Marcia guardò il computer, riluttante, ma annuì e si alzò. Lasciarono il mostruoso laboratorio e proseguirono lungo il corridoio. La porta successiva diceva FOETUSSEN. Un laboratorio fetale. Gray proseguì senza fermarsi. Non aveva nessuna voglia di scoprire gli orrori contenuti lì dentro.
«Come fanno a ottenere questi risultati?» chiese Marcia. «Le mutazioni, il successo con le chimere… Devono avere un qualche sistema per controllare le manipolazioni genetiche.»
«Può darsi», borbottò lui. «Ma non è perfezionato, non ancora.»
Gray ricordò il lavoro di Hugo Hirszfeld e il codice nascosto nelle rune. Capiva perché Baldric ne fosse ossessionato: era una promessa di perfezione.
Troppo bella per lasciarla morire e troppo mostruosa per essere rivelata.
Certamente la mostruosità non spaventava Baldric. Anzi aveva inglobato i mostri nella sua stessa famiglia. Dopo essersi impadronito del codice di Hirszfeld, quale sarebbe stato il passo successivo? Soprattutto con la Sigma che gli soffiava sul collo… Non c’era da stupirsi che Baldric volesse disperatamente sapere di più su Painter Crowe.
Raggiunsero un’altra porta. La scritta identificativa era: XERUM 525.
Gray e Marcia si guardarono.
«Non siero…» sussurrò lui.
«Xerum», lesse Marcia, scuotendo la testa, senza capire.
Gray usò la chiave magnetica rubata. La luce verde si accese, la serratura si sbloccò e lui aprì la porta. Nella stanza si accesero le luci. L’aria aveva un odore leggermente corrosivo, con una punta di ozono. Il pavimento e le pareti erano scuri.
«Piombo», disse Marcia, toccando le pareti.
A Gray non piaceva l’idea, ma doveva scoprire qualcosa di più. Quello sembrava un sito di stoccaggio per rifiuti pericolosi. La stanza era piena di scaffali, sui quali erano impilati fusti gialli da quaranta litri, con sopra il numero 525.
Gray ripensò all’ipotesi di un agente per la guerra biologica. Oppure quei fusti contenevano qualche tipo di materiale fissile? Scorie nucleari, forse? Era per quello che il locale aveva le pareti di piombo?
Marcia non sembrava granché preoccupata. Si avvicinò agli scaffali. In ogni postazione c’era un’etichetta, che contrassegnava uno dei fusti. «Albania… Argentina…»
C’erano altri Paesi, tutti in ordine alfabetico. Ci dovevano essere almeno cento fusti.
Gray percorse rapidamente la stanza, fermandosi di quando in quando a leggere un’etichetta: Belgio… Finlandia… Grecia…
Continuò a correre e, alla fine, raggiunse il punto che cercava.
Stati Uniti.
Marcia aveva sentito di un possibile attentato a Washington. A giudicare da tutti i Paesi citati dalle etichette, non era soltanto l’America a essere minacciata. Non ancora, almeno. Gray ripensò alla preoccupazione di Baldric per Painter e la Sigma, la minaccia più immediata per i suoi piani. Per rimediare, il vecchio doveva aver cambiato il suo calendario.
Lo scaffale era vuoto.
Il fusto di Xerum 525 destinato agli Stati Uniti non c’era più.
Clinica universitaria di Georgetown,
Washington, D.C.,
ore 07.45
«Tempo d’arrivo stimato di MedSTAR?» chiese il centralinista, seduto davanti a uno schermo a sensibilità tattile, con la cuffia senza fili.
Dalla radio dell’elicottero risposero: «In viaggio, a due minuti».
«Il pronto soccorso chiede un aggiornamento.» Tutti avevano sentito della sparatoria sulla Embassy Row. Erano scattati i protocolli della Homeland Security, con chiamate e allarmi in tutta la città.
«Secondo il personale medico dell’ambasciata, due morti sul colpo. Nazionalità sudafricana, tra cui l’ambasciatore. Ma anche due americani a terra.»
«Condizioni?»
«Uno deceduto, l’altro in condizioni critiche.»
Sudafrica,
ore 13.55
Fiona era in ascolto sulla soglia, Taser alla mano. Sentì avvicinarsi delle voci, dal pianerottolo del primo piano. Il terrore l’attanagliò. Le riserve di adrenalina che l’avevano sostenuta nelle ultime ventiquattr’ore si stavano ormai esaurendo. Le tremavano le mani, il respiro era accelerato.
Il soldato legato e imbavagliato, quello che l’aveva importunata, era disteso dietro di lei. Aveva dovuto dargli un’altra scossa quando aveva cominciato a gemere.
Le voci erano sempre più vicine al suo nascondiglio.
Dov’era finito Gray? Era via da quasi un’ora.
Due persone si avvicinarono alla porta. Riconobbe una delle voci. Era quella stronza bionda che le aveva tagliato il palmo della mano: Ischke Waalenberg. Lei e il suo compagno parlavano in olandese, ma Fiona conosceva molto bene quella lingua.
«Le mie chiavi», stava dicendo Ischke. «Devo averle perse quando sono caduta.»
«Be’, cara zuster , adesso sei a casa e sei al sicuro.»
Zuster. Sorella. Quindi il suo compagno era il fratello.
«Cambieremo i codici, per precauzione», aggiunse l’uomo.
«E nessuno ha ancora trovato i due americani o la ragazzina?»
«I confini della tenuta sono sotto stretta sorveglianza. Siamo sicuri che siano ancora qui. Li troveremo. E grootvader ha una sorpresa.»
«Che tipo di sorpresa?»
«Una specie di assicurazione: nessuno lascerà la tenuta vivo. Non dimenticare che ha prelevato campioni di DNA a tutti, quando sono arrivati.»
Ischke rise, facendo gelare il sangue nelle vene a Fiona. Poi le voci si allontanarono.
«Vieni.» La voce del fratello andava scemando, mentre scendevano le scale verso il piano terra. « Grootvader ci vuole vedere.»
Le voci si fermarono in fondo alla scalinata. Pur premendo l’orecchio sulla porta, Fiona non riuscì a distinguere neanche una parola, ma sembrava che discutessero animatamente di qualche faccenda. In ogni caso, aveva sentito abbastanza.
Nessuno lascerà la tenuta vivo.
Che cosa avevano in mente? Le echeggiava ancora in testa la risata glaciale di Ischke, cupa e soddisfatta. Qualsiasi cosa stessero tramando, sembravano certi del risultato. Ma che cosa c’entravano i campioni di DNA?
Fiona sapeva che c’era soltanto un modo per scoprirlo. Non aveva idea di quando Gray sarebbe ritornato e temeva che il tempo stringesse. Doveva scoprire qual era il pericolo per poterlo evitare.
Mise in tasca il Taser e tirò fuori lo spolverino di piuma. Per quella impresa, avrebbe dovuto ricorrere a tutta la destrezza acquisita sulla strada. Aprì la porta e scivolò fuori dalla stanza. Non si era mai sentita tanto sola e in preda a una paura così assoluta. Ripensandoci, poggiò la mano sulla manopola della porta. Chiuse gli occhi e cercò di calmarsi, con una preghiera, non rivolta a Dio, ma a qualcuno che le aveva insegnato che il coraggio può assumere molte forme, compreso il sacrificio.
«Mutti…» implorò.
Le mancava la nonna adottiva, Grette Neal. I segreti del passato avevano ucciso la donna e nuovi segreti minacciavano lei e gli altri. Per avere anche la minima speranza di sopravvivere, doveva essere coraggiosa e altruista come Mutti.
Le voci al piano inferiore si allontanavano dalla scala.
Fiona camminò quel tanto che bastava per vedere le teste biondo platino dei gemelli. Ritornò a sentire le loro parole.
«Non far aspettare grootvader », disse il fratello.
«Scenderò tra un attimo. Voglio soltanto dare un’occhiata a Skuld, assicurarmi che sia tornata nella sua tana. Era piuttosto eccitata e temo che possa farsi del male da sola, per la frustrazione.»
«Si potrebbe dire la stessa cosa di te, mia dolce zuster. »
Fiona fece un altro passo. Il fratello accarezzò la sorella sulla guancia, con un’intimità che faceva rabbrividire.
Ischke si arrese a quel tocco, poi si ritrasse. «Non ci metterò molto.»
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