Rientrato in casa si mise un nuovo paio di guanti e tornò nel cortile. Valerie era sempre lì, e lo accolse con espressione speranzosa.
— Roan!
— Più tardi — sbottò lui componendo il numero.
— Per favore! Solo un minuto!
— Non ho un minuto, adesso — replicò lui, e saltò nella piattaforma. Lo sfarfallio di tenebra interruppe i richiami della ragazza. Roan scese dalla piattaforma d’arrivo e s’arrestò di colpo, stupefatto.
Niente tendaggi! Niente profumi. Niente… oh, santissimo Privato in paradiso!
— Celibe Walsh! — stridette la Nubile Corson. Gli occhi della segretaria rotearono fin quasi al punto di schizzarle dalle orbite. Le sue mani, grazie all’Energia decentemente guantate, balzarono in alto lasciando annodato indecentemente nei lunghi capelli un pettine. Dal che lui dedusse d’aver interrotto nientemeno che un’operazione intima. All’istante capì cos’era accaduto, e un impeto di furia spazzò via l’imbarazzo che l’aveva letteralmente paralizzato.
La donna doveva avergli visto gettar via il suo numero di transplat, e s’era premurata di portargli un secondo fogliettino. Un numero che lui aveva intascato con emozione, e che aveva composto aspettandosi i tendaggi, le braccia nude, i capelli d’oro e tutto il resto… per trovarsi invece faccia a faccia con questo !
— Privato! — gridò la Nubile Corson. — Madre! Madre! — Chiamava i suoi genitori, naturalmente. Be’, ogni ragazza onesta e decorosa l’avrebbe fatto.
Roan deviò in direzione del quadro-comandi. Anche la segretaria vi si precipitò, ma lui fu molto più svelto.
— Non se ne vada, Celibe Walsh! — ansimò lei. — Madre Corson e il mio Privato non sono in casa al momento, ma sarebbero stati qui se solo avessi potuto immaginare… io li farò tornare subito, però. No, per favore , non se ne vada così!
— Mi ascolti — la bloccò lui. — Ho trovato questo numero sulla mia scrivania, e ho creduto che a lasciarlo fosse stato Grig Labine. Avevo appuntamento con lui, anzi sono già in ritardo. Mi spiace molto aver invaso la sua intimità, ma è stato un errore. Capisce? Soltanto un errore.
L’eccitazione della donna crollò così all’improvviso che tutto il suo corpo parve contrarsi. La bocca le s’incurvò in basso, umida e patetica; le mani ebbero un timido gesto convulso, e con un doloroso sorriso annuì per mostrare che aveva capito. Oh, bastardo spietato, che ti ha mai fatto di male questa poverina? si accusò Roan.
— Le auguro una sera felice — farfugliò, e compose il numero di casa.
— O-o-o-o-oh…! — il gemito della donna fu tagliato dal transplat.
Restò fermo dov’era comparso, con gli occhi chiusi per l’imbarazzo, traendo alcuni profondi respiri.
Ma subito dopo ai suoi orecchi giunse un lamentoso: — Per favore… — e per un allucinante momento pensò che il transplat della Nubile Corson non avesse funzionato. Riaprì cautamente gli occhi, poi fece un sospiro e scese. Era a casa. Quel miagolio era uscito dalla bocca di Valerie.
— Be’, che c’è che non va? — le chiese.
— Roan — gemette lei, — ti prego , non arrabbiarti con me. So che mi sono comportata male. È solo che… dovevo farlo ma, oh, non avrei dovuto essere tanto…
— Di cosa stai parlando?
— Di quando mi hai chiamato per chiedermi di andare da Nonnina.
Roan aveva l’impressione che fosse un episodio ormai lontano nel passato e privo d’importanza. — Dimenticatene, Val. Avevi perfettamente ragione e ci sono andato io, perciò lascia perdere.
— Non sei arrabbiato?
— No di certo.
— Ah, bene. Mi fa piacere, perché ho bisogno di parlarti. Posso? — lo supplicò.
Questo era insolito. — Parlarmi di cosa?
— Non potremmo uscire per un po’, Roan?
— Dove sono la Madre e il Privato?
— Nella Stanza di Famiglia. Non staremo via molto. Ti prego, Roan.
Lui annuì, incerto. Nel suo mondo Val rappresentava una perenne, per quanto innocua, fonte di scocciature; quella era probabilmente la prima volta che la vedeva come una persona umana, con i suoi problemi personali.
— Grosvenor Center? — le domandò.
Lei accennò di sì. Roan compose il numero e salì sulla piattaforma al suo fianco. Al Grosvenor Center era ancora pieno giorno, e vagamente lui si chiese in quale angolo della Terra fosse. Il mare s’era scurito in una distesa blu cobalto, e la montagna era una gloria di luce bianca.
Val lo seguì giù dal transplat. Passeggiando in silenzio oltrepassarono il negozio di decoratore, quello dei giochi e passatempi e il ristorante, finché giunsero al parco. Fianco a fianco sedettero su una panchina, ciascuno nel suo separé alto fino alla spalla, e osservarono la fontana.
Val appariva un po’ pallida e le sue spalle si contraevano sotto il mantello dell’intimità: un movimento in parte dovuto ad ansiti simili a singhiozzi, ed in parte al continuo agitarsi delle sue mani.
Con il tono più comprensivo che poté, Roan chiese: — Cosa c’è che non va?
— Tu non mi vuoi bene.
— Ma certo che te ne voglio, invece. Tu sei una brava ragazza.
— No, per favore, non volermi bene. Non voglio. Ho bisogno di parlare con te proprio perché non mi vuoi bene.
Questo risultò del tutto incomprensibile a Roan. Decise che per saperne di più, e più in fretta, gli conveniva stare zitto e lasciarla parlare.
A bassa voce Valerie disse: — Quella che devo dirti è una cosa che mi farà odiare da te, se già non mi detesti, perciò posso dirlo solo a te. Oh, Roan, io non sono buona!
Lui aprì la bocca per negarlo, ma la richiuse subito. L’intuito gli suggeriva che sarebbe stato poco saggio sia darle torto, sia darle ragione.
— C’è qualcuno che… che io ho visto. Poi l’ho visto di nuovo, e gli ho parlato. Lui è… io vorrei… oh! — gemette e cominciò a piangere.
Roan tolse di tasca un fazzoletto sterile, e con gesto il più possibile decoroso glielo porse da sopra il bordo del separé. Sentì, senza vederle, le dita di lei che lo prendevano.
— Il dovere di una Nubile è di attendere — disse lei con voce rotta, — finché un giorno giunge un Celibe a farle visita, ed egli diviene il suo Privato e… e lei diviene il suo sostegno e servizio, per sempre. Ma io non… voglio essere il sostegno e il servizio di un… del Celibe che verrà. Chissà, forse ne verrà uno da un momento all’altro. Invece io voglio che… che sia quello a venire!
— Forse lo farà — cercò di blandirla Roan. — Chi è?
— Io non lo so ! — gemette disperatamente lei. — L’ho soltanto visto. Oh, Roan, tu devi cercarlo per me!
— Be’, dove potrei…
— È alto. Alto come te — s’affrettò a dire Val. — Ha gli occhi verdi. E ha… — deglutì a vuoto, abbassando la voce. — Ha i capelli lunghi , però non come quelli di una Nubile. E ha una fossetta in mezzo al mento, e su una guancia… sì, la guancia sinistra, ha una piccola cicatrice curva.
— Capelli lunghi? Gli uomini non portano i capelli lunghi!
— Lui sì, invece.
— Una nuova moda? — Roan soppresse una risatina a quel concetto abbastanza eretico. — Se esiste un tipo del genere, capelli lunghi e tutto, quasi chiunque dovrebbe sapere chi è costui e dov’è. Non credi?
— Sì — ammise cupamente lei.
— Dunque la conclusione è che un uomo simile non esiste.
— Ma lui c’è! Io l’ho visto!
— Dove? — Poiché lei taceva, Roan sbuffò: — Se non mi dici dove, come posso trovarlo?
Dopo una lunga esitazione lei si lamentò: — Io… non posso dirtelo. Ma questo non importa, perché non lo troveresti in… in quel posto. — Il suo volto avvampò. Dev’essere da qualche altra parte. Per favore, Roan, cercalo. Il suo nome. Dove abita. Anche se lui non… non… io vorrei almeno conoscere il suo nome — sospirò, malinconica. Poi raddrizzò le spalle: — Il Privato ci starà aspettando.
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