La dottoressa Marcia Fairfield era appoggiata su un ginocchio, in posizione di tiro, ma, avendo il braccio destro inservibile, aveva sparato con la sinistra, fallendo il colpo mortale.
Per quanto colta di sorpresa, Ischke non poteva sbagliare mira.
Finché Gray non le si tuffò addosso.
Entrambe le pistole spararono con un fragore assordante. Nessuno dei colpi andò a segno.
Gray placcò Ischke da dietro, allontanandola da Marcia, ma la donna era forte e lottò selvaggiamente. Gray però riuscì ad afferrarle la mano con cui impugnava la pistola.
Suo fratello corse verso di loro, con un lungo pugnale nella mano.
Marcia sparò, ma non aveva una linea di tiro sgombra neanche per colpire Isaak, perché si frapponevano i corpi di Gray e Ischke, avvinghiati nella lotta.
Gray piantò il mento nella spalla sanguinante di Ischke. Forte. Lei boccheggiò, leggermente indebolita. Gray le sollevò il braccio e le strizzò le dita. La pistola sparò e lui sentì il rinculo nella propria spalla. Ma il colpo era troppo basso e finì sul pavimento, ai piedi di Isaak. Rimbalzando, però, il proiettile graffiò il polpaccio dell’uomo, facendolo incespicare.
Ischke, vedendo il gemello ferito, liberò furiosa il braccio e assestò una gomitata nelle costole a Gray. Gli mancò il fiato e sentì il dolore salirgli fino agli occhi.
Ischke si liberò. Dietro di lei, Isaak riprese a camminare regolarmente, in preda a una rabbia omicida. Gray non rimase ad aspettare. Lanciandosi in avanti, diede una spallata a Ischke da dietro. La donna, che non aveva ancora riguadagnato del tutto l’equilibrio dopo essersi liberata dalla presa di Gray, volò addosso al fratello.
Sul suo pugnale.
La lama dentellata le affondò nel petto.
Dalle labbra di Ischke proruppe un grido di sorpresa e di dolore, al quale fece eco quello di suo fratello. Le cadde la pistola di mano, mentre si aggrappava al gemello, incredula.
Gray si tuffò e prese la pistola prima che toccasse terra. Scivolando sulla schiena, prese di mira Isaak.
L’uomo si sarebbe potuto muovere — si sarebbe dovuto muovere —, ma si limitò a tenere la sorella tra le braccia, il volto una maschera d’agonia.
Gray lo centrò in testa e pose fine alla sua pena.
I due gemelli crollarono al suolo assieme, abbracciati, mentre il loro sangue si mescolava.
Marcia corse nella stanza, puntando la pistola contro Baldric. Il vecchio fissava i nipoti morti. Ma non c’era dolore nei suoi occhi. Appoggiato al bastone, mostrava soltanto un certo distacco clinico, come una costernazione per risultati di laboratorio deludenti.
La colluttazione era durata meno di venti secondi.
Gray notò che il misuratore di potenza della Campana era nella zona rossa. Forse gli rimanevano due minuti, prima dell’impulso.
Premette la canna bollente della pistola sulla guancia del vecchio. «La spenga.»
Baldric lo guardò negli occhi. «No.»
ore 15.13
Mentre l’eco delle esplosioni si disperdeva, ai piani alti del palazzo il corridoio cominciò a rianimarsi. Quando avevano cominciato a tuonare le bombe, le mostruose iene si erano appiattite sul pavimento. Alcune se l’erano svignata, ma la maggior parte era rimasta accanto alle prede.
Quegli ammassi di ferocia e muscoli si stavano rimettendo in piedi.
«Non sparate…» intimò Monk, sussurrando. «Tutti dentro quella stanza.»
Indicò una porta laterale, dove potevano resistere meglio, limitando la loro esposizione. Gunther trascinò Anna. Mosi D’Gana si allontanò dalla bestia che aveva impalato con la lancia e aiutò il maggiore Brooks a rialzarsi. Il sangue gli colava a fiotti da un profondo morso sulla coscia.
Prima che potessero fare un altro passo, qualche metro più in là si levò un ringhio selvaggio d’avvertimento.
Qualcuno sussurrò: «Monk…»
Lisa era accovacciata sulla sagoma di Painter, accasciato al suolo, accanto a un’altra porta. Una creatura imponente, di gran lunga più grande delle altre, comparve alle loro spalle, seminascosta dalla porta e riparata dietro Lisa e Painter.
Drizzò le spalle e assunse una postura decisa, sorvegliando la sua preda, poi scoprì i denti affilati come rasoi, ringhiando, il muso grondante di sangue e saliva. Negli occhi aveva un luccichio rosso vivo. Un avvertimento.
Monk intuiva che, se qualcuno avesse sollevato un’arma, la bestia si sarebbe scaraventata sulla coppia distesa a terra. Doveva correre il rischio, ma, prima ancora che si muovesse, un grido di comando risuonò nel corridoio.
«Skuld, no!»
Monk si voltò.
In fondo al corridoio comparve Fiona. Con incedere deciso, passò davanti a due creature, ignorandole mentre si lasciavano cadere su un fianco, miagolando.
In una mano portava un Taser, che emanava lampi blu. Nell’altra aveva un altro apparecchio: l’antenna era puntata sulla bestia che minacciava Lisa e Painter. «Brutto cagnaccio!»
Con grande meraviglia di Monk, la creatura fece un passo indietro e smise di ringhiare. Come in preda a un incantesimo, ciondolò per un po’ sulla soglia. Il fuoco le si spense negli occhi, mentre si lasciava cadere sul pavimento. Emise un mugghio sommesso, quasi estatico.
Monk guardava attonito in tutte le direzioni. Gli altri mostri erano caduti sotto lo stesso incantesimo.
«I Waalenberg hanno impiantato dei chip a queste bastarde», spiegò Fiona, soppesando il dispositivo che aveva in mano. «Per controllare dolore e piacere. »
L’imponente mostro sulla porta miagolò di soddisfazione.
Monk guardò perplesso la trasmittente. «Come ti sei procurata…»
Fiona lo fissò e agitò l’apparecchio, facendo cenno di seguirla.
«L’hai rubato», capì Monk.
Lei scrollò le spalle e s’incamminò lungo il corridoio. «Diciamo che mi sono imbattuta in una vecchia amica e in qualche modo mi è finito in tasca. Lei non lo stava usando.»
Ischke, pensò Monk, mentre radunava gli altri. Aiutò Lisa a sollevare Painter. Gunther portava Anna sottobraccio, mentre Mosi e Brooks si sostenevano a vicenda. Nel complesso, erano una squadra d’assalto alquanto mal messa.
Ma erano arrivati i rinforzi.
Il branco li seguiva: una dozzina di esemplari, ma altre bestie si stavano unendo a loro, attratte dall’aura di piacere che emanava dalla ragazza, una specie di pifferaia magica dei mostri.
«Non riesco a sbarazzarmene», spiegò Fiona, balbettando un po’. Monk notò che le tremavano le mani. Era terrorizzata. «Dopo che ho trovato il bottone giusto, hanno cominciato a seguirmi dalle loro gabbie. Mi sono nascosta nella stanza dove Gray mi aveva detto di aspettare, ma devono essere rimaste nei corridoi e nelle stanze qui attorno. Vi ho sentito gridare, poi le esplosioni e…»
«Va bene», la interruppe Monk. «Ma che mi dici di Gray? Dov’è?»
«È sceso in ascensore più di un’ora fa.» Indicò un punto più avanti, dove il corridoio terminava in una balconata. «Vi faccio vedere.»
Accelerò il passo. Gli altri cercarono di starle dietro, incespicando e controllando di quando in quando il branco alle loro spalle. Fiona li condusse giù per una rampa di scale, dove trovarono l’ascensore.
Zoppicando, il maggiore Brooks raggiunse la serratura elettronica e ci infilò diverse tessere magnetiche, prima di trovare quella che facesse accendere la luce verde. Si sentì un suono di motori. La cabina stava risalendo da qualche livello più basso.
Mentre aspettavano, le iene si beavano nel piacere emanato dal dispositivo di Fiona. Alcune camminavano a passi felpati nell’atrio, tra cui quella che Fiona aveva chiamato Skuld.
Nessuno parlava, tutti tenevano d’occhio i mostri.
In lontananza, attutiti dalla porta d’ingresso, arrivavano grida e colpi d’arma da fuoco. Khamisi era nel pieno della battaglia. Quanto tempo ci avrebbe messo per raggiungerli?
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