Jean-Christophe Grangé - L'impero dei lupi

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Anna Heymes, moglie di un alto funzionario parigino, dopo un intervento di chirurgia estetica soffre di crisi di amnesia e di terribili allucinazioni. Alla ricerca della sua identità e del suo vero volto, incontra Paul, il giovane commissario che sta indagando sull’atroce omicidio di tre ragazze turche impiegate in un laboratorio clandestino. Paul ha chiesto l’aiuto di un poliziotto in pensione dal passato turbolento, Jean-Louis Schiffer, creando così una coppia eccentrica ma tenacissima.
Inizia così una vera e propria discesa agli inferi: un viaggio nei labirinti della mente dei protagonisti, ma anche in un mondo popolato da feroci assassini e trafficanti di immigrati
, oltre che da bande terroriste che vanno dai guerriglieri no-global ai Lupi grigi turchi.

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Schiffer era già fuori.

Paul abbassò l’aletta parasole, sulla quale era impressa la scritta POLICE, poi uscì dalla Golf.

L’impermeabile del Cifra sventolava tra le auto come un orifiamma. Paul avvertì una vampata di febbre. In un attimo captò ogni cosa: il fremere dell’aria, la rapidità di Schiffer, la determinazione che ora li univa.

Zigzagò a sua volta in mezzo al traffico del viale e raggiunse il suo compagno nel momento in cui questi stava scendendo le scale.

I due poliziotti si gettarono nell’atrio della stazione. Sotto la volta arancione si agitava una folla accalcata. Paul fece una panoramica: a sinistra, le cabine vetrate della società della metropolitana, a destra, i pannelli con le linee del metrò, davanti i cancelli automatici.

Il turco non si vedeva.

Schiffer si immerse nella massa dei viaggiatori, facendo uno slalom in direzione delle porte pneumatiche. Paul si alzò in punta di piedi e intravide il loro uomo che girava a destra.

«Linea quattro!» urlò al compagno, invisibile nella calca.

In fondo al corridoio di ceramica risuonava già il sospiro di apertura del metrò. Un’onda di agitazione attraversò la folla. Cosa stava succedendo? Chi era che gridava? Chi spingeva? Tutt’a un tratto, il baccano fu lacerato da un ruggito.

«Le porte, cazzo!»

Era la voce di Schiffer.

Paul si precipitò verso gli sportelli informazioni, alla sua sinistra. Vicinissimo al vetro, ansimò:

«Aprite i cancelli!»

L’addetto della metropolitana si irrigidì:

«Cosa?»

Lontano, la sirena segnalava la partenza del convoglio. Paul stampò il tesserino della polizia sul vetro:

«Porco dio: vuoi aprire le porte sì o no?»

Le barriere si aprirono.

A forza di gomitate e spintoni, Paul riuscì a passare dall’altra parte. Schiffer correva sotto il soffitto rosso che ora gli sembrava palpitare come una gola.

Lo raggiunse sulle scale. Il poliziotto scendeva gli scalini à quattro a quattro. Non erano neanche a metà strada, quando udirono il rumore della chiusura delle porte.

Schiffer urlò senza fermarsi. Stava per raggiungere il binario, quando Paul lo prese per il collo, obbligandolo a fermarsi. Il Cifra restò muto per lo stupore. Le luci delle vetture sfilarono riflettendosi sulle sue rughe. Aveva l’aria di un pazzo.

«Non deve vederci!» gli urlò in faccia Paul.

Schiffer lo fisso di nuovo, sbalordito, incapace di riprendere fiato. Poi, mentre il sibilo del metrò si allontanava, Paul, con tono più sommesso, gli disse:

«Abbiamo quaranta secondi per raggiungere la prossima stazione. Lo becchiamo a Château-d’Eau.»

Si capirono con uno sguardo. Risalirono le scale, attraversarono correndo il viale e si gettarono nella loro auto.

Venti secondi se n’erano andati.

Paul girò intorno all’arco di trionfo, sterzò a destra e, contemporaneamente, abbassò il finestrino. Attaccò il lampeggiatore magnetico sul tetto e, azionando la sirena, si gettò in boulevard de Strasbourg.

Percorsero i cinquecento metri in sette secondi. Giunti all’incrocio con rue du Château-d’Eau, Schiffer fece per uscire. Paul lo trattenne nuovamente:

«Lo aspettiamo qui sopra. Ci sono solo due uscite. Lato pari e lato dispari del viale.»

«Chi ti dice che scenderà qui?»

«Lasciamo passare venti secondi. Se è ancora nel metrò, avremo venti secondi per bloccarlo alla Gare de l’Est.»

«E se non scende alla prossima?»

«Non uscirà dal quartiere turco: sia che voglia nascondersi, sia che voglia avvertire qualcuno. Tutto si svolgerà qui, nel nostro territorio. Dobbiamo seguirlo fino a destinazione. Dobbiamo vedere dove va.»

Il Cifra guardò l’orologio.

«Vai!»

Paul fece un ultimo giro di pista, destra-sinistra, pari-dispari, poi ripartì veloce. Poteva sentire nelle proprie vene le vibrazioni del metrò che correva sotto le sue ruote.

Diciassette secondi dopo si fermava davanti ai cancelli della Gare de l’Est e spegneva la sirena e il lampeggiatore. Di nuovo Schiffer cercò di scendere. Di nuovo Paul ordinò:

«Restiamo qui. Abbiamo sott’occhio quasi tutte le uscite. Quella centrale, sullo spiazzo. A destra quella di rue du Faubourg-Saint-Martin. A sinistra quella di rue du 8-Mai-1945. Tre possibilità su cinque.»

«Le altre due dove sono?»

«Ai lati della stazione. In rue du Faubourg-Saint-Martin e in rue d’Alsace.»

«E se sceglie una di quelle due?»

«Sono le più lontane dalla linea. Gli ci vorrà più di un minuto per raggiungerle. Aspettiamo qui trenta secondi. Se non compare, io la lascio in rue d’Alsace e mi prendo Saint-Martin. Restiamo in contatto con i cellulari. Non può scapparci.»

Schiffer rimase in silenzio. La sua fronte era solcata da rughe di riflessione:

«Come fai a conoscere tutte le uscite?»

Sul volto febbricitante di Paul si aprì un sorriso:

«Le ho imparate a memoria. Per gli inseguimenti.»

Il viso di scaglie grigie gli restituì il sorriso:

«Se il tipo non compare, ti spacco la testa.»

Dieci, dodici, quindici secondi.

I più lunghi della sua vita. Paul squadrava le sagome che, battute dal vento, spuntavano da ogni ingresso del metrò: nessun giubbotto Adidas.

Venti, ventidue secondi.

Nei suoi occhi, il flusso dei passeggeri si spezzava, sobbalzando al ritmo delle sue pulsazioni cardiache.

Trenta secondi.

Innestò la prima e disse:

«La lascio in rue d’Alsace.»

Sgommò, prese rue du 8-Mai a sinistra e sbarcò il Cifra all’inizio di rue d’Alsace, senza lasciargli il tempo di dire nulla. Fece inversione poi, a tavoletta, raggiunse rue du Faubourg-Saint-Martin.

Se n’erano andati altri dieci secondi.

A quell’altezza, rue du Faubourg-Saint-Martin era ben diversa da come si presentava nella sua parte inferiore, lato turco: qui offriva marciapiedi deserti, magazzini ed edifici amministrativi. Una via d’uscita ideale.

Paul osservò la lancetta dei secondi: ogni scatto gli scorticava la pelle. La folla anonima si spezzettava, si perdeva in quella strada troppo vasta. Gettò un’occhiata verso l’interno della stazione. Scorse la grande vetrata che gli fece pensare a una serra botanica piena di germi velenosi e di piante carnivore.

Dieci secondi.

Le possibilità di veder comparire il giubbotto Adidas si riducevano quasi a zero. Pensò ai convogli del metrò che correvano sottoterra, alle partenze delle linee principali e dei treni diretti alle periferie che si disperdevano all’aperto; pensò alle migliaia di volti e di menti che si accalcavano sotto le arcate grigie.

Non poteva essersi sbagliato: era semplicemente impossibile.

Trenta secondi.

Sempre niente.

Il suo cellulare squillò. Sentì la voce gutturale di Schiffer:

«Razza di coglione.»

Paul lo raggiunse ai piedi della scala che taglia a metà la rue d’Alsace per elevarsi al di sopra dell’immensa fossa dei binari. Il poliziotto saltò nella macchina ripetendo:

«Coglione.»

«Tentiamo alla Gare du Nord. Non si sa mai…»

«Fottiti. È andato. L’abbiamo perso.»

Paul accelerò e si diresse comunque verso nord.

«Non avrei mai dovuto darti retta», riprese Schiffer. «Tu non hai nessuna esperienza. Non sai niente di niente. Tu…»

«È là.»

A destra, in fondo a rue de Deux-Gares, Paul aveva visto il giubbotto Adidas. L’uomo camminava spedito lungo la parte superiore di rue d’Alsace, proprio sopra le rotaie.

«Quell’inculato», fece il Cifra. «Ha usato la scala esterna delle ferrovie. È uscito attraverso i binari.»

Tese l’indice:

«Vai diritto. Nessuna sirena. Nessuna accelerazione. Lo becchiamo alla prossima via. Con discrezione.»

Paul scalò in seconda e si mantenne a una velocità di venti chilometri all’ora, con le mani che tremavano. Stavano attraversando rue La Fayette quando il turco spuntò un centinaio di metri avanti a loro. Si guardò intorno e restò pietrificato.

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