Il profumo dell’arrosto e dell’aglio gli stuzzicarono l’appetito, guidandolo su per i tre gradini di legno, fino alla porta a zanzariera aperta. Quando entrò in cucina, gli brontolava già lo stomaco.
Sulla sinistra, vide il cuoco inginocchiato sul pavimento, con la testa infilata nel forno. Kellog guardò perplesso quel quadretto.
Gli ci volle qualche istante per rendersi conto che non era il cuoco. «Mxali…»
Kellog si accorse finalmente dell’odore di carne bruciata nascosto dal profumo dell’aglio. Qualcosa sporgeva dal braccio dell’uomo: una freccetta piumata. L’arma preferita di Mxali.
Qualcosa era andato terribilmente storto.
Kellog fece un passo indietro, voltandosi verso la porta.
I due giardinieri avevano lasciato cadere le zappe e tenevano ciascuno un fucile puntato al suo pancione enorme. Non era insolito che piccole bande di predoni, immondizia delle township nere, saccheggiassero le fattorie e le case più isolate. Kellog alzò le mani, mentre gli si accapponava la pelle dal terrore.
Lo scricchiolio di una tavola lo fece girare dall’altra parte.
Un’ombra emerse dall’oscurità della stanza accanto.
Kellog rimase senza fiato quando riconobbe l’intruso.
Non era un predone, ma molto peggio: un fantasma.
«Khamisi…»
ore 12.30
«Allora, che cos’ha esattamente?» chiese Monk, indicando col pollice una delle capanne vicine. Painter vi si era appartato col telefono satellitare della dottoressa Kane, per conferire con Logan Gregory.
Monk era seduto su un tronco assieme alla dottoressa Lisa Cummings, sotto la veranda di un’altra capanna. Per quanto fosse coperta di polvere e avesse un accenno di occhiaie, la dottoressa era una bella donna.
«Le sue cellule si stanno snaturando: si dissolvono dall’interno. Così dice Anna Sporrenberg, che ha studiato a lungo gli effetti deleteri delle radiazioni della Campana. Causa un arresto delle funzioni di molteplici organi. Anche suo fratello Gunther soffre di una patologia cronica di questo tipo, ma nel suo caso il tasso di degenerazione è rallentato da un sistema immunitario più potente. Anna e Painter, esposti da adulti a un’overdose di radiazioni, non hanno una simile protezione.» Entrò nei dettagli, sapendo che Monk aveva alle spalle una formazione medica. Riduzione delle piastrine, aumento dei livelli di bilirubina, edema, dolori muscolari con contratture del collo e delle spalle, infarti ossei, epatosplenomegalia, soffio al cuore e strane calcificazioni delle estremità distali e dell’umor vitreo degli occhi.
Quel che contava, però, era una sola domanda. «Quanto tempo gli rimane?»
Lisa sospirò, guardando la capanna in cui Painter era svanito. «Non più di un giorno. Anche se si trovasse una cura oggi, temo che ci potrebbero essere danni permanenti.»
«Ha notato come biascicava… come si mangiava le parole? Sono i farmaci, oppure…»
Lisa si voltò brevemente verso di lui, con uno sguardo più sofferente. «Non sono soltanto i farmaci.»
Monk intuì che era la prima volta che la donna lo ammetteva, anche a se stessa. Lo disse con terrore e disperazione. Notò anche come ne soffriva. Non era soltanto la reazione di una dottoressa o di un’amica preoccupata. Quella donna amava Painter ed era evidente che si sforzava di tenere a bada le proprie emozioni.
Painter emerse dalla capanna. «Ho in linea Kat.»
Monk si alzò rapidamente, controllò che non ci fossero elicotteri in cielo, e raggiunse Painter. Prese il telefono satellitare, coprì il microfono con la mano, e indicò Lisa con un cenno del capo. «Capo, penso che alla dottoressa non dispiacerebbe un po’ di compagnia.»
Riparandosi gli occhi doloranti, Painter raggiunse la donna.
Monk lo guardò allontanarsi e si portò il telefono all’orecchio. «Ehi, piccola.»
«Non mi chiamare piccola. Che diavolo ci fai in Africa?»
Monk sorrise. Il rimprovero di Kat era una benedizione, come una limonata nel deserto. In più, era una domanda retorica, sicuramente era già informata di tutto.
«Pensavo che fossi andato a fare il babysitter», proseguì lei. «Quando torni, ti chiudo a chiave…» Continuò per un intero, concitato minuto.
Alla fine, Monk riuscì a infilare di traverso qualche parola nella conversazione. «Mi manchi anche tu.»
Il tono infuriato si trasformò in un sussurro. «Ho sentito che Gray è ancora disperso.»
«Se la caverà», la rassicurò lui, sperando che andasse davvero così.
«Trovalo.»
Era proprio ciò che intendeva fare. Lei non gli chiese di prometterle di essere cauto, lo conosceva troppo bene. Ma Monk sentì le lacrime nelle parole che seguirono.
«Ti amo.»
Era abbastanza per rendere prudente chiunque.
«Anch’io.» Abbassò la voce e si voltò dall’altra parte. «Amo te e il nostro bambino.»
«Torna a casa.»
«Prova a fermarmi.»
Kat sospirò di nuovo. «Logan mi sta chiamando al cercapersone, devo andare. Abbiamo un appuntamento alle sette con un diplomatico dell’ambasciata sudafricana. Faremo tutto il possibile per esercitare pressioni da qui.»
«Sistemali per bene, piccola.»
«Lo faremo. Ciao, Monk.»
«Kat, ti…» ma era già caduta la linea. Dannazione.
Monk guardò Lisa e Painter. I due stavano parlando, ma lui intuiva che era più il bisogno di stare vicini che una vera e propria comunicazione. Almeno Kat era al sicuro.
ore 12.37
«Mi stavano portando in una cella sotterranea per altri interrogatori», spiegò la dottoressa Fairfield. «Ci dev’essere qualcosa che li preoccupa.»
Erano ritornati tutti e tre nella stanza al primo piano. L’uomo che aveva palpeggiato Fiona era ancora a terra, privo di coscienza, col sangue che gli colava dalle narici.
Marcia Fairfield aveva raccontato in breve la sua storia: l’imboscata che le era stata tesa durante l’uscita nella riserva, l’attacco delle bestie dei Waalenberg, la sua cattura. I Waalenberg avevano appreso di un suo possibile ruolo nei servizi segreti britannici, perciò l’avevano rapita, mettendo in scena un attacco fatale a opera di una leonessa. Aveva ancora ferite gonfie e non cicatrizzate.
«Sono riuscita a convincerli che il mio accompagnatore, il guardacaccia, era rimasto ucciso. Non ho potuto fare altro. Spero che sia riuscito a salvarsi.»
«Ma cosa nascondono i Waalenberg?» chiese Gray. «Cosa stanno facendo?»
La donna scosse la testa. «Una specie di programma genetico. Sono in grado di dire soltanto questo, ma penso che ci sia in ballo anche qualche altro intrigo. Forse persino un attentato. Ho sentito una delle mie guardie parlare di un siero di qualche tipo. Siero 525. E nello stesso contesto hanno citato anche Washington.»
Gray aggrottò le sopracciglia. «Ha sentito qualcosa sui tempi?»
«Non esattamente. A giudicare dalle loro risate, però, ho avuto l’impressione che, qualsiasi cosa debba succedere, succederà presto. Molto presto.»
Gray fece qualche passo, massaggiandosi il mento. Questo siero forse è un agente per la guerra biologica… un patogeno… un virus. Scosse la testa. Gli servivano altre informazioni, alla svelta. «Dobbiamo entrare in quei laboratori sotterranei e scoprire che cosa stanno combinando.»
«Mi stavano portando proprio lì», suggerì Marcia.
«Se fingo di essere una delle sue guardie, forse riusciamo a entrare.»
«Dobbiamo sbrigarci. Probabilmente si stanno già chiedendo dove sia finita.»
Gray si voltò verso Fiona, pronto a una discussione. La soluzione più sicura sarebbe stata che lei rimanesse nascosta in quella stanza. Sarebbe stato difficile giustificare la sua presenza accanto a una prigioniera e a una guardia. Avrebbe soltanto attirato l’attenzione e provocato sospetti.
«Lo so, non è un posto adatto a una cameriera», affermò Fiona, sorprendendolo un’altra volta. Spinse la guardia con un piede. «Terrò compagnia al nostro Casanova, finché non ritornate.»
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