«Merda!» gridò Paul ricordandosi all’improvviso di non aver tolto il lampeggiatore dal tetto.
L’uomo si mise a correre come se l’asfalto avesse preso fuoco. Paul schiacciò l’acceleratore. Il ponte monumentale che si apriva davanti a loro gli apparve come un simbolo. Un gigante di pietra che apriva le sue crociere nere sul cielo in tempesta.
Accelerò ancora e superò il turco a metà della passerella. Schiffer saltò giù che la macchina si muoveva ancora. Paul frenò e nel retrovisore vide Schiffer che placcava il turco come fosse stato un mediano di mischia.
Bestemmiò, spense il motore, uscì dalla Golf. Il poliziotto aveva già afferrato il fuggiasco per i capelli e lo stava sbattendo contro la balaustra del ponte. Paul rivide in un flash la mano di Marius sotto la taglierina. Mai più una cosa del genere.
Estrasse la sua Glock dalla fondina e corse verso i due uomini:
«Fermo!»
Schiffer stava ora spingendo la sua vittima al di sopra della balaustra. La sua forza e la sua rapidità erano stupefacenti. L’uomo col giubbotto batteva mollemente le gambe, bloccato tra due sbarre di metallo.
Paul era certo che lo avrebbe buttato giù. Il fuggitivo urlava, mentre il suo torturatore gli riversava addosso un miscuglio di colpi e di frasi in turco.
Stava per raggiungerli, quando si bloccò.
«BOZKURT! BOZKURT! BOZKURT!»
Le grida del turco risuonavano nell’aria umida. Dapprima pensò a una richiesta di soccorso, ma poi vide Schiffer lasciare la sua vittima e spingerla su un lato del marciapiede, come se avesse ottenuto ciò che voleva.
Il tempo che Paul prendesse le manette e l’uomo se l’era già filata zoppicando.
«Lascialo andare.»
«Co-cosa?»
Schiffer si lasciò cadere sull’asfalto. Si raggomitolò sul fianco sinistro, fece una smorfia, poi si tirò su in ginocchio.
«Ha detto quello che aveva da dire», buttò lì, tra due colpi di tosse.
«Cosa? Cos’è che ha detto?»
Si rialzò in piedi. Era senza fiato e si premeva l’inguine. Il suo viso era violaceo e punteggiato di bianco.
«Abita nella stessa casa di Ruya. Ha visto che prelevavano la ragazza sulle scale. L’8 gennaio, alle 20.»
«Visto chi?»
«I Bozkurt.»
Paul non capiva niente. Si concentrò sullo sguardo blu cromato di Schiffer e pensò all’altro suo soprannome: il Fer.
«I Lupi grigi.»
«I che?»
«I Lupi grigi. Un gruppo di estrema destra. I killer della mafia turca. Abbiamo sbagliato fin dall’inizio. Sono loro che ammazzano le donne.»
I binari si allungavano a perdita d’occhio, senza lasciare pace allo sguardo. Era un groviglio rigido e duro, che imprigionava lo spirito e i sensi. Segni d’acciaio che si incidevano nelle pupille come fili spinati. Scambi che indicavano nuove direzioni senza mai liberarsi dei loro rivetti o dei loro ferri: vie di fuga che si perdevano all’orizzonte, ma che evocavano sempre la stessa sensazione d’ineluttabile radicamento. E i ponti, in pietra grigia o in ferro nero, con le loro scale e le loro balaustre, avviluppavano tutto l’insieme.
Schiffer aveva preso una scala vietata al pubblico ed era arrivato ai binari. Paul l’aveva raggiunto, storcendosi le caviglie sulle traversine.
«Chi sono i Lupi grigi?»
Schiffer camminava senza rispondere, respirando lente boccate d’aria. Sotto i loro piedi rotolavano le pietre nere.
«Sarebbe troppo lungo da spiegare», disse alla fine. «È roba che appartiene alla storia della Turchia.»
«Santo cielo, parli! Lei mi deve delle spiegazioni.»
Il Cifra continuò ad avanzare, con la mano sull’inguine, poi, con voce stanca, cominciò:
«Negli anni Settanta in Turchia c’era la stessa atmosfera surriscaldata che si respirava nel resto dell’Europa. Le idee di sinistra incontravano il consenso di tutti. Si stava preparando una sorta di maggio ’68… Ma là, è sempre la tradizione la più forte. Si creò un gruppo di reazione. Gente di estrema destra, comandata da un uomo che si chiamava Alpaslan Türkes, un vero nazi. Dapprima hanno formato dei piccoli clan nelle università, poi hanno arruolato giovani contadini nelle campagne. Queste reclute si sono fatte chiamare “Lupi grigi”: “Bozkurt”. O anche “Giovani idealisti”: “Ülkü Ocaklari”. Fin da subito, il loro strumento principale è stata la violenza.»
Malgrado il calore del suo corpo, Paul batteva i denti.
«Alla fine degli anni Settanta», proseguì Schiffer, «l’estrema destra e l’estrema sinistra hanno preso le armi. Attentati, saccheggi, omicidi: in quel periodo, si contavano una trentina di morti al giorno. Una vera guerra civile. I Lupi grigi venivano addestrati in appositi campi. Venivano presi sempre più giovani. Li indottrinavano. Li trasformavano in macchine per uccidere.»
Schiffer continuava a procedere a grandi passi lungo i binari. La sua respirazione stava diventando più regolare. Teneva gli occhi fissi su quelle linee lucenti, come se esse indicassero la direzione dei suoi pensieri:
«Alla fine, nel 1980, l’esercito turco ha preso il potere. È tornato l’ordine. Sono stati arrestati i combattenti dell’una e dell’altra parte. Ma i Lupi grigi sono stati rilasciati subito: le loro posizioni erano uguali a quelle dei militari. Solo che adesso erano disoccupati. E quei ragazzi cresciuti nei campi di addestramento sapevano fare una sola cosa: uccidere. Così, logicamente, sono stati assoldati da chi aveva bisogno di killer. In primo luogo dal governo, sempre lieto di trovare qualcuno per eliminare discretamente i leader armeni o i terroristi curdi. Poi la mafia turca, che si stava imponendo nel traffico dell’oppio della Mezzaluna d’Oro. Per i mafiosi, i Lupi grigi erano una manna. Una forza viva, armata, esperta e, soprattutto, alleata con il potere. Da allora i Lupi grigi lavorano a contratto. Alì Agça, l’uomo che ha sparato al papa nel 1981, era un Bozkurt. I più hanno ormai appeso al chiodo le idee politiche e sono diventati mercenari. Ma i più pericolosi sono rimasti dei fanatici, dei terroristi capaci delle cose peggiori. Degli eletti che credono alla supremazia della razza turca e al ritorno del grande impero delle genti di lingua turca.»
Paul ascoltava, stordito. Non coglieva alcun legame tra quelle storie lontane e la sua inchiesta. Finì per buttare lì:
«E sarebbero quei tipi che hanno ammazzato le donne?»
«Quello con il giubbotto Adidas li ha visti che rapivano Ruya Berkes.»
«Li ha visti in faccia?»
«Avevano il passamontagna, erano in tenuta da commando.»
«In tenuta da commando?»
Il Cifra ribatté:
«Sono dei guerrieri, ragazzo mio. Dei soldati. Sono scappati con una berlina nera. Il turco non ricorda né la targa né la marca. Non vuole ricordarsene.»
«Come mai è così sicuro che si tratti dei Lupi grigi?»
«Hanno urlato degli slogan. E poi, hanno dei segni distintivi. Non c’è alcun dubbio in proposito. D’altra parte, combacia con il resto. Il silenzio della comunità. Le riflessioni di Gozar circa un “affare politico”. I Lupi grigi sono a Parigi. E il quartiere muore di paura.»
Paul non riusciva ad accettare un orientamento così diverso, così inatteso, in completa rottura con la sua interpretazione dei fatti. Aveva lavorato troppo a lungo sulla pista dell’unico assassino. Insistette:
«Ma perché una violenza così?»
Schiffer continuava a seguire i binari che brillavano lucidi d’umidità.
«Vengono da terre lontane. Da pianure, da deserti, da montagne dove quel genere di torture è la regola. Tu sei partito da un’ipotesi: quella dell’assassino seriale. Con Scarbon avete creduto di riconoscere nelle ferite inferte alle vittime una ricerca della sofferenza, le tracce di un trauma o chissà che cosa… Ma avete tralasciato la soluzione più semplice: a torturare quelle donne sono stati dei professionisti. Degli esperti formati nei campi dell’Anatolia.»
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