Lisa si rivolse a Gunther: «Riesci a portare tua sorella?»
Come per dimostrarlo, la prese tra le braccia e la sollevò.
«Che state facendo?» chiese Anna, debole.
«Voi due non durerete fino a questa notte», disse Lisa. «Proveremo a raggiungere la Campana.»
«Come?»
«Non si arrovelli quella bella testolina», rispose Monk, e uscì arrancando, sostenendo Painter assieme al maggiore Brooks. «Ci pensiamo noi.»
Monk e Lisa si guardarono un’altra volta. Lei capì la sua espressione.
Forse era già troppo tardi.
ore 14.41
Gray fece strada su per le scale, pistola alla mano. Lui e Marcia si muovevano il più silenziosamente possibile. Lei teneva la mano sulla torcia, riducendo l’illuminazione al minimo indispensabile, quanto bastava per vedere dove stavano andando. Con gli ascensori fuori uso, Gray temeva di imbattersi in qualche sentinella sulle scale. Sebbene fosse travestito da guardia a sua volta e fingesse di accompagnare una ricercatrice fuori dal seminterrato, preferiva evitare incontri superflui.
Passarono al sesto livello sotterraneo, buio come il precedente.
Gray proseguì, accelerando il passo, compensando la cautela col timore che a un certo punto scattassero dei generatori secondari. Passato il pianerottolo successivo, videro una luce.
Sollevando una mano, Gray intimò a Marcia di fermarsi.
La luce non si muoveva. Era stazionaria.
Non era una guardia: probabilmente una lampada d’emergenza.
Eppure…
«Resti qui», sussurrò a Marcia. Gray proseguì, la pistola sollevata e pronta all’uso. Al pianerottolo successivo, la luce filtrava da una porta semichiusa. Avvicinandosi, sentì delle voci. Più su, le scale erano buie. Come mai c’erano luce e corrente, lì? Quel livello doveva essere servito da un circuito separato.
Le voci echeggiavano lungo il corridoio.
Erano voci familiari: Isaak e Baldric.
Non li vedeva, erano dentro la stanza. Guardò giù e vide il volto di Marcia stagliarsi nella luce che si riversava dalle scale. Le fece cenno di raggiungerlo.
Anche lei sentì le voci.
Isaak e Baldric non sembravano preoccupati del blackout. Si erano accorti che nel resto del palazzo mancava l’elettricità? Gray tenne a bada la sua curiosità. Doveva avvisare Washington.
«La Campana li ucciderà tutti», disse Baldric.
Gray si fermò. Stavano parlando di Washington? In tal caso, quali erano i loro piani? Se avesse scoperto qualcosa di più…
Fece un altro cenno a Marcia, sollevando due dita. Due minuti. Se non fosse stato di ritorno, lei sarebbe dovuta andare avanti da sola. Le aveva lasciato la sua seconda pistola. Forse vedere quella Campana poteva fare la differenza tra salvare delle vite e perderle.
Sollevò le due dita un’altra volta.
Marcia annuì. Se lui fosse stato catturato, sarebbe dipeso tutto da lei.
Gray s’infilò nella fessura, senza nemmeno toccare la porta, temendo che anche il minimo cigolio dei cardini potesse allarmare i due all’interno. Davanti a lui si estendeva un corridoio grigio illuminato da lampade al neon, come quello del piano inferiore. Ma terminava a breve distanza, con una doppia porta d’acciaio, di fronte all’ascensore buio.
Uno dei due battenti d’acciaio era aperto.
Gray si mosse rapidamente, raggiunse la porta e si appiattì contro la parete. Appoggiò un ginocchio a terra e sbirciò oltre lo stipite.
La sala aveva il soffitto basso e abbracciava quell’intero livello. Era il cuore del laboratorio. Lungo una parete era allineata una serie di computer. Sui monitor scorrevano cifre e codici. I computer probabilmente giustificavano il circuito separato, una fonte di alimentazione autonoma.
Gli occupanti della sala, concentrati com’erano sull’attività in corso, non avevano notato che era saltata la corrente nel resto del palazzo. Ma sicuramente sarebbero stati avvertiti da un momento all’altro.
Baldric e Isaak, nonno e nipote, erano chini su una stazione di lavoro. Su uno schermo piatto da trenta pollici appeso alla parete scorreva rapidamente una serie di rune, l’una dopo l’altra. Erano le cinque rune dei libri di Hugo.
«Il codice non è ancora decifrato», disse Isaak. «È saggio avviare la fase globale del programma con la Campana, mentre l’enigma rimane irrisolto?»
«Sarà risolto!» Baldric batté un pugno sul tavolo. «È soltanto questione di tempo. In più, siamo abbastanza vicini alla perfezione. Pensa a te e tua sorella, voi due vivrete a lungo. Cinquant’anni. La debilitazione non sopraggiungerà fino al vostro ultimo decennio di vita. È tempo di procedere.»
Isaak sembrava poco convinto.
Baldric si alzò, sollevò un braccio e fece un gesto ampio verso il soffitto. «Guarda che cosa hanno fatto i ritardi. Il nostro tentativo di dirottare l’attenzione internazionale sull’Himalaya ci si è rivoltato contro.»
«Perché abbiamo sottovalutato Anna Sporrenberg.»
«E la Sigma», aggiunse Baldric. «Ma non importa. Ora abbiamo i governi che ci soffiano sul collo. Con l’oro potremo comprarci soltanto un po’ di protezione. Dobbiamo agire subito. Prima Washington, poi il mondo intero. E, in quel caos, ci sarà tutto il tempo necessario per decifrare il codice. La perfezione ci apparterrà.»
«E dall’Africa sorgerà un nuovo mondo», recitò Isaak a memoria, come se fosse una preghiera che gli era stata inculcata in giovane età, cementata nel suo codice genetico.
«Puro e ripulito dalla corruzione», aggiunse Baldric, concludendo la litania. Ma le sue parole erano altrettanto prive di passione. Era come se non fosse altro che l’ennesima fase del suo programma di riproduzione, un esercizio scientifico.
Baldric si drizzò, appoggiandosi al bastone. Senza altro pubblico all’infuori del nipote, Gray notò quanto sembrava debole. Si chiese se l’accelerazione dei tempi non fosse motivata soprattutto dall’incombente morte del vecchio, più che da una vera necessità. Erano tutti quanti pedine inconsapevoli del desiderio di Baldric di attuare il suo piano? Forse aveva orchestrato l’intero scenario di proposito, consapevolmente o inconsapevolmente, per giustificare un’azione in quel momento, fintanto che era ancora in vita?
Isaak si era spostato a un’altra postazione di lavoro. «Abbiamo luce verde su tutta la linea. La Campana è accesa e pronta per l’attivazione. Ora potremo ripulire la tenuta dai fuggitivi.»
Gray s’irrigidì. Che diavolo stavano per fare?
Baldric voltò le spalle al codice runico e diresse la sua attenzione al centro della stanza. «Preparati all’attivazione.»
Gray si spostò per vedere una porzione più ampia del locale.
Al centro c’era un grosso contenitore, fatto di qualche tipo di composto ceramico o metallico. Aveva la forma di una campana rovesciata, alta quanto Gray. Dubitava di poterne abbracciare anche soltanto metà della circonferenza.
Si sentì uno scoppiettio e un’eco di motori e dal soffitto scese una camicia di metallo interna, rivestita di una serie di meccanismi. Calò nel contenitore esterno. Allo stesso tempo, si aprì la guarnizione di un vicino serbatoio giallo, dal quale un liquido metallico violaceo defluì nel cuore della Campana.
Lubrificante? Combustibile?
Gray non ne aveva idea, ma notò i numeri stampati sul lato del serbatoio: 525. Era il misterioso Xerum.
«Solleva lo schermo protettivo», ordinò Baldric. Dovette gridare per sovrastare i rumori metallici del gruppo motore. Indicò il pavimento col bastone.
Anche quel piano era pavimentato con le stesse mattonelle grigie, a eccezione di una sezione circolare di un nero opaco, con un diametro di trenta metri, attorno alla Campana. L’intera circonferenza aveva un bordo alto una trentina di centimetri, come la pista di un circo. La parte di soffitto sovrastante rispecchiava il pavimento, ma invece del bordo c’era un solco circolare.
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