Tre giorni dopo il sacerdote se lo era trovato di fronte, accompagnato dal parroco. Dopo le presentazioni di rito, Paul li aveva lasciati soli. Era evidente che il legale era venuto per parlare con lui, anche se ne ignorava il motivo. McKean era a Saint Benedict da poco meno di un anno e aveva scambiato con lui solo dei saluti, fino a quel momento. Come se gli avesse letto nel pensiero, l’avvocato aveva percepito la sua curiosità e si era affrettato a soddisfarla.
«So che si sta chiedendo che cosa sono venuto a fare. E soprattutto che cosa sono venuto a dire. Le ruberò solo un attimo.»
Si era incamminato verso il vicariato, a passo lento.
«Ho appena rilevato una proprietà, su verso il parco. È una casa grande, con un bell’appezzamento di terreno. Sei acri, più o meno. Il tipo di abitazione che può accogliere fino a trenta persone. Vista sul mare e sulla costa.»
Padre McKean doveva aver assunto un’espressione interdetta, perché un mezzo sorriso era apparso sul viso del suo interlocutore. Aveva fatto un gesto rassicurante con la mano.
«Non tema. Non sto cercando di vendergliela.»
Lovito aveva riflettuto un attimo, incerto se ampliare il preambolo. Poi aveva deciso che non era necessario.
«Vorrei che quella casa diventasse la sede di una comunità dove ragazzi con i problemi di mio nipote trovassero un aiuto e un conforto. Non è facile, ma vorrei provarci, almeno. So che questo non mi ridarà Robin ma forse mi ridarà qualche ora di sonno senza incubi.»
Lovito aveva girato la testa a guardare altrove. Entrambi sapevano bene che erano tutte e due cose impossibili.
«In ogni caso questo è un mio problema.»
L’avvocato aveva fatto una pausa dalla quale era uscito togliendosi gli occhiali scuri. Si era piazzato davanti a lui con il piglio deciso dell’uomo che non ha paura né di dire né di fare.
Né di ammettere le proprie colpe.
«Padre McKean, io sono un uomo pratico e, qualunque sia la mia motivazione, il risultato è quello che conta e che nel tempo resta in evidenza. È mio desiderio che questa comunità non sia solo un’ipotesi ma diventi una realtà. E desidero che sia lei a occuparsene.»
«Io? Perché io?»
«Mi sono informato su di lei. E le mie informazioni hanno confermato quello che in realtà avevo intuito non appena l’ho vista in mezzo a quei ragazzi. Oltre a tutte le sue qualifiche, so che lei ha un grande ascendente e una grande capacità di comunicare con i giovani.»
Il sacerdote lo aveva guardato come se già stesse vedendo altrove.
L’avvocato, uomo che aveva imparato a conoscere gli uomini, aveva capito. Secondo la logica del suo lavoro, aveva voluto prevenire ogni possibile obiezione.
«Al denaro in massima parte provvederò io. Posso farle avere anche un contributo statale a fondo perduto.»
Gli aveva concesso un istante.
«E se le può interessare ho già parlato con delle persone all’arcidiocesi.
La cosa non avrebbe nessun tipo di obiezione. Può chiamare l’arcivescovo se non mi crede.»
Dopo un lungo colloquio con il cardinale Logan, aveva accettato e l’avventura era partita. La casa era stata ristrutturata ed era stato costituito un fondo per garantire a Joy una cifra mensile che potesse far fronte a gran parte delle spese. Grazie all’influenza dell’avvocato Lovito si era sparsa la voce e i primi ragazzi erano arrivati. E padre Michael McKean era lì ad aspettarli.
Dopo un poco era arrivato lui, trovando tutto perfetto nel suo quotidiano costante divenire. Anche se la perfezione non era di questo mondo e Joy non era un’isola abbastanza lontana per essere un’eccezione a questa regola.
La madre di Robin si era spenta come un fuoco abbandonato sulla spiaggia pochi mesi dopo l’inaugurazione, divorata dal suo stesso dolore.
L’avvocato se ne era andato l’anno successivo, stroncato da un infarto mentre lavorava quattordici ore al giorno per diventare padrone dell’intera piramide. Come spesso succede, aveva lasciato dietro di sé molto denaro e molta avidità. Alcuni lontani parenti erano emersi dalle nebbie dell’indifferenza e avevano impugnato il testamento che assegnava l’intero suo patrimonio a Joy. Le motivazioni della causa legale erano molteplici e diverse fra loro, ma avevano tutte lo stesso intento: quello di concedere agli attori della causa di mettere le mani sul denaro. E in attesa del verdetto, ogni ulteriore emolumento alla comunità era stato congelato. Al presente, la sopravvivenza di Joy era un fatto difficile da pronosticare. Ma, nonostante l’amarezza, un valido motivo per lottare.
E lo avrebbero fatto insieme, lui e Michael.
Per sempre.
Si trovò, quasi senza accorgersene, davanti alla camera del sacerdote, all’ultimo piano. Controllò che nessuno stesse salendo le scale. Con una leggera ansia, figlia naturale del proibito, John spinse la porta ed entrò.
L’aveva già fatto altre volte, provando solo una strana eccitazione senza colpa per quella violazione dell’intimità di una persona. Chiuse l’uscio alle sue spalle e mosse qualche passo incerto all’interno della stanza. I suoi occhi erano una macchina da presa che registrava per l’ennesima volta ogni dettaglio, ogni particolare. Ogni colore. Sfiorò con le dita una Bibbia appoggiata sulla scrivania, prese in mano un pullover gettato su una sedia e infine andò ad aprire l’armadio. Tutto lo scarso guardaroba di Michael era davanti ai suoi occhi, appeso alle grucce. Rimase fermo a guardare gli abiti e a respirare l’odore dell’uomo che fin dal primo istante lo aveva affascinato e attratto. Al punto da doversene allontanare, in certi momenti, per timore che quello che provava gli si leggesse in viso. Chiuse l’armadio e si avvicinò al letto. Fece scorrere le dita sulla coperta e poi si sdraiò a pancia in sotto, facendo aderire il viso al punto del cuscino dove si era posata la testa di Michael McKean. Respirò a pieni polmoni. Quando era da solo e pensava a Michael, c’erano volte in cui desiderava essere con lui.
Altre volte, come adesso, che desiderava essere lui. Ed era convinto che, rimanendo lì, prima o poi ci sarebbe riuscito…
Il cellulare iniziò a squillare da qualche parte nelle sue tasche. Scese dal letto in fretta, col fiato in gola, come se quel suono fosse il segnale che il mondo lo aveva scoperto. Trovò con mano incerta l’apparecchio e rispose.
«John, sono Michael. Sto arrivando. La messa la dice Paul al posto mio.»
Rimase turbato, come se l’uomo dall’altra parte potesse vederlo e sapere il posto in cui si trovava. Ma nonostante arrivasse filtrata dal proprio imbarazzo, la voce nel telefono non era quella che John era abituato ad associare al viso di Michael. Sembrava spezzata o angosciata o tutte e due le cose insieme.
«Mike, che c’è? Stai bene? È successo qualcosa?»
«Non ti preoccupare. Fra poco sono lì. Non è successo niente.»
«Va bene. A dopo, allora.»
John spense il telefono e rimase a osservarlo come se così potesse decifrare le parole che aveva appena sentito. Conosceva Michael McKean a sufficienza per capire quando qualcosa lo colpiva al punto da non essere più la persona che tutti erano abituati a conoscere.
E questa era una di quelle volte.
Quando gli aveva chiesto se fosse successo qualcosa, aveva risposto che non era successo niente. Ma, nonostante le sue rassicurazioni, la sua voce aveva il tono di una persona a cui è successo di tutto. Lasciò la stanza che era ritornata di colpo un luogo qualunque e chiuse la porta. Per tutto il tempo che impiegò a tornare di sotto, non riuscì a non sentirsi un uomo inutile e solo.
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