Mallory non sembrava impressionata. «E allora? Non stiamo parlando di uno psicopatico serial killer incallito. Il nostro uomo ha al suo attivo un solo crimine perpetrato al fine di coprirne un altro, in uno stato di panico.»
«Non puoi saperlo» disse Henrietta. «Non ha importanza che l'omicidio non fosse premeditato. Potrebbe averla uccisa mille volte nelle sue fantasie. Quest'uomo potrebbe soffrire di una patologia grave e tuttavia passare come un normale membro della comunità.»
«Un asociale non può apparire normale, non con tutti.»
«Ti sbagli» replicò Henrietta con caparbietà inusitata.
«No» disse Mallory in tono definitivo. «Non può.»
Charles riconobbe lo shock improvviso negli occhi di Henrietta, d'un tratto consapevole di avere davanti una persona che parlava per diretta cognizione di causa.
«Abbiamo una menzogna come movente» disse Mallory. «Se indagassi sulla vita di tutti gli inquilini di quell'edificio, scoprirei che ciascuno ha uno scheletro nell'armadio. Quale tipo di bugia potrebbe scatenare una reazione omicida? L'assassino si è fatto travolgere dal panico una volta. Voglio fare in modo che accada di nuovo.»
«L'intera vita di una persona può essere fatta di bugie» disse Henrietta.
«Su quali debolezze devo fare leva? Come posso terrorizzarlo per indurlo a parlare?»
«La paura potrebbe indurlo a chiudersi in se stesso. Meglio cercare di far sì che si arrabbi. Se ipotizziamo che sia stato lui a insegnare al gatto a ballare, è probabile che covi un forte bisogno di controllo. Spesso un bisogno spasmodico di controllo è l'origine dell'odio per le donne e dei crimini più violenti contro di loro. La scoperta di una bugia da parte dell'amante potrebbe effettivamente essere all'origine del raptus omicida. Quale dei sospetti giudichi maggiormente, patologicamente incline alla bugia?»
«Tutti mentono» proclamò Mallory.
«Non tutti» disse Charles.
«È vero, Charles. Tu non lo fai. Tu non riesci a mentire, non hai il coraggio di farlo. Tuttavia permettimi di ricordarti un episodio. Il vaso che hai fatto cadere al cospetto dei Riccalo. È o non è una bugia?»
«La definirei piuttosto un'omissione. Scommetto che Helen non mentiva mai.»
«Helen mentiva solo per delicatezza, ma questo non vuol dire che non mentisse a un sacco di gente.»
«Neanche Markowitz mentiva.»
«Certo che mentiva. Era più bravo di chiunque altro. L'ho visto mentire al sindaco, al questore. Mentiva tutte le volte che teneva una conferenza stampa. Mentiva…»
«D'accordo, mi hai convinto. Tutti mentono.»
Stava trasportando il gatto dal garage al Coventry Arms, quando scorse il portiere che leggeva il giornale. Un taxi si fermò, e Arthur si tolse in fretta gli occhiali, nascondendoli nella piega del giornale che stava sul ripiano sotto il citofono. Mentre Arthur si precipitava ad aprire la portiera del taxi, Mallory scivolò all'interno del palazzo. Passando accanto al ripiano, Mallory aprì il giornale ripiegato.
Bifocali. Un ometto sgradevole e troppo vanitoso per portare gli occhiali davanti agli inquilini. Interessante.
Si avvicinò all'ampia finestra dell'ingresso, che dava sul marciapiede. Un altro inquilino avanzava verso il Coventry. Quando Moss White, il conduttore televisivo, arrivò all'altezza della panchina, a circa quattro metri dalla porta dell'edificio, Arthur sfoderò il suo più largo sorriso.
Il campo visivo dalla postazione del portiere comprendeva la panchina su cui era stata seduta Amanda il giorno prima di morire.
Il pensiero di Amanda Bosch accompagnò Mallory mentre saliva in ascensore. Cos'aveva visto la donna quel giorno? Cosa l'aveva sconvolta e indotta ad andarsene precipitosamente? E che peso si poteva attribuire alla testimonianza di Arthur, qualora ce ne fosse stato bisogno in tribunale? Doveva fare un'altra chiacchierata con Arthur, e presto.
Entrò nell'appartamento dei Rosen, ed ebbe la sensazione che ci fosse qualcun altro nelle vicinanze. Anche Nose lo sentì. Smise di fare le fusa e affondò la zampa priva di artigli nel suo cappotto, guardandosi intorno.
Nella camera da letto qualcuno stava spostando un mobile, poi azionò un aspirapolvere. Mallory entrò nella stanza e vide la donna delle pulizie, la Sarah di cui avevano parlato i Rosen.
«Oh, salve, signorina.» La donna spense l'aspirapolvere, e in quel momento Mallory sentì scorrere l'acqua nel bagno. La porta si aprì e Justin Riccalo comparve sulla soglia. Accennò un sorrisetto, che gli morì sulle labbra quando Mallory rivolse alla donna delle pulizie uno sguardo interrogativo.
«Spero che sia tutto a posto, signorina» disse Sarah. «Il ragazzino era nel corridoio ad aspettarla. Aveva bisogno del bagno. Non ho sbagliato a farlo accomodare, vero?»
«Certo che no.» Guardò il ragazzo. Negli ultimi tempi era sempre nella sua mente, in un modo o nell'altro. Avvertiva un legame con lui senza essere capace di definirlo, come se avessero condiviso qualche brutta esperienza. Ogni volta che si incontravano Mallory sperimentava una strana e confusa sensazione di déjà vu.
«Ho finito con questa stanza» disse Sarah, attorcigliando il filo attorno all'aspirapolvere. Mallory e il ragazzo continuarono a fissarsi in silenzio finché la donna delle pulizie non fu uscita dalla camera da letto.
«Come sei riuscito a evitare il portiere, Justin?»
«Sono entrato dietro a una coppia. Il portiere avrà pensato che fossi con loro.»
«Come sai che vivo qui?»
«Ho cercato il nome nell'elenco telefonico.»
No, Mallory scosse lentamente la testa, non può essere.
L'aspirapolvere cominciò a ronzare e sobbalzare lungo il tappeto del soggiorno.
«Okay, ero con la mia matrigna quando l'ha seguita l'altro giorno.»
In quell'occasione l'aveva sentito ma non visto. Aveva avvertito la presenza di un osservatore sul marciapiede di fronte, ma quando si era voltata a guardare il marciapiede era vuoto.
«Ho dato il suo nome all'addetto all'ascensore, e lui mi ha portato a questo piano. Ho incontrato la donna delle pulizie in corridoio. Stava entrando in casa. Le ho detto che lei mi aspettava.»
Sembrava quasi che si aspettasse di venire lodato. Lasciò che aspettasse.
Justin ficcò le mani nelle tasche della giacca a vento e si dondolò sui talloni mentre si guardava intorno nella camera da letto con il baldacchino ornato di gale, il cinz e le cianfrusaglie.
Tutta la sua sicurezza venne meno nel silenzio che seguì.
Mallory ascoltava il ronzio dell'aspirapolvere di Sarah.
Il ragazzo aprì la bocca per parlare. Mallory alzò un dito per farlo tacere. Justin richiuse la bocca.
Quando il rumore dell'aspirapolvere fu cessato e la porta dell'appartamento si fu chiusa alle spalle di Sarah, il ragazzo mormorò: «Ho bisogno di parlare con qualcuno, ma nessuno vuole ascoltarmi».
«Io ti ascolterò, se sarai sincero con me. La tua matrigna non trova più qualche paio di calze di nylon, di recente?»
«Come fa a saperlo?»
«Ti ha accusato di averle prese?»
«Non ancora. Ho trovato una calza smagliata ficcata nel mio cassettone stamattina. Io non l'ho presa, e non so come sia finita là.»
Quale era la natura del legame che sentiva con il ragazzo? Qualcosa di antico. Un mezzo ricordo. C'entrava forse il fatto che lui fosse un bugiardo?
«Quando sarai pronto a dirmi la verità su quello che sta succedendo, ti aiuterò.»
«Lei pensa che sia io a far volare le matite. Perché? Che cosa sa veramente di me? Niente. Solo quello che le dice mio padre.»
«Oh, so molte cose di te, Justin. So che sei abbastanza intelligente per capire come vengono messi in atto i trucchi. Ma non lo dici, vero? O sei davvero tu a inscenare i trucchi, o hai paura di tuo padre, o tutt'e due le cose. Oppure è la tua matrigna a far volare le matite? E tu non dici niente perché ti piace l'idea di mandare il tuo vecchio fuori dai gangheri?»
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