Carol O'Connell - Amanda È Morta Nel Parco

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Il cadavere di una donna dalle mani spappolate viene ritrovato al Central Park di Manhattan. In assenza di impronte e di documenti il detective Palanski identifica la vittima in base al nome sull'etichetta della giacca: è Cathy Mallory, geniale e irriducibile cane sciolto della sezione Crimini Speciali della Polizia di New York, recentemente sospesa dal servizio per motivi disciplinari. Quando il notiziario di mezzogiorno la informa della propria morte, Mallory si getta nelle indagini con foga. E scopre che la vittima è in realtà Amanda Bosh, venticinquenne da tempo coinvolta nella relazione con un facoltoso uomo sposato. Per stanare l'assassino Mallory è pronta a tutto, persino a trasformarsi in un vera e propria esca umana.

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Justin fu l'ultimo a entrare, mentre il primo frammento di vetro si spostava lentamente lungo il pavimento, verso Sally Riccalo. Lei era immobile, come paralizzata. Poi si riscosse e puntando il dito verso Justin, urlò: «È lui, è lui che mi sta facendo questo. Vuole uccidermi! È lui». Robert Riccalo si girò verso il figlio, mentre la tempesta gli si andava addensando negli occhi.

Justin si allontanò di corsa dalla sala da pranzo precipitandosi lungo il corridoio verso la sua stanza. Chiuse la porta a chiave e prese a spingervi contro i mobili, con fatica.

«Justin!» tuonò suo padre. «Justin!» Le urla si stavano avvicinando. «Justin!» La maniglia si mosse. Poi Justin sentì l'omone girare sui tacchi e i suoi passi svanire alla ricerca della copia della chiave. Robert Riccalo tornò e infilò la chiave nella serratura.

Justin arretrò verso la parete alle sue spalle mentre la porta scricchiolava contro il cassettone e il pesante mobile cominciava a muoversi lento e implacabile verso di lui.

Fu il bambino di cinque anni ad attrarre la sua attenzione quando gridò, pieno di rabbia: «Voglio vedere il corpo!» e ora anche Mallory voleva vedere. Si diresse verso il gruppo di pedoni raccolti sul marciapiede antistante l'edificio vicino. Il bambino sferrò un calcio alla gamba di una donna che lo teneva per un braccio. La donna era di colore. A giudicare dall'uniforme, apparteneva a una classe sociale diversa da quella del ragazzino.

«Non ci vado, dentro» diceva il bambino, con il minuscolo pugno serrato.

In quel momento notò il lungo cappotto nero di ottima fattura. A indossarlo era un uomo che toccava il corpo con la punta di un ombrello.

«È morto?» chiese la donna che gli stava vicino, arretrando. «È per questo che puzza?»

«No» disse un'altra donna. «Puzzano tutti così anche da vivi.»

Mallory si fece largo nel gruppetto. Gli occhi dell'uomo erano chiusi come se dormisse, e non c'era traccia di shock sul volto sudicio, né di risentimento per l'ombrello che lo punzecchiava. Perché era morto. La bottiglia al suo fianco, il fiotto di vomito e i vestiti laceri raccontavano la sua storia. Si era infilato tra i cespugli in piena notte ed era morto di freddo, troppo ubriaco per cercarsi un rifugio migliore. O forse era morto soffocato dal suo stesso vomito. Il portiere del terzo turno, il cui lavoro nella vita era cacciare i poveri, con ogni probabilità stava dormendo o leggendo il giornale quando l'uomo si era spinto fin lì in cerca di un riparo dalla neve della notte precedente.

Il bambino adesso stava guardando Mallory. «Il portiere chiamerà il camion della spazzatura, come ha fatto per il cane?»

«Quale cane?»

Felice e con l'aria del cospiratore, il bambino disse: «Ho visto uccidere un cane. È successo proprio qui». Puntava il dito verso il bordo della strada. «Ero di sopra…»

«Di sopra dove?»

La tata si avvicinò. «Abita al decimo piano. Continua a parlare di quel cane, ma non credo che possa aver visto…»

«Io l'ho visto! E non ero al decimo piano. Dice così solo perché i miei genitori non vengano a scoprire che in quel momento non ero sorvegliato» disse il bambino. Chiaramente teneva la tata in pugno.

«Ero nel corridoio, al terzo piano» disse. «Ho guardato giù, e l'uomo stava ammazzando il cane.»

«Come?»

«Lo ha strangolato. Il cane tirava il guinzaglio, e penso che all'uomo non piacesse. Ha sollevato il cane per il collare. Lo ha sollevato in aria, e il cane continuava a scalciare. Poi ha smesso di muoversi. Era morto. Lui ha sbattuto il corpo per strada con un calcio. Volevo andare a vedere il corpo, ma il portiere non mi ha lasciato. Ha detto che presto il camion l'avrebbe portato via».

«Quando è successo?»

«Non lo so.»

Mallory si voltò verso la tata. «Quando è successo?»

La tata si strinse nelle spalle. «Non è mai successo. Si inventa tante di quelle storie.»

«Non è vero, non è vero!» strillò il bambino con un altro calcio ben assestato alla gamba della donna.

«Forse dovrei parlare con il portiere o con i suoi genitori» disse Mallory.

«È stato il diciannove» disse la tata precipitosamente. «Il giorno in cui è piovuto.»

Ma né il portiere né il ragazzo furono in grado di descrivere il cane. Mallory era sempre più convinta del fatto che il mondo sarebbe stato un posto migliore senza la confusione creata dai testimoni oculari.

La porta dei Rosen era aperta. Mallory passò il sacchetto della spesa sull'altro fianco ed estrasse la pistola. Con la pistola nascosta dal sacchetto, spinse la porta ed entrò nell'appartamento.

Il custode era nel soggiorno. Altri due passi silenziosi e Mallory scorse Angel Kipling intenta ad aprire la porta dello studiolo.

«Cerca qualcosa?»

Il custode si voltò.

«Oh, signorina Mallory, scusi l'intrusione, ma la signora Kipling era sicura di aver sentito un grido provenire da questo appartamento.»

«Dev'essere stato il gatto» disse Angel. «Sicuro. Dev'essere stato lui. Lo tiene sempre chiuso lì dentro?»

«Il bagno è grande. Non voglio che sparga peli sui mobili dei Rosen.»

Quando il custode ebbe richiuso la porta dietro di sé continuando a scusarsi, la donna si rivolse a Mallory.

«Abbiamo ricevuto il suo messaggio.»

«Quale messaggio?»

«Non faccia la furba. Ho visto l'attrezzatura là dentro.» La signora Kipling accennò alla porta spalancata dello studio.

«Allora, cosa vuole? Quanto?»

«In cambio del mio silenzio?» Sfortunatamente le telecamere non erano in funzione, e comunque qualunque cosa Angel avesse detto, non avrebbe potuto essere usata contro il marito. «Preferirei trattare direttamente con suo marito.»

«Si dà il caso che nel mio matrimonio io sia il marito.»

Avanzando in direzione di Mallory, Angel Kipling aprì la bocca per continuare a parlare, ma poi perse le parole, o cercò di trovarne di più adeguate. La donna arretrò come il gatto quando lo sguardo di Mallory diceva "Ora basta". Camminò come un'automa fino alla porta e se la sbatté dietro.

Mallory andò in cucina e posò il sacchetto. Appoggiò la pistola sul bancone e ripose gli alimenti. Squillò il telefono. Mise via il burro e richiuse la porta del frigorifero sul secondo squillo. Raggiunse l'ingresso senza affrettarsi. Il gatto stava raspando sul vetro dell'acquario, sovreccitato alla vista dei pesci che nuotavano, incapace di impadronirsene.

«Ti capisco» disse Mallory.

Al quarto squillo sollevò il ricevitore.

«Mallory.»

«Sono io, Justin. Non sono stato io a far volare la matita.»

«Cosa?»

«Non sono stato io. Vuole aiutarmi?»

«Conosci le condizioni. Quando sarai pronto a dirmi la verità, ti aiuterò.»

Sentì l'improvviso inspirare del bambino, poi la comunicazione si interruppe bruscamente.

Un minuto dopo non pensava già più a Justin. Attraverso la porta aperta sulla stanza posteriore, vide il vaso cadere dal tavolino, rimbalzare sullo spesso tappeto e rovesciarvi il suo contenuto di rose gialle e acqua.

Dannato gatto.

Ma in quel momento udì Nose che miagolava nella stanza alle sue spalle. Fissò le rose finché l'avviso luminoso del suo sistema informatico richiamò la sua attenzione. Stava arrivando un fax.

Controllò il monitor. Era indirizzato al giudice Heart. Il logo indicava il nome di una rivista di legge, e il testo era una richiesta di permesso per ristampare uno degli scritti del giudice in una nuova edizione.

Copiò e incollò il logo e la firma su una pagina vuota. Poi scrisse il suo testo: «La rivista sta valutando un dattiloscritto, e desideriamo tutelarci contro possibili accuse di diffamazione. Vi sono alcuni dettagli di cui desideriamo chiederle conferma. È vero che picchia regolarmente sua moglie? È vero che sua madre è morta in seguito alle botte da lei inflittegli?»

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