Fece una pausa e chinò di nuovo gli occhi sul leggio davanti a lui.
Quando rialzò la testa lasciò senza vergogna che ogni persona presente vedesse le lacrime che gli scorrevano sulle guance.
«Tutti voi sapete quello che è successo nella nostra città ieri sera. Le immagini terribili che ognuno di noi ha negli occhi non sono nuove, come non sono nuovi lo sgomento, il dolore, la pietà quando ci si trova di fronte a prove come quella che siamo stati chiamati a superare.»
Lasciò ai presenti un istante per capire, per ricordare.
«Che tutti siamo stati chiamati a superare, fino all’ultimo uomo, perché il dolore che colpisce uno solo di noi colpisce tutto il genere umano. Essendo fatti di carne, con le nostre debolezze e le nostre fragilità, quando arriva un fatto luttuoso e inatteso, un fatto incomprensibile che coinvolge la nostra esistenza e supera la nostra tolleranza, il primo istinto è quello di chiedersi perché Dio ci ha abbandonato. Di chiedersi perché, se siamo suoi figli, permette che accadano queste cose. Lo fece anche Gesù, quando sulla croce aveva sentito la sua parte umana esigere il tributo di dolore che la volontà del Padre gli aveva richiesto. E badate bene che in quel momento Gesù non aveva Fede…»
Fece una pausa. C’era in chiesa un silenzio nuovo, quella domenica.
«In quel momento Gesù era la Fede.»
Il sacerdote aveva sottolineato in modo particolare quella frase, prima di proseguire.
«Se è successo all’uomo che è venuto al mondo con la volontà di portarci la redenzione, è comprensibile che possa accadere anche a noi, che di quella volontà e di quel sacrificio siamo i beneficiari e della quale rendiamo grazie ogni volta che ci accostiamo a un altare.»
Una nuova pausa e la sua voce ritornò per tutti quella di un confidente e non di un predicatore.
«Vedete, un amico si accetta per quello che è. A volte dobbiamo farlo anche quando non capiamo, perché la fiducia in certi casi deve andare oltre la comprensione. Se agiamo in questo modo per un amico, che è e resta un essere umano, a maggior ragione lo dovremo fare per Dio, che è nostro padre e che è nello stesso tempo il nostro migliore amico. Quando non capiamo, dobbiamo offrire in cambio quella Fede, che ci viene chiesta anche se siamo poveri, afflitti, se abbiamo fame e sete, se siamo perseguitati, insultati, accusati ingiustamente. Perché Gesù ci ha insegnato che viene dalla nostra bontà, dalla purezza del nostro cuore, dalla nostra misericordia, dal nostro desiderio di pace. E noi, ricordando le parole di Gesù sulla montagna, avremo quella Fede. Perche ci ha promesso che se quello che viviamo è un mondo imperfetto, se quello in cui invecchiamo è un tempo imperfetto, quello che un giorno avremo in cambio sarà un posto meraviglioso, tutto nostro. E non ci sarà tempo, perché sarà per sempre.»
Con un sincronismo ammirevole, alla fine del suo sermone il suono evocativo dell’organo a canne si diffuse per la chiesa, sostenendo il coro che intonava un canto che parlava del mondo e del suo bisogno d’amore.
Ogni volta che padre McKean ascoltava le voci affiatate dei cantori in quella fusione perfetta di armonia, non poteva fare a meno di sentire un brivido percorrergli le braccia. Pensò che la musica fosse uno dei più grandi doni fatti agli uomini, uno dei pochi che riuscisse a coinvolgere lo spirito al punto tale da ripercuotersi sul corpo. Si allontanò dal leggio e raggiunse il suo posto vicino ai chierichetti dall’altra parte dell’altare.
Rimase in piedi, seguendo il rituale della messa e nello stesso tempo continuando a osservare i fedeli che affollavano la chiesa.
I suoi ragazzi, a parte quelli che erano di turno per i lavori a Joy, erano seduti nei primi banchi. Come per tutto il resto, aveva lasciato libera scelta riguardo alla preghiera o la presenza alle funzioni. Joy era un posto di conversione umana, prima che di conversione religiosa. Il fatto che la comunità facesse capo a un sacerdote cattolico, per sua decisione doveva essere ininfluente ai fini delle scelte dei ragazzi. Ma era conscio del fatto che quasi tutti venivano in chiesa perché c’era lui e perché capivano che lui aveva piacere di saperli partecipi a un momento di aggregazione collettiva.
E questo, per il momento, gli bastava.
La chiesa di Saint Benedict era al centro di un quartiere residenziale del Bronx chiamato Country Club, popolato per la massima parte da gente di origine italiana e ispanica, le cui caratteristiche fisiche erano facilmente riconoscibili nella maggior parte dei presenti. Nell’ingresso della chiesa, attaccate al muro intorno alla statua della Santa Vergine, c’erano delle targhe in ottone poste in memoria di defunti della parrocchia. In prevalenza i cognomi erano italiani o spagnoli. Infatti, nell’arco della giornata, per favorire le due etnie venivano celebrate messe in entrambe le lingue.
Al momento della comunione, padre McKean si avvicinò all’altare e ricevette l’ostia direttamente dalle mani del parroco, che non mancò di rivolgergli uno sguardo di compiacimento per il suo sermone. Fra la magia della musica che sottolineava lo scambio di un segno di pace e l’odore dell’incenso che si spargeva nell’aria, la voce del reverendo Paul Smith condusse in preghiera la messa fino alla fine.
Poco dopo, come consuetudine, i sacerdoti si trovarono all’uscita della chiesa per salutare i fedeli e scambiare qualche impressione, per sentire le loro storie o discutere le nuove iniziative della parrocchia. Durante i mesi invernali questo incontro avveniva nell’atrio ma in quella bella giornata di fine aprile i portoni erano spalancati e si ritrovarono tutti sparsi sui gradini all’esterno.
Padre McKean ricevette i complimenti per il suo commento al Vangelo ed Ellen Carraro, la sorella più anziana della loro cuoca, non mancò di presentarsi con gli occhi ancora lucidi per esprimergli la sua commozione e ricordargli la sua artrite. Roger Brodie, un falegname in pensione che a volte prestava gratuitamente la sua opera alla parrocchia, gli promise che il giorno dopo sarebbe stato a Joy per una riparazione al tetto. A poco a poco i gruppi si sciolsero e tutti ritornarono verso le loro macchine e le loro case. Molti erano venuti a piedi, vista la vicinanza delle loro abitazioni.
Il parroco e padre McKean si ritrovarono da soli.
«Sei stato emozionante oggi. Sei una grande persona, Michael. Per quello che dici e per come lo dici. Per quello che fai e come lo fai.»
«Grazie, Paul.»
Il reverendo Paul Smith girò la testa e rivolse uno sguardo a John Kortighan e ai ragazzi che erano sul marciapiede in fondo alla scalinata e stavano aspettando per tornare a Joy. Quando girò la testa verso di lui, McKean gli lesse negli occhi l’imbarazzo.
«Ti devo chiedere un sacrificio, se la cosa non ti è di troppo peso.»
«Dimmi.»
«Angelo non sta bene. So che la domenica è un giorno importante per te e i tuoi ragazzi ma non te la sentiresti di sostituirlo per la messa delle dodici e trenta?»
«Non è un problema.»
I ragazzi avrebbero sentito la sua mancanza ma in quella giornata così particolare sapeva di non essere dell’umore giusto per condividere la compagnia della tavola. Quel senso di oppressione non lo aveva abbandonato del tutto e riteneva fosse meglio non esserci piuttosto che essere un corpo d’umore estraneo.
Scese gli scalini e raggiunse i ragazzi in attesa.
«Mi spiace, ma temo che dovrete pranzare senza di me. Ho un impegno qui in parrocchia. Vi raggiungerò dopo. Dite alla signora Carraro che mi tenga qualcosa in caldo, se non avrete spazzolato tutto.»
Lesse la delusione sul viso di alcuni di loro. Jerry Romero, il più anziano del gruppo, quello che da più tempo era ospite di Joy e che per molti suoi compagni era un punto di riferimento, si fece portavoce del malcontento comune.
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