James Rollins - L'ordine del sole nero

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IERI. Germania, 1945: in un bunker sotterraneo viene portato a termine un esperimento rivoluzionario…
OGGI. Nepal: in un remoto monastero un’ondata di follia si diffonde improvvisamente tra i monaci, che scrivono col sangue indecifrabili sequenze di rune celtiche e svastiche. Copenhagen: a un’asta di libri antichi ricompare la Bibbia appartenuta a Charles Darwin, un volume che cela la chiave di un mistero sconcertante. Sudafrica: l’ultimo segreto dei nazisti sta per riemergere dal profondo della giungla… Grayson Pierce e la Sigma Force sono di nuovo in azione.

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Era tutto quanto fatto di piombo.

Gray capì che probabilmente l’anello esterno del pavimento si sollevava, spinto dai pistoni, e s’inseriva nel soffitto, formando un grande cilindro che avrebbe racchiuso la Campana.

«Che succede?» gridò Baldric, voltandosi verso il nipote.

Isaak premeva inutilmente un interruttore. «I motori dello schermo non hanno corrente!»

I motori dovevano essere al piano inferiore. Il livello oscurato. Squillò un telefono, un trillo stridente, che competeva col rumore dei motori. Gray immaginava chi fosse a chiamare: la sicurezza aveva finalmente scoperto dov’erano i padroni di casa.

Era ora di andare.

Gray si alzò e si voltò.

Un tubo gli colpì il polso, facendogli cadere di mano la pistola. Poi partì un altro fendente, diretto alla testa. Lo schivò giusto in tempo.

Ischke gli si avvicinò. Dietro di lei, le porte dell’ascensore buio erano aperte, forzate con una leva. Evidentemente la donna era rimasta bloccata quando era mancata la corrente, poi era scesa fino a lì. Nel frastuono dei motori della Campana, Gray non l’aveva sentita forzare le porte dietro di lui.

Ischke sollevò il tubo.

Gray arretrò verso l’interno della sala della Campana, tenendo gli occhi fissi su di lei. Evitò di guardare le scale d’emergenza. Pregò che Marcia se ne fosse già andata, che fosse già diretta alla radio a onde corte, pronta a dare l’allarme a Washington.

Ischke, coi vestiti macchiati di grasso e col viso imbrattato, seguì Gray dentro il locale.

Gray sentì la voce di Baldric alle sue spalle. « Wat is dit? Sembra che la piccola Ischke abbia catturato il topolino che ha rosicchiato i fili.»

Gray era disarmato. Senza nessuna possibilità.

«I generatori stanno ritornando in linea», disse Isaak, con tono annoiato, per nulla colpito dall’intrusione.

Sotto i piedi di Gray ci furono un rombo e uno stridore di motori. Lo schermo cominciò a salire dal pavimento.

«E ora sterminiamo gli altri ratti», disse Baldric.

ore 14.45

Monk gridò per farsi sentire nel frastuono dell’elicottero. Il vortice creato dai rotori faceva turbinare sabbia e polvere tutt’attorno. «Sai far volare questo uccellino?»

Gunther annuì, impugnando la leva dei comandi.

Monk gli diede una pacca sulla spalla. Doveva fidarsi del nazista. Non poteva pilotare con una mano sola. Comunque, dato che l’obiettivo del gigante in quel momento era la sopravvivenza della sorella, Monk ritenne di poter fare quella scommessa.

Anna era seduta dietro con Lisa. Painter era accasciato tra di loro, con la testa ciondoloni. Il sedativo era leggero. Ogni tanto borbottava qualcosa di insensato, a proposito di un’incombente tempesta di sabbia, perso in paure del passato.

Chinando la testa sotto le pale, Monk girò attorno all’elicottero.

Dall’altra parte c’erano Khamisi e Mosi D’Gana, il capo zulù. Si strinsero reciprocamente gli avambracci. Mosi si era spogliato degli abiti cerimoniali: indossava una tuta kaki e un berretto, e portava in spalla un fucile automatico. A un cinturone nero era appesa una fondina, con una pistola. Inoltre, legata sulla schiena, portava una lancia corta con una lama spaventosa.

«Ora sei tu al comando», disse a Khamisi in tono formale, mentre Monk si avvicinava.

«Ne sono onorato, signore.»

Mosi annuì e lasciò andare il braccio di Khamisi. «Ho sentito dire bene di te, Fat Boy.»

Monk li raggiunse. Fat Boy?

Khamisi sgranò gli occhi, nello sguardo una miscela di vergogna e onore. Annuì e si allontanò. Mosi salì sull’elicottero. Avrebbe fatto parte della prima ondata d’attacco. Monk non aveva scelta, era in debito con lui.

Khamisi si avvicinò a Paula Kane. I due avrebbero coordinato l’attacco via terra.

Monk si guardò attorno, oltre il turbine di sabbia e polvere. Le forze si erano radunate in fretta, arrivando a piedi, a cavallo, su motociclette arrugginite e camioncini sconquassati. Mosi aveva fatto circolare la voce e, come il suo grande antenato Shaka Zulu, aveva radunato un esercito di uomini e donne, con indosso pelli tradizionali, tute mimetiche consunte, jeans Levi’s. E ne stavano arrivando ancora.

Sarebbe toccato a loro tenere occupate le guardie dei Waalenberg, per conquistare la tenuta, se possibile. Come se la sarebbero cavata gli zulù contro le forze di sicurezza, dotate di armi ed esperienza superiori? Sarebbe stata un’altra Blood River?

C’era soltanto un modo per scoprirlo.

Monk s’infilò nell’affollato scompartimento posteriore. Mosi si accomodò accanto al maggiore Brooks. Erano seduti di fronte ad Anna, Lisa e Painter. Sul sedile posteriore c’era anche un altro nuovo arrivato, un guerriero zulù mezzo nudo, di nome Tau, con la cintura allacciata. Era mezzo girato per tenere una lancia corta puntata in gola al copilota dell’elicottero: il sovrintendente capo Gerald Kellog era seduto accanto a Gunther, legato e imbavagliato. Aveva un occhio gonfio, che stava diventando viola.

Monk toccò Gunther su una spalla e gli fece cenno col dito di far decollare il velivolo. Gunther rispose con un cenno del capo e azionò il collettivo. L’elicottero si sollevò con un gran rombo di motori.

Il suolo si allontanava sempre di più e davanti a loro si estendeva la tenuta. Monk era stato informato dei missili terra-aria di cui erano dotati i Waalenberg. Disarmato com’era, il lento elicottero commerciale sarebbe stato un facile bersaglio.

Non era una bella situazione.

Monk si sporse in avanti. «È ora di guadagnarsi la pelle, sovrintendente.»

Kellog sbiancò.

Soddisfatto, Monk prese il microfono della radio e lo accostò alle labbra del sovrintendente. «Colleghiamoci alla frequenza della sicurezza.»

Khamisi aveva già ottenuto i codici. Era quello il motivo dell’occhio nero di Kellog.

«Si attenga al copione», lo ammonì Monk, facendogli un sorriso maligno.

Kellog si scostò ancora un po’.

Il suo sorriso era davvero così terribile?

Per ribadire la minaccia, Tau premette la punta della lancia nel collo morbido dell’uomo.

La radio emise qualche scarica elettrostatica e Kellog trasmise il messaggio secondo le istruzioni. «Abbiamo ricatturato uno dei vostri prigionieri. Monk Kokkalis. Lo abbiamo a bordo, atterreremo all’eliporto sul tetto.»

Gunther controllava la risposta della sicurezza tramite le cuffie.

«Ricevuto. Passo e chiudo», disse ancora Kellog.

Gunther quasi gridò: «Ci hanno dato il via libera».

Puntò verso il basso il muso del velivolo, accelerando verso la tenuta. Dall’alto, il palazzo sembrava ancora più imponente.

Monk si girò, rimettendosi comodo sul sedile, di fronte a Lisa. Accanto a lei, Anna era appoggiata al finestrino, gli occhi strizzati per il dolore. Painter dondolava, tenuto dalle cinture, e gemeva. L’effetto del sedativo stava per finire.

Lisa lo fece appoggiare di nuovo allo schienale.

Monk notò che gli teneva la mano. Da tutto il viaggio.

Lisa e Monk si guardarono in faccia.

Lo sguardo di lei era pieno di paura, ma non per se stessa.

ore 14.56

«L’asta di trasmissione è sollevata?» chiese Baldric.

Isaak annuì, senza distogliere lo sguardo dalla console.

«Prepara la Campana per l’attivazione.» Baldric si rivolse a Gray: «Abbiamo inserito i codici del DNA dei suoi compagni nella Campana. Modificherà le emissioni per snaturare e distruggere selettivamente i DNA corrispondenti, rimanendo innocua per tutti gli altri. È la nostra versione della soluzione finale».

Gray pensò a Fiona nascosta nella stanza e a Monk che stava arrivando proprio in quel momento. «Non c’è bisogno di ucciderli. Avete ricatturato il mio compagno. Lasciate stare il ragazzo e la ragazza.»

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