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Connie Willis: Il raggio di Schwarzschild

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Connie Willis Il raggio di Schwarzschild

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Torno alla trasmittente. Muller rimane accanto alla stufa, riflettendo sul suo magnete. La porta si apre con un rumore secco. Non è una porta vera e propria, solo una lastra metallica fissata al trave che sostiene la trincea, e bloccata da un cuneo, e quando qualcuno ci si appoggia cade all’interno, portandosi appresso la neve.

La neve turbina dentro, e anche la luce, e il rumore che proviene dal fronte, un rombo soffocato come un abbaiare di cani. Mi stringo al petto la valvola e Muller si lancia sulla trasmittente come se fosse un compagno ferito. Qualcuno imbacuccato in un cappottone di lana, con i mezzi guanti e il berretto di lana tirato fin sulle orecchie, si staglia contro la luce rossastra sulla soglia, ammiccando verso di noi.

«È qui il soldato semplice Rottschieben? Devo controllare i suoi occhi,» dice, e mi accorgo che è il dottor Funkenheld.

«Entri e chiuda la porta,» dico, sempre proteggendo accuratamente la valvola, ma Muller ha già incastrato la lastra contro il trave.

«Ha notizie?» chiede Muller al dottore, ansioso di conoscere nuovi fatti dai quali poter elaborare le sue teorie. «La pattuglia che doveva mettere il filo spinato è tornata indietro? Ci sarà un bombardamento stanotte?»

Il dottor Funkenheld si toglie i mezzi guanti. «Devo esaminare i tuoi occhi,» dice rivolto a me. La sua voce mi spaventa. Per tutto il corso della guerra ha sempre conservato la sua tranquilla voce da capezzale, rivolgendosi ai feriti nel posto di medicazione o nelle postazioni dei barellieri come se si trovasse nella sua clinica di Stoccarda, ma adesso sembra agitato, e io temo che sia imminente un bombardamento e che ci sia bisogno di me al fronte.

Quando sono andato in infermeria a farmi dare un farmaco per gli occhi, gli ho detto stupidamente che avevo studiato medicina a Jena con il dottor Zuschauer. Adesso ho paura che mi chiederà di assisterlo, il che significa dover andare al fronte. «Ti fanno ancora male gli occhi?» mi domanda.

Passo la valvola a Muller e mi sposto verso la lanterna che pende da un chiodo nel trave.

«Penso che dovrebbe essere rimandato a casa come invalido, Herr Doktor,» dice Muller. Naturalmente sa che è impossibile. Era alla trasmittente il giorno in cui ci venne comunicato che nessuno poteva essere rimandato a casa per sintomi da assideramento o “altre malattie non contagiose”.

«Può procurarmi una luce migliore?» gli chiede il dottore.

La curiosità di Muller è così forte che non sopporta l’idea di lasciare un luogo in cui si svolga qualcosa di interessante. Se andasse al fronte non credo che sarebbe capace di tornare indietro, e adesso mi aspetto che si inventi qualche scusa per restare, ma ho dimenticato che è ancora più incuriosito dal lavoro di posa del filo spinato. «Vado a vedere che cosa è successo all’unità di Eisner,» dice, e apre la porta. La neve svolazza dentro, come se fosse rimasta in attesa fuori pronta a entrare, e il dottore e io dobbiamo appoggiarci contro la porta per richiuderla.

«Gli occhi continuano a farmi male,» dico mentre stiamo ancora sospingendo la grossa lastra metallica, in modo che non mi chieda di fargli da assistente. «È come se ci fosse entrata della sabbia.»

«Ho un paziente con una malattia che non riesco a diagnosticare,» mi dice. Sono sollevato, anche se le malattie possono ucciderci con la stessa facilità di un mortaio da trincea. Ogni giorno, all’infermeria, i soldati muoiono di polmonite e di dissenteria e di avvelenamento del sangue, ma noi non ne abbiamo paura come l’abbiamo del fronte.

«Il paziente ha febbre, escoriazioni e bolle in suppurazione,» continua il dottor Funkenheld.

«Non potrebbero essere foruncoli?» azzardo, anche se naturalmente lui è perfettamente in grado di riconoscere una cosa semplice come i foruncoli, ma non mi sta ascoltando, e mi rendo conto che non è venuto da me per avere una diagnosi.

«L’uomo è uno scienziato, un ebreo di nome Schwarzschild in forza all’artiglieria,» dice, e poiché l’artiglieria è ancora più lontana dal fronte rispetto a noi, mi offro volontario per andare a vedere il paziente, ma non è nemmeno questo che vuole.

«Devo mettermi in contatto con il quartier generale medico, a Bialystok.» dice.

«La trasmittente è rotta,» dico, perché non voglio rivelargli per quale motivo mi sia impossibile trasmettere un messaggio per lui. Siamo autorizzati a inviare solo messaggi militari, e devono essere in codice telegrafico. Ci vorrebbero delle ore per mandare il suo messaggio, anche se t’osse possibile. Gli mostro il cavo troncato. «In ogni caso deve avere l’autorizzazione dal comandante,» aggiungo, ma lui sta già scrivendo il nome e l’indirizzo su un foglio di carta, come se questo fosse un ufficio telegrafico.

«Può trasmettere il messaggio quando la trasmittente sarà aggiustata. Ho scritto i sintomi.»

Rimonto la parte posteriore dell’apparecchio. In quel momento arriva Muller, che apre con un calcio la porta, e la neve irrompe turbinando, e facendo svolazzare il biglietto del dottor Funkenheld per tutta la trincea. Lo afferro prima che scenda a spirale verso la stufa.

«L’unità per la posa del filo spinato è stata tenuta inchiodata tutta la notte,» dice Muller mettendo sul tavolo una lampada portatile. Deve essersela procurata in infermeria. «Cinque di loro sono morti congelati, gli altri otto hanno tutti sintomi da assideramento. Il comandante pensa che forse stanotte ci sarà un bombardamento.» Non parla di Eisner, e non dice che cosa sia successo al resto dei trenta uomini che componevano la sua unità, ma io lo so. Se li è presi il fronte. Aspetto, stringendo il messaggio fra le dita intorpidite, e sperando che il dottor Funkenheld dirà: «Devo andare a occuparmi di quei soldati.»

«Fammi esaminare i tuoi occhi,» dice il dottore, e mostra a Muller come deve tenere la lampada. Entrambi mi scrutano gli occhi. «Ho una pomata che dovrai usare due volte al giorno,» dice, tirando fuori dalla borsa un flaconcino piatto. «Brucerà un poco.»

«Allora me lo sfrego sulle mani. Me le scalderà,» dico, pensando a Eisner congelato al fronte, forse con ancora il filo spinato fra le mani.

Mi tira giù la palpebra inferiore e ci sfrega sopra la pomata con il mignolo. Non brucia, ma dopo aver aperto e richiuso l’occhio tutto si colora di una tinta rossastra. «Ce la fate ad aggiustare la trasmittente per domani?» chiede.

«Non so. Forse.»

Muller non ha messo giù la lampada. Alla sua luce, vedo che si è completamente dimenticato dell’unità per la posa del filo spinato e del magnete russo, e si sta chiedendo invece cosa voglia farci il dottore con la trasmittente.

Il dottore si rimette i mezzi guanti e prende la borsa. Mi rendo conto troppo tardi che avrei dovuto proporgli di spedire il messaggio in cambio dei suoi guanti. «Verrò a controllarti gli occhi domani,» dice, e apre la porta facendo entrare la neve. Il suono del fronte è vicino.

Appena se ne è andato, riferisco a Muller di Schwarzschild e del messaggio che il dottore vuole spedire. Non mi lascerà in pace finché non gliel’avrò detto, e non c’è tempo da perdere per la sua curiosità. Dobbiamo aggiustare la trasmittente.

«Se lei era alla trasmittente, avrà dovuto mandare qualche messaggio a Schwarzschild,» disse Travers ansioso. «Ha mai inviato messaggi a Einstein? Hanno la lettera che Einstein gli scrisse dopo che lui ebbe esposto la teoria, ma se Schwarzschild gli avesse inviato qualche messaggio, sarebbe grandioso. Mi risolverebbe il lavoro.»

«Lei ha detto che nessun messaggio può uscire da un buco nero?» dissi. «Ma può farlo da una stella che collassa. Non è così?»

«Va bene,» disse Travers spazientito, e curvò di nuovo le dita a semicerchio. «Supponga di avere un osservatore fisso qua.» Allontanò la mano incurvata e tenne alto l’indice dell’altra a rappresentare l’osservatore fisso. «E c’è qualcuno nella stella. Diciamo che quando la stella inizia a collassare, la persona al suo interno emette un raggio luce in direzione dell’osservatore fisso. Se la stella non ha raggiunto il raggio di Schwarzschild, l’osservatore fisso potrà vedere la luce, ma ci vorrà più tempo perché questa lo raggiunga, dato che la gravità del buco nero sta attirando la luce al suo interno, dunque sembrerà che il tempo all’interno della stella scorra più lentamente, e le lunghezze d’onda saranno state allungate, per cui la luce sarà più rossa. Naturalmente questo è solo un problema ipotetico. Nessuno potrebbe mai trovarsi in una stella che collassa per inviare i messaggi.»

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