Gray sollevò una mano verso la prima leva.
Avevano già individuato le scale di emergenza, che portavano verso il palazzo. Ma, per uscire e raggiungere la zona di sicurezza, avevano bisogno di un diversivo.
La soluzione l’avevano trovata qualche istante prima. Appoggiato a una delle porte nel corridoio, Gray aveva notato la vibrazione e il ronzio dell’impianto elettrico che alimentava quel livello. Se fossero riusciti a far saltare la centralina principale, creando altro caos, forse accecando i loro carcerieri per un po’, avrebbero avuto una possibilità in più di arrivare a quella radio.
«Pronta?» chiese Gray.
Marcia accese la torcia. Lo guardò negli occhi, fece un respiro profondo e annuì. «Procediamo.»
«Buio», disse Gray, tirando la prima leva.
Poi un’altra, e un’altra ancora.
ore 14.35
Fiona vide le luci sfarfallare e spegnersi.
Era in piedi in mezzo al cortile, accanto a una piccola fontana. Qualche istante prima, era scivolata via dalla porta chiusa e aveva attraversato furtivamente il cortile in cerca di un’altra uscita. Doveva essercene un’altra per forzasi bloccò di colpo.
Nella sala calò un silenzio irreale, come se gli animali avessero percepito un cambiamento fondamentale, la scomparsa del ronzio subsonico perpetuo dell’elettricità. O forse intuivano semplicemente che ciò dava loro un nuovo potere. Una porta cigolò alle spalle di Fiona. Lei si voltò lentamente. Una delle gabbie di vetro e ferro in cui era chiusa una iena si era aperta. Il blackout aveva smagnetizzato le serrature. La bestia strisciò fuori dalla gabbia, grondando sangue dal muso. Era quella che stava rosicchiando l’osso. Emise un ringhio cupo.
Fiona sentì una risata sguaiata proveniente da qualche punto alle sue spalle. I predatori del serraglio si erano scambiati un messaggio silenzioso. Altre porte si aprirono cigolando sui cardini di ferro.
La ragazza rimase immobile accanto alla fontana. Anche la pompa idraulica si era fermata, mettendo a tacere l’acqua, come se temesse di attirare l’attenzione su di sé.
Da qualche parte, in una delle cappelle laterali, echeggiò un urlo acuto. Umano. Fiona immaginò che fosse l’inserviente rimproverato da Ischke. A quanto pareva, le bestie che gli erano state affidate avrebbero avuto la loro carne fresca. Sentì dei passi avvicinarsi, poi un nuovo urlo di dolore, mescolato a ululati, guaiti e latrati.
Fiona si tappò le orecchie dopo quell’ultimo urlo, seguito dal suono delle creature che si nutrivano.
Era concentrata interamente sulla prima belva che era fuggita.
La iena col muso insanguinato si stava avvicinando. Fiona riconobbe la creatura dalle screziature appena accennate sul fianco, macchie di bianco su bianco. Era la stessa della giungla.
La preferita di Ischke.
Skuld.
Prima quello zuccherino chiuso in gabbia le era stato negato.
Stavolta nessuno l’avrebbe disturbata.
ore 14.40
«Aiuto… bitte !» Gunther si precipitò nella capanna, seguito dal maggiore Brooks.
Lisa si alzò, sollevando lo stetoscopio dal petto di Painter. Stava tenendo sotto controllo un soffio sistolico. Nell’arco di una sola mezza giornata, il picco era passato da precoce a ritardato, il che suggeriva una rapida degenerazione della stenosi della valvola aortica. Quella che prima era una modesta angina si era ormai trasformata in sincopi e mancamenti, ogni volta che l’uomo si sforzava troppo. Lisa non aveva mai visto una degenerazione così rapida. Sospettava una calcificazione della valvola cardiaca. Quegli strani depositi mineralizzati avevano cominciato a comparire in tutto il corpo di Painter, anche negli umori degli occhi.
Disteso supino, il direttore della Sigma si sollevò sui gomiti, trasalendo.
«Che succede?» chiese a Gunther.
Gli rispose il maggiore Brooks, col suo pesante accento strascicato del Sud. «È sua sorella, signore. Ha una specie di attacco… Convulsioni.»
Lisa prese il suo kit medico. Painter cercò di alzarsi, ma al secondo tentativo dovette essere assistito da Lisa. «Resta qui», lo ammonì lei.
«Ce la faccio», replicò lui, palesemente irritato.
Lisa non aveva tempo di discutere e gli lasciò andare il braccio, poi si precipitò da Gunther. «Andiamo.»
Brooks aspettò, incerto se seguirli oppure se aiutare Painter. Questi lo allontanò con un cenno e si mise a zoppicare dietro di loro.
Lisa corse fuori dalla capanna e si diresse verso quella vicina. Fu investita dal caldo, come se fosse entrata in un forno. L’aria era immobile, incandescente, impossibile da respirare. Il sole era accecante. Ma, dopo un attimo, Lisa si stava già chinando per entrare nella più fresca oscurità dell’altra capanna.
Anna era distesa su una stuoia d’erba, appoggiata per metà su un fianco, il corpo inarcato, i muscoli contratti. Lisa corse da lei. Le aveva già collocato un catetere intravenoso nell’avambraccio. Anche Painter ne aveva uno. Così era più facile somministrare a entrambi farmaci e flebo.
Lisa si appoggiò su un ginocchio e le somministrò una dose già misurata di diazepam. Nel giro di qualche secondo, Anna si rilassò, ricadendo a terra. Sbatté le palpebre e aprì gli occhi, riprendendo coscienza, stordita, ma vigile.
Arrivò Painter, seguito da Monk. «Come sta?»
«Secondo te?» chiese Lisa, esasperata.
Gunther aiutò la sorella a mettersi seduta.
Aveva il viso cinereo, coperto da un velo di sudore. Painter era destinato a fare la stessa fine nel giro di un’ora. Sebbene fossero stati esposti in ugual misura alle radiazioni, la maggiore stazza e il maggior vigore fisico di Painter lo sostenevano un po’ meglio. Ma a entrambi non rimaneva che qualche ora di vita.
Lisa guardò lo spiraglio di luce che entrava nella capanna da una finestra a fessura. Il crepuscolo era troppo lontano.
Monk interruppe quel silenzio gravoso. «Ho parlato con Khamisi. Dice che si sono appena spente tutte le luci in quel dannato palazzo.» Accennò un sorriso, come se dubitasse che eventuali buone notizie fossero ben accette. «Immagino che sia opera di Gray.»
Painter aggrottò le sopracciglia. Era l’unica espressione di cui sembrava capace da qualche tempo. «Questo non lo sappiamo.»
«E non sappiamo neanche il contrario.» Monk si passò una mano sulla testa rasata. «Signore, penso che dobbiamo considerare la possibilità di anticipare l’intervento. Khamisi dice…»
«Khamisi non comanda questa operazione», lo interruppe Painter, tossendo forte.
Monk guardò Lisa. I due avevano parlato in privato venti minuti prima. Era uno dei motivi per cui l’agente aveva chiamato Khamisi. Bisognava verificare alcune opportunità.
Monk fece un cenno col capo.
Lisa tirò fuori dalla tasca una seconda siringa e affiancò Painter. «Lascia che ti sciacqui il catetere. C’è rimasto del sangue.»
Painter sollevò il braccio tremante.
Lisa gli sostenne il polso e iniettò la dose. Monk si portò accanto a Painter e lo afferrò, mentre gli cedevano le gambe.
«Che…» La testa di Painter ciondolò all’indietro.
Monk lo sostenne con una spalla sotto l’ascella. «È per il suo bene, signore.»
Painter guardò di traverso Lisa e allungò l’altro braccio verso di lei. Se fosse per colpirla o per esprimere lo shock perché lei l’aveva tradito probabilmente non lo sapeva nemmeno lui. Il sedativo gli fece perdere conoscenza.
Il maggiore Brooks rimase a guardare, con la bocca spalancata per lo stupore.
Monk alzò le spalle, rivolgendosi al militare dell’Air Force: «Mai visto un ammutinamento prima d’ora?»
Brooks si riprese. «Posso dire solo una cosa, signore: era ora!»
«Khamisi sta arrivando col pacchetto. Tempo d’arrivo previsto: tre minuti. Lui e la dottoressa Kane rileveranno il supporto logistico qui all’accampamento.»
Читать дальше