«Il direttore del Centro mi ha detto che Ira non ha mai cantato per loro.»
«No, lo fa solo quando ne ha voglia. Però suonò il piano. Chopin.»
«Ho parlato con il direttore delle qualità canore di Ira. I suoi molteplici talenti lo hanno reso un candidato più interessante ai suoi occhi. C'è una lunga lista d'attesa. Potrebbero passare mesi o perfino un anno prima che lo accettino, ma bisogna spedire loro tutti i documenti al centro prima che compia venticinque anni. È il limite d'età per l'iscrizione.»
«È inutile riportarlo da quella gente, se non può parlare.»
«Non lo porteremo da nessuna parte. Ho l'autorizzazione, e la competenza, necessarie a eseguire qui un nuovo test di selezione.»
«Non parlerà. Oppure balbetterà cose senza senso.»
«Non è detto. A volte l'ecolalia è uno sforzo, un tentativo di interagire attivamente. Quando ripete quel che lei dice, non le pare che stia comunicando?»
«Be', sì, e lo feci notare agli esperti del Dallheim, ma mi risposero che non contava.»
«Ho spedito loro via fax intere pagine di appunti di Cass Shelley a proposito della terapia di Ira. Per essere un bambino tanto piccolo, si esprimeva con grande precisione. Non aveva difficoltà con i pronomi personali, un fatto decisamente atipico. Mostrava una buona conoscenza di grammatica e sintassi. Cass lo giudicava di intelligenza addirittura superiore alla media. Al Dallheim non sapevano neanche questo.»
«Ma il test di selezione…»
«È una semplice conversazione. C'è un metodo per ottenere un risultato rapido. È quello che Cass Shelley usò quando Ira regredì. Lo costrinse a parlare. Non sarà facile. Devo fare in modo che si concentri per un po', ma le assicuro che non farò nulla che Cass Shelley non avrebbe fatto. Il direttore del Centro mi ha suggerito di rievocare un evento traumatico, come la morte violenta della dottoressa. Parlerà per farmi smettere, per liberarsi di me, ma lo farà. Tutto quel che mi serve sono un paio di risposte dirette alle mie domande, e avremo dimostrato i requisiti per l'ammissione.»
Tutti parlano sotto tortura. Considerando il terrore e la repulsione che Ira provava per il contatto umano, quel che Charles pensava di fare al ragazzo era davvero crudele.
Darlene assentì con il capo, più speranzosa. «Ma Ira smise di parlare prima della morte della dotoressa. Fu la cerimonia religiosa a sconvolgerlo irreparabilmente. Cass era furibonda con mio marito per averlo trascinato a quello spettacolo di mostri.»
Charles e lo sceriffo si erano trovati d'accordo nel ritenere che fosse meglio tacere il fatto che Ira avesse assistito all'omicidio di Cass. Ma il ragazzo non poteva attendere in eterno.
«La morte di un mentore è un trauma pesante, ma posso tentare un altro approccio. Se non erro, Ira ha perduto il padre a neanche un anno dalla morte di Cass Shelley. Per lui dev'essere stata una vera tragedia.»
«No, non direi. Quell'ultimo anno, il padre non aveva passato molto tempo con lui. Aveva portato Ira da un dottore di New Orleans per una terapia a base di vitamine. Ma quando la cura non diede alcun risultato, rinunciò al ragazzo. Rinunciò a tutto.»
«E lei? Anche lei ha rinunciato?»
«No. Io…» Guardò le proprie mani, strette a pugno in grembo. «Dovrà toccarlo, vero? Cass lo faceva. Sa che per lui è molto doloroso? Non lo sopporta, lo terrorizza.»
«Lo so. Sta a lei decidere.»
Darlene scosse il capo: più per indecisione che in segno di diniego. «Lui è felice nel suo mondo. Non credo che il nostro gli piacerebbe granché, lei che ne pensa?»
«Se non tentiamo, potrebbe non arrivare mai alla piena consapevolezza di cosa significhi essere…»
«Un essere umano?» ringhiò Darlene, improvvisamente aggressiva.
«Ira è come noi. Credo semplicemente che viva con un'intensità superiore alla norma. Non è corretto dire che ignori ciò che lo circonda: è terribilmente conscio di ogni dettaglio dell'universo. Il rischio di un sovraccarico di emozioni è molto concreto. Ogni tanto deve staccare la spina, chiudere i contatti con il mondo, o non riuscirebbe a sopravvivere. E lui lo sa. Ira è un essere umano particolarmente complicato.» E bellissimo, almeno secondo Charles, che era pieno di ammirazione per le sue doti straordinarie e le sue strane visioni.
«Il programma terapeutico che Ira segue attualmente è studiato per i ritardati mentali. Sono certo che stia facendo progressi, ma quel tipo di approccio ha forti limiti.» Le porse dei moduli stampati su carta intestata del Dallheim. «Forse potrebbe riempire questi con l'anamnesi di Ira, mentre io gli parlo. Val la pena tentare, non le pare?»
Prima che giungessero alla porta della camera di Ira, il ragazzo cominciò a cantare. Charles riconobbe il motivo del cimitero.
Darlene appoggiò la mano alla maniglia ed esitò. Sorrise mentre indugiava sulla soglia, godendosi la musica di quel suo figlio misterioso. Poi aprì la porta, e Ira, improvvisamente allarmato, tacque.
La porta si chiuse e Ira fu solo con l'uomo del panino. L'imponente visitatore si sedette sul letto e parlò a voce bassa per un po', mentre Ira si dondolava avanti e indietro sui talloni, senza ascoltare, bloccando tutto, cercando un posto sicuro al centro della sua testa.
L'uomo si alzò e venne verso di lui.
No! Non farlo!
Ira indietreggiò fino a trovarsi con le spalle al muro. L'uomo del panino lo afferrò per le braccia e ripeté le parole fino a che divennero reali, insinuandosi nella sua mente, ciascuna provvista di un significato e di un peso. Stava usando le parole della dottoressa Cass.
Ira rivide il volto di Cass a pochi centimetri dal suo, il suo sguardo acceso. « Di' qualcosa di vero, di reale, solo una cosa, fallo per me. »
Ora lui disse all'uomo del panino: «Ho paura».
L'uomo di colpo mollò la presa. Si infilò una mano in tasca e ne estrasse una foto della dottoressa Cass. «Guardala, Ira. Raccontami il giorno della sua morte. Io so che c'eri. Che cosa hai visto?»
Ira tacque. L'uomo del panino gli afferrò di nuovo le braccia. La sua faccia si avvicinava… gli occhi cercavano i suoi…
«Pietre!» urlò Ira. E poi si irrigidì, in attesa che l'uomo seguisse le regole del gioco.
L'uomo del panino lo lasciò andare. Un'ora passò in quel modo. L'uomo alto gli si avvicinava, e Ira si concentrava sulle parole. Se parlava, l'uomo del panino si allontanava.
«Chi gettò le pietre? Ti ricordi se c'era il vicesceriffo? Il vicesceriffo Travis?»
Ira cominciò ad agitare le mani. L'uomo gli si avvicinò. Lui si coprì le orecchie e prese a dondolare freneticamente. L'uomo del panino gli staccò le mani dalle orecchie. La voce era più alta adesso. «C'era Travis? Un uomo in divisa?»
Ira annuì, ma l'uomo gli teneva ancora le mani, perché fare un cenno con il capo non era abbastanza. C'erano regole da seguire.
«Le tirò addosso le pietre?»
«Tirò pietre al cane.»
L'uomo lasciò andare le mani di Ira e abbassò la voce. «Vedesti la gente che gettava pietre contro la dottoressa Shelley?»
«Lessero la lettera azzurra. Cass non disse nemmeno una parola. E poi fu tutta rossa. Il cane era giù per terra. E piangeva. Il vicesceriffo lo colpì con un'altra pietra. Non si mosse più. Cass era tutta rossa. Loro se ne andarono. Tutto in silenzio.»
Ira era scappato, lontano dalla casa, dai corpi sanguinanti del cane e della padrona. Si era allontanato dalla strada ed era entrato nell'acqua, avanzando, scrollando gli arti, scoprendo dove finiva il suo corpo e cominciava il bayou. Continuava a cadere, con l'acqua che gli riempiva la bocca e lo faceva soffocare. Poi arrivò suo padre, si precipitò nel fiume per tirarlo fuori e riportarlo a riva e poi a casa e a letto, continuando a ripetere: «Ira, cosa facevi laggiù?». Ma Ira non poteva rispondere. Vedeva ancora il sangue di Cass mescolarsi a quello del cane.
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