Corsero più forte.
Altri colpi echeggiarono, suonando quasi frenetici.
«Dannazione!» imprecò Brooks.
Lisa si guardò brevemente alle spalle.
Brooks e Mosi avevano abbandonato le loro posizioni e si affrettavano lungo il corridoio, continuando a sparare verso le bestie.
«Via, via, via!» gridava Brooks. «Sono troppe!»
Tre massicce creature dal pelo bianco comparvero da dietro l’angolo, con la bava alla bocca e il pelo ritto sul collo. Artigliavano il pavimento di legno mentre correvano a zigzag, quasi anticipando i proiettili, schivando i colpi mortali. Tutt’e tre avevano ferite sanguinanti, ma sembravano spronate, più che indebolite.
Lisa tornò a guardare avanti giusto in tempo per vedere una coppia di bestie della stessa razza uscire da direzioni opposte, alla fine del corridoio, bloccando la via di fuga.
Un’imboscata.
La possente pistola di Gunther esplose come un cannone assordante. Mancò la prima delle creature, che schivò il colpo con le movenze leggere di un’ombra.
Monk sollevò la sua arma, fermandosi.
Lisa proseguì, trasportata dallo slancio. Finì con un ginocchio a terra, trascinando con sé il corpo inerte di Painter.
Questi crollò al suolo, svegliandosi per l’impatto. «Dove…»
Lisa lo spinse a terra, mentre nel corridoio imperversava la sparatoria.
Alle sue spalle ci fu un urlo acuto. Si voltò di scatto. Una sagoma pesante e muscolosa si lanciò fuori da una porta vicina e sbatté Brooks contro il muro.
Lisa fuggì carponi, lanciando un grido.
Mosi intervenne, tuffandosi sulla bestia con la lancia in pugno e un ululato sulle labbra.
Lisa abbracciò Painter.
Quelle creature erano ovunque.
Un movimento attirò l’attenzione della donna. Un’altra bestia emerse da dietro una porta, sulla sinistra, facendo cigolare i cardini. Aveva il muso insanguinato. Gli occhi rossi brillavano nella stanza buia. Lisa ricordò l’immagine del primo monaco buddista che aveva visto, pazzo, famelico, ma ancora in grado di agire con astuzia e intelligenza.
Era la stessa cosa.
Mentre il mostro si avvicinava furtivo, scoprì i denti con un ringhio trionfante.
Sudafrica,
ore 15.10
Khamisi era disteso in un fosso, coperto da un telo mimetico.
«Tre minuti», disse Paula, accanto a lui.
I due studiavano la recinzione nera col binocolo.
Khamisi aveva distribuito le forze lungo i confini del parco. Alcuni dei suoi compagni zulù camminavano in bella vista, sorvegliando le vacche lungo vecchi sentieri. C’era un gruppo di anziani con coperte sulle spalle e ornamenti tradizionali. L’assembramento era mascherato da cerimonia nuziale.
Motociclette, ATV e furgoni erano stati parcheggiati a casaccio nella zona. Alcuni dei guerrieri più giovani, tra cui anche donne, si aggiravano attorno ai veicoli; c’erano coppie strette in abbracci amorosi, altri che sollevavano coppe di legno intagliato, gridando e fingendo di essere brilli. C’era un gruppo di uomini a torso nudo, dipinti per i festeggiamenti, intenti a saltare brandendo mazze, in una danza tradizionale. E, a parte le mazze, non c’erano altre armi in vista.
Khamisi mise a fuoco l’immagine nel binocolo. Si spostò leggermente, elevando il campo visivo sopra l’alta recinzione e i rotoli di filo spinato che la sovrastavano. Vide qualche movimento nel fogliame della giungla. Le forze dei Waalenberg si erano radunate sui sentieri sospesi per sorvegliare i confini.
«Un minuto», intonò Paula. Aveva un fucile da cecchino posato su un treppiede sotto il telo mimetico, che era nascosto all’ombra di un albero di stinkwood.
Con sua grande sorpresa, Khamisi aveva scoperto che la donna aveva vinto diverse medaglie d’oro nel tiro a segno olimpico. Abbassò il binocolo. La tradizionale strategia d’attacco zulù si chiamava il Bufalo. Il corpo principale, detto petto , avrebbe condotto un attacco frontale, mentre le corna del toro avrebbero colpito i fianchi, accerchiando il nemico e impedendo la ritirata. Ma Khamisi aveva previsto una leggera modifica, per compensare gli armamenti moderni. Era il motivo per cui aveva perlustrato il terreno tutta la notte, seminando le sue sorprese.
«Dieci secondi», avvisò Paula, cominciando un conto alla rovescia a bassa voce. Appoggiò la guancia al fianco del fucile.
Khamisi sollevò la trasmittente, girò la chiave e tenne il pollice sospeso sopra la fila di bottoni.
«Zero.»
Khamisi premette il primo bottone.
Oltre la recinzione, le cariche che aveva piazzato durante la notte esplosero con detonazioni fragorose, devastando le chiome degli alberi: scoppiavano in sequenza, in modo da creare il massimo caos. Pezzi di tavole e rami in fiamme si sollevarono in cielo, mentre uno stormo di uccelli prendeva il volo in preda al terrore, come un’esplosione di coriandoli di tutti i colori dell’arcobaleno.
Khamisi aveva piazzato pacchetti esplosivi C4, ottenuti tramite canali britannici, nei principali punti di supporto e di collegamento dei sentieri sospesi. Le esplosioni si diffusero, accerchiando il palazzo e facendo crollare i ponti, privando così le forze Waalenberg del vantaggio dell’altezza e suscitando panico e confusione.
Davanti a Khamisi, alcuni guerrieri zulù lasciarono cadere le coperte, rivelando i fucili che nascondevano, oppure s’inginocchiarono e, tirandoli per un lembo, dissotterrarono teli che celavano armi. Era il petto del Bufalo. Tutt’attorno, i motori rombavano e i guerrieri montavano sui veicoli, trasformando le motociclette e i camioncini nelle corna del toro.
«Adesso», disse Paula.
Khamisi premette gli altri bottoni, l’uno dopo l’altro.
Quasi un chilometro di recinzione esplose, con metallo e filo spinato che si contorceva tra le fiamme. Grossi frammenti caddero al suolo, scoprendo il ventre del nemico.
Khamisi si liberò del telo mimetico e si alzò. Una motocicletta arrivò a tutta velocità da dietro, sollevando sabbia e polvere, mentre si fermava con una sgommata accanto a lui. Njongo gli fece cenno di montare in sella, ma Khamisi aveva un ultimo compito. Sollevò una sirena sopra la testa e premette il grilletto. Lo squillo di tromba echeggiò nella terra degli zulù, suonando ancora una volta la carica del Bufalo.
ore 15.13
L’eco delle detonazioni arrivò fin nel sotterraneo, facendo tremolare le luci nella stanza della Campana. Si fermarono di colpo: Baldric era accanto al nipote Isaak, presso la console, mentre Ischke sorvegliava Gray, a un passo di distanza, puntandogli la pistola al petto. Tutti guardarono il soffitto.
Tutti tranne Gray.
Lui mantenne lo sguardo fisso sul misuratore di potenza della console. Gli indicatori aumentavano lentamente, apprestandosi a raggiungere l’impulso massimo. Indifferente alle suppliche di Gray, Baldric aveva attivato la Campana. Un crescente ronzio pervadeva il cilindro di piombo attorno all’apparecchio. L’involucro esterno della Campana, mostrato in un monitor, emanava una luce blu chiara.
Una volta raggiunto il picco di potenza, un poderoso impulso sarebbe stato trasmesso nel raggio di otto chilometri, uccidendo Monk, Fiona e Ryan, ovunque fossero nascosti. Soltanto Gray era al sicuro, in quella stanza, sotto lo schermo.
«Scopri che sta succedendo», ordinò Baldric al nipote, quando le esplosioni cessarono.
Isaak stava già prendendo il telefono rosso.
Il colpo di pistola li fece sobbalzare tutti. Subito dopo le esplosioni smorzate suonò fragoroso e vicino.
Gray si voltò e vide il pavimento macchiarsi di sangue.
Dalla spalla sinistra di Ischke sgorgava uno zampillo cremisi, mentre la donna, colpita da dietro, girava su se stessa per l’impatto. Purtroppo teneva la pistola con la mano destra. Mirò alla persona che le aveva sparato, accanto alla porta.
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