Giorgio Faletti - Io sono Dio

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Non c’è morbosità apparente dietro le azioni del serial killer che tiene in scacco la città di New York. Non sceglie le vittime seguendo complicati percorsi mentali. Non le guarda negli occhi a una a una mentre muoiono, anche perché non avrebbe abbastanza occhi per farlo. Una giovane detective che nasconde i propri drammi personali dietro a una solida immagine e un fotoreporter con un passato discutibile da farsi perdonare sono l’unica speranza di poter fermare uno psicopatico che nemmeno rivendica le proprie azioni. Un uomo che sta compiendo una vendetta terribile per un dolore che affonda le radici in una delle più grandi tragedie americane. Un uomo che dice di essere dio.

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«Che senso hanno per te tutte quelle morti, tutto quel dolore?»

«Giustizia. E la giustizia non dovrebbe mai creare dolore. Ne è stata dispensata tanta, in passato, ed è diventata oggetto di culto. Perché mai questa volta dovrebbe essere diverso?»

«Che cosa intendi per giustizia?»

«Il Mar Rosso che si apre e si chiude. Sodoma. Gomorra. Ho molti altri esempi, se vuole.»

La voce tacque per un attimo. Dalla sua parte del confessionale, che in quel momento gli sembrava il luogo più freddo del mondo, padre McKean avrebbe voluto urlare che quelle erano solo favole della Bibbia, che non era giusto prenderle alla lettera, che…

Si trattenne e perse l’attimo per controbattere. Il suo interlocutore lo intese come un invito a continuare.

«Gli uomini hanno avuto due vangeli, uno per la loro anima e uno per le loro vite. Uno religioso e uno laico. Tutti e due hanno insegnato agli uomini più o meno le stesse cose. La fratellanza, la giustizia, l’uguaglianza.

Ci sono state persone che li hanno diffusi nel mondo e nel tempo.»

La voce pareva arrivare da un posto molto più lontano della minima distanza che li separava. Adesso era diventata un soffio ed era incrinata dalla delusione. Quella che genera rabbia e non lacrime.

«Ma quasi nessuno ha avuto la forza di vivere secondo gli insegnamenti che predicava.»

«Tutti gli uomini sono imperfetti. Fa parte della natura. Come puoi non provare compassione? Non sei pentito di quello che hai fatto?»

«No. Perché lo farò ancora. E lei sarà il primo a saperlo.»

Padre McKean nascose il viso fra le mani. Quello che gli stava capitando era troppo per un uomo. Se le parole di quell’individuo corrispondevano alla verità, era una prova superiore alle sue forze. Alle forze di chiunque vestisse un abito sacerdotale. La voce lo incalzò. Non feroce, ma suadente.

Piena di comprensione.

«Nelle sue parole, durante la messa. C’era dolore. C’era partecipazione.

Ma non c’era vera Fede.»

Tentò una vana ribellione, non a quelle parole, ma alla sua paura.

«Come puoi dire questo?»

L’uomo continuò, come non avesse sentito la domanda.

«Io l’aiuterò a ritrovarla, Michael McKean. Io posso.»

Ci fu una nuova pausa. Poi le tre parole che davano inizio all’eternità.

«Io sono Dio.»

CAPITOLO 15

Per certi versi, Joy era il regno del quasi.

Tutto era quasi funzionante, quasi lucido, quasi moderno. Il tetto era quasi a posto e la tinta all’esterno quasi non aveva bisogno di ritocchi. I pochi dipendenti fissi quasi regolarmente ricevevano uno stipendio, i collaboratori esterni quasi sempre ci rinunciavano. Tutto era di seconda mano e in quella fiera del frusto qualsiasi cosa nuova spiccava come la luce di un faro in lontananza. Ma era anche il posto dove ogni giorno, con fatica, si costruiva un pezzo nuovo della zattera.

Mentre guidava la Batmobile lungo la strada sterrata in direzione della casa, John Kortighan sapeva che nell’auto con lui c’era un gruppo di ragazzi per i quali la vita era stata una pessima consigliera. Poco per volta aveva divorato la loro fiducia e si erano trovati soli così a lungo da confondere la solitudine con l’abitudine. Ognuno, con quell’originalità tipica del fato avverso, aveva trovato un personale e distruttivo modo di perdersi, con l’indifferenza del mondo a coprire le sue tracce.

Ora in quel posto potevano insieme provare a ritrovarsi, capendo che per logica e non per caso avevano diritto a un’alternativa. E lui si sentiva fortunato e gratificato per essere stato scelto a fare parte di quell’impresa.

Per quanto dura e disperata fosse.

John superò il cancello e poco dopo il furgone attraversava il cortile per andarsi a fermare sotto la tettoia del parcheggio. I ragazzi scesero e si diressero verso l’ingresso posteriore della cucina, discutendo e scherzando fra loro. La domenica era per tutti un giorno particolare, un giorno senza fantasmi.

Jerry Romero espresse il parere di tutti.

«Ragazzi che fame.»

Gli fece eco con un’alzata di spalle Hendymion Lee, un ragazzo dalle evidenti ascendenze orientali.

«Sai che novità? Tu hai sempre fame. Sono certo che se tu fossi il Papa, la comunione arriverebbero a darla con delle fette di salame, invece che delle ostie.»

Jerry si avvicinò a Hendymion e con il braccio gli strinse la testa in una morsa da wrestler.

«Se dipendesse da te, muso giallo, la farebbero con le bacchette.»

Ridevano tutti e due.

Shalimar Bennett, una ragazza di colore con dei buffi capelli sparati e il corpo di una gazzella, si intromise nello scherzo.

«Jerry che diventa Papa? Non potrebbe nemmeno diventare prete. Non regge il vino. Alla sua prima messa si sbronzerebbe e lo caccerebbero.»

John sorrise, mentre si attardava in mezzo al cortile e li vedeva sparire all’interno della casa. Non si faceva ingannare da quell’atmosfera rilassata.

Sapeva quanto quell’equilibrio fosse fragile, come in ognuno di loro il ricordo e la tentazione fossero tutt’uno, in attesa di trasformarsi in un ricordo e basta. Tuttavia era bello quello a cui assisteva ogni giorno, al tentativo di rinascita e alla costruzione di un possibile futuro. Con la certezza da un miliardo di dollari che fosse anche merito suo e con la presunzione da pochi centesimi di continuare a farlo finché avesse potuto.

Solo, in piedi in mezzo al cortile, la sua ombra nascosta dal sole a picco nei contorni del suo corpo, John Kortighan alzò gli occhi nel cielo azzurro a osservare la casa.

La sede di Joy era posta ai confini di quella parte del Pelham Bay Park attaccata al Bronx, in una proprietà di circa sei acri affacciata sul tratto di mare che come un dito si insinuava verso nord a frugare la terra. La costruzione principale era un edificio di due piani con la forma di una C squadrata, costruita secondo i dettami architettonici che caratterizzano le case del New England, con l’uso preponderante del legno e dei mattoni scuri. Il lato libero era aperto verso la costa verde che oltre il canale, per contrasto, scendeva come una mano verso sud a respingere il mare.

Qui c’era l’ingresso, affacciato sul giardino, attraverso il quale si accedeva alla casa attraverso una veranda a forma di un mezzo ottagono, illuminata dalle grandi porte a vetri. Al pianterreno c’erano la cucina con dispensa, la sala da pranzo, una piccola infermeria, una biblioteca e una sala con giochi e Tv. Su uno dei lati corti, due camere da letto con un bagno in comune per le persone dello staff che come lui risiedevano in pianta stabile a Joy. Al secondo piano le camere da letto dei ragazzi e nell’abbaino la camera di padre McKean.

Il lato lungo era affacciato sul cortile, dove era stato realizzato un edificio secondario, sede di un laboratorio dove trovava spazio chi, invece dello studio, optava per delle attività di carattere manuale. Alle spalle del laboratorio l’orto, che arrivava fino al confine a ovest della proprietà, chiuso da un frutteto. In un primo tempo era stato portato avanti come esperimento, con l’idea di fornire una distrazione che avvicinasse gli ospiti di Joy a qualcosa di fisico, di paziente e di premiante nello stesso tempo.

Poco per volta, per la sorpresa di tutti, la produzione di frutta e verdura era aumentata fino a rendere la comunità quasi autosufficiente. Addirittura, in occasione di raccolti particolarmente abbondanti, una rappresentanza dei ragazzi scendeva al mercato di Union Square a vendere i propri prodotti.

La signora Carraro si affacciò sulla porta della cucina, asciugandosi la mano nel grembiule.

«Cos’è questa storia che mangiamo senza don Michael?»

«È stato trattenuto. Deve dire la messa delle dodici e mezza.»

«Bene, non morirà nessuno se aspettiamo un poco. In questo posto la domenica non si pranza senza quell’uomo.»

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