pemfigo, ha la malattia di Neumann, e ora lo si può riformare e mandare a casa, in ospedale.
Cado e penso di essere inciampato su un elmetto o una scatoletta di carne gettati via, ma c’è un crollo, e terra e materiale di rinforzo mi cadono tutto attorno. Sento il ronzio basso di una bomba antiuomo e mi appiattisco nella trincea, ma il ronzio non si trasforma in lamento. Si interrompe, c’è un altro crollo e la trincea mi frana addosso.
Mi arrampico mani e piedi fuori dalla trincea prima che mi soffochi e striscio lungo il bordo verso il rifugio sotterraneo di Schwarzschild, ma la trincea è franata in tutta la sua lunghezza e quando emergo al di sopra della terra crollata, mi smarrisco nel turbinio della neve.
Non saprei dire da che parte è il fronte, ma sento che è molto vicino. Il rumore mi giunge da tutte le direzioni, un ruggito assordante nel quale non si distingue alcun singolo suono. La neve è tanto fitta che non riesco nemmeno a vedere le vampate di fuoco dei cannoni quando sparano, e non c’è tratto dell’orizzonte che sembri più rosso dell’altro. È tutto rosso, anche la neve.
Striscio in direzione di ciò che suppongo sia la trincea, ma appena lo faccio mi trovo nel filo spinato. Mi fermo, col fiatone, faccia e mani immerse nella neve. Sono dalla parte sbagliata. Sono al fronte. Distinguo un suono all’interno della confusione generale, un rumore di copertoni sulla neve, e penso che sia un carro armato e proprio non ce la faccio a respirare. Il rumore si fa più vicino, ma riesco ad alzare gli occhi e vedo la recluta che lavorava in fureria.
È molto lontano, al di là di un filo spinato tutto attorcigliato, ma lo distinguo abbastanza chiaramente a dispetto della neve. Ha aggiustato la motocicletta, e mentre lo sto a guardare vi si lancia a cavalcioni e preme sull’acceleratore. «Vai!» urlo. «Vattene via!» La motocicletta fa un salto in avanti. «Vai!»
La moto si dirige verso di me, in piena accelerazione. Si impenna, e penso che stia per saltare sopra il filo spinato, e invece crolla in terra, prima il veicolo e poi la recluta che rotolano lentamente fino a incastrarsi negli spuntoni di ferro. La terra trema e cado anch’io.
Sono finito nel rifugio di Schwarzschild. Metà è franato, con le travi di legno che spuntano ormai a pezzi dal mucchio di terra e neve, ma la coperta è ancora sulla porta, e Schwarzschild se ne sta appoggiato a una sedia. Il dottore è piegato su di lui. Schwarzschild si è tolto la camicia. Sembra che al petto gli sia accaduto la stessa cosa successa ad Hans.
Il fronte ruggisce e crolla un’altra parte del soffitto. «È tutto a posto! È una malattia!» urlo cercando di farmi sentire. «Le ho portato una lettera per dimostrarglielo,» e gli passo la lettera che ho tenuta stretta nella mia mano insensibile.
Il dottore afferra la lettera. La neve entra vorticosa attraverso il tetto distrutto, ma Schwarzschild non si rimette la camicia. Rimane a osservare, apatico, mentre il dottore legge.
«“I sintomi di cui mi parla sono quasi sicuramente quelli della malattia di Neumann o pemfigo comune. Ho avuto in cura due pazienti con questa malattia, entrambi ebrei. È una malattia delle membrane mucose e non è contagiosa. Le cause sono sconosciute. Conduce sempre alla morte.”» Il dottor Funkenheld appallottola la carta. «Si è fatto tutta questa strada in mezzo a un bombardamento per dirmi che non c’è speranza?» grida con una voce che non riconosco nemmeno, tanto è differente dal suo pacato tono da dottore. «Avrebbe dovuto tentare di fuggire. Avrebbe…» e sparisce sotto una frana di terra e schegge di legno.
Mi faccio strada verso Schwarzschild nel maelstrom di polvere rossa e neve. «Si rimetta la camicia!» gli urlo. «Dobbiamo andarcene!» Striscio verso la porta per vedere se si riesce a uscire dalla trincea di comunicazione.
Muller entra tirando via la coperta. Trasporta in mano, incredibile a credersi, la trasmittente. Dietro a lui seguono le cuffie nella neve. «Sono venuto a vedere che cosa ti era successo. Pensavo che fossi morto. Le trincee di comunicazione sono state fatte a pezzi.»
Era come temevo. La curiosità ha avuto la meglio su di lui e adesso è intrappolato anche lui, benché non sembri rendersene conto. Mette la trasmittente sul tavolo senza guardare. Tiene gli occhi su Schwarzschild, appoggiato contro ciò che rimane del muro del rifugio, con la camicia sulle mani.
«La camicia!» grido, e giro intorno al tavolo per aiutare Schwarzschild a metterla sopra i crateri da proiettili della sua pelle distrutta. Il vento urla entrando dall’imboccatura del rifugio. Afferro il braccio di Schwarzschild e la sua pelle mi rimane attaccata alle mani. Si accascia sul tavolo e la trasmittente si rovescia. Riesco a sentire il tintinnio della valvola che va in pezzi, dopodiché il rifugio crolla del tutto e ci ritroviamo sotto il tavolo. Non vedo niente.
«Muller!» strillo. «Dove sei?»
«Sono ferito,» dice.
Lo cerco nell’oscurità, ma sono incastrato sotto Schwarzschild e non riesco a muovermi. «Dove sei ferito?»
«Al braccio,» risponde, e sento che prova a muoverlo. Lo spostamento rimuove altra terra che ci cade intorno, escludendo ogni suono proveniente dal fronte. Sento lo scricchiolio delle gambe del tavolo che stanno per spezzarsi.
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