Già, come no. «Come sapevi dove trovarmi?»
«Oh, la mia vice ti ha pedinato fino da Augusta.»
«Pedinava me ?»
«Be', sì. Si è accorta quasi subito che l'avevi vista, allora si è messa a seguire Henry per depistarti. Poi ha lasciato che Henry si allontanasse, in modo da poter tornare sui suoi passi e riprenderti. Non prendertela, Riker. Dice che per essere uno di città, te la sei cavata egregiamente nel pedinare Henry. Mi risulta che abbia seguito un percorso decisamente tortuoso.»
Adesso Riker si chiedeva se la scena della vice al bar non fosse stata un rilancio al buio, per dirla nel gergo del poker. Lo sceriffo era così complicato.
«Così, Travis sta morendo» commentò Riker dopo un po'. «È tanto che aspetti questo momento, non è vero, Tom?»
«Diciassette anni. Incominciavo a temere che il cuore di quel bastardo non si sarebbe mai arreso. Sono contento che ci sia tu con me, Riker. Mi serve un testimone affinché la confessione abbia un certo peso in tribunale.»
La macchina imboccò l'ampia statale.
«A proposito, Riker,» lo sceriffo sogghignava, «quando vedi la detective Mallory, figlia adottiva del tuo compianto amico Lou, dille che può venire a riprendersi l'orologio da tasca in qualsiasi momento.»
Riker si accasciò nel sedile. «Okay, mi hai beccato» ammise.
Procedettero in silenzio per un altro tratto. C'era una monotonia confortante negli sconfinati campi di canna da zucchero, un paesaggio piatto da cui spuntava qualche raro albero.
«Toglimi una curiosità, Riker. Mallory è brava nel suo lavoro?»
«Eccezionale. Anche tu non sei niente male, sceriffo. Come hai fatto a risalire a Markowitz? Hai chiamato New York?»
«Già. Ho scoperto che Markowitz era un poliziotto, e che era morto. Il resto l'ho saputo da Jeff McKenna, dell'Ufficio Persone Scomparse. Lo conosci?»
«Eccome. Quel bastardo è lì da cent'anni.»
«Diciott'anni fa mi toccò il caso di un ragazzo scappato da casa. Sapevo che era a New York, così chiamai McKenna. Lui lo trovò un mese dopo: era stato arrestato nel corso di una retata per droga. Conobbi McKenna quando andai a New York a prelevare il ragazzo per riportarlo a casa.»
«Così hai chiamato McKenna chiedendo notizie del tuo vecchio amico Louis Markowitz, di cui non avevi mai sentito parlare.»
«Proprio così. E McKenna mi ha detto che Lou era morto. Allora ho chiesto che ne fosse stato di Mallory, e lui mi ha risposto che è ancora in polizia, ma che adesso è detective.»
«E poi gli hai chiesto di me?»
«Certo, e mi ha raccontato un sacco di cose interessanti. Il buon McKenna ha la memoria di un elefante. Si ricorda perfino il nome del ragazzo scappato di casa diciotto anni fa. Fummo fortunati a trovarlo così in fretta. Stava da cani, ma grazie a Dio non aveva nessuna ferita più grande della punta di un ago. Bella città la tua, Riker. Bambini fatti di droga, gente che piscia sui muri, pervertiti a caccia di ragazzini sulla Quarantaduesima strada. Dev'essere deprimente, alla lunga.»
«Già. Per fortuna ora ho trovato il Signore in Louisiana.»
Lo sceriffo sorrise. «Ho sentito che ti sei fatto qualche bevuta con quelli della New Church a Owltown. Ne hai ricavato nulla di utile?»
Riker tirò fuori di tasca un foglietto spiegazzato e lesse: « Hai intrapreso un lungo viaggio su un terreno pericoloso. Puoi seguire la strada tortuosa o comprare un miracolo e volare » . Appallottolò il volantino e lo gettò sul fondo della macchina a far compagnia alle lattine di birra vuote. «Non riesco a capacitarmi. Sembra la pubblicità di Una compagnia aerea.»
Le pareti erano state dipinte di arancione nel tentativo di ravvivare la camera d'ospedale. Ma i fiori primaverili incorniciati erano uno scherzo di cattivo gusto per il vicesceriffo Travis morente.
Eppure si sarebbe detto che la stesse prendendo con spirito.
Aveva la bocca fissa in un'espressione di dolore che poteva passare per un bizzarro sorriso.
La pelle era giallastra e coperta da un velo di sudore. I tubi che uscivano dalle narici lo collegavano a un erogatore di ossigeno. Altri tubi da fleboclisi pendevano da sei sacchetti di plastica appesi a un sostegno in metallo. I cavetti per il pacemaker erano infilati nella pelle. Il respiro era affannoso, e il battito cardiaco era una linea irregolare sullo schermo di un monitor.
Il suo corpo emanava odore di terra e di umido. Negli ultimi trent'anni Riker era diventato un vero esperto nel riconoscere il lezzo della morte.
Sul lato opposto del letto un giovane in camice bianco parlava con voce acuta e tono arrogante, insistendo che il suo paziente non era in condizioni di essere interrogato. Lo sceriffo doveva prendere il suo amico e andarsene. Subito. Era un ordine.
Lo sceriffo si avvicinò al giovane medico, che era più basso di lui, aveva le spalle strette e non era armato. Gli spiegò, con voce potente, che avrebbe fatto bene a farsi da parte. Subito. Era un suggerimento. In caso contrario avrebbero dovuto spostare Travis per far spazio al dottore su quel letto d'ospedale.
Riker vide l'espressione del medico perdere risolutezza e la confusione insinuarsi nei suoi occhi. Con un'ultima occhiata al paziente, si rifugiò nell'angolo più lontano della stanza, accasciandosi contro la parete arancione.
Riker esaminò la cartella clinica di Travis per vedere se recentemente gli fossero stati somministrati analgesici che potessero invalidare la sua confessione. Controllò anche le date e gli orari delle diverse rianimazioni praticate con il defibrillatore. Sopra la firma di un medico c'era uno scarabocchio tremolante che doveva essere stato tracciato da Travis. Diceva « Basta » . E una dottoressa aveva firmato dopo le parole « No code », la formula che metteva fine all'accanimento terapeutico, impedendo ulteriori rianimazioni.
Lo sceriffo si piegò sul letto del vice e lesse da un foglio: «Travis, nel rilasciare questa confessione sei consapevole di essere in punto di morte?».
Travis sollevò lo sguardo, stupefatto. Chiaramente la domanda lo aveva colto di sorpresa, nonostante fosse già morto sei volte e a dispetto della sua stessa richiesta scritta affinché la settima potesse risultare quella buona. I grandi occhi del vicesceriffo d'improvviso assunsero lo sguardo fisso e appannato di un cadavere, e Riker fu turbato alla vista delle sue lacrime.
Tom Jessop ripeté la domanda e Travis mosse lento il capo per indicare che sì, ora sapeva di dover morire.
Il volto dello sceriffo non mostrò alcuna emozione mentre appallottolava il biglietto, rinunciando a ogni ulteriore formalità. «C'eri anche tu fra la folla impazzita? Hai assassinato Cassandra Shelley?»
«Gettai un sasso al cane. Voleva azzannarmi. Non so nemmeno dove presi quel sasso, so solo che la bestia stava per assalirmi» disse Travis con fatica.
«Tu eri là quando lei morì.»
«Non c'ero andato con l'intenzione di farle del male. Cass stava per accusarmi di…» La sua mano si levò a disegnare deboli cerchi nell'aria. «Era tutto nella lettera: i risultati delle analisi del laboratorio. Lei voleva rovinarmi a colpi di scienza. Io sapevo che era un errore e stavo per dirglielo. Non ho mai fatto del male a un bambino in vita mia. E non volevo far del male a Cass. Ma, Cristo, non appena in paese si inizia a mormorare una cosa del genere…» Sul suo volto apparve un'espressione di improvviso dolore.
Il monitor emise un fischio e mostrò una serie di picchi seghettati. Il dottore si avvicinò in punta di piedi, ma lo sceriffo lo ricacciò indietro con un cenno del capo.
Al capezzale di Travis arrivò un'infermiera. Era un donnone massiccio, nera e sovrappeso. Una mano grassa e tozza impugnò una siringa e spruzzò un po' di liquido in aria. Piegandosi sul paziente cercò una vena fra gli ematomi delle braccia.
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