Giorgio Faletti - Io sono Dio

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Non c’è morbosità apparente dietro le azioni del serial killer che tiene in scacco la città di New York. Non sceglie le vittime seguendo complicati percorsi mentali. Non le guarda negli occhi a una a una mentre muoiono, anche perché non avrebbe abbastanza occhi per farlo. Una giovane detective che nasconde i propri drammi personali dietro a una solida immagine e un fotoreporter con un passato discutibile da farsi perdonare sono l’unica speranza di poter fermare uno psicopatico che nemmeno rivendica le proprie azioni. Un uomo che sta compiendo una vendetta terribile per un dolore che affonda le radici in una delle più grandi tragedie americane. Un uomo che dice di essere dio.

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«Mi sa che per farti perdonare questa sera dovrai concedere una seduta di Fastflyx.»

Fastflyx era un servizio di noleggio postale di film in DVD che Joy aveva avuto gratuitamente dalla compagnia grazie alle arti diplomatiche di John. In quel posto di fatica e di rinunce che era la comunità, anche un film visto insieme risultava essere un piccolo lusso.

McKean puntò il dito contro il ragazzo.

«Questo è un bieco ricatto, Jerry. E lo dico a te e ai tuoi complici.

Tuttavia mi sento costretto a cedere sotto il peso della volontà comune.

Inoltre credo che proprio ieri sia arrivata una sorpresa. Anzi, una doppia sorpresa.»

Fece un gesto con le mani per prevenire le richieste dei ragazzi.

«Ne parliamo dopo. Adesso andate che gli altri vi stanno aspettando.»

Discutendo fra loro i ragazzi si mossero verso la Batmobile, il soprannome che avevano dato al pulmino. McKean li guardò mentre si allontanavano. Erano una massa colorata di vestiti e un groviglio di problemi troppo grandi per la loro giovane età. Alcuni erano dei soggetti non facili con cui relazionarsi. Ma erano la sua famiglia e per un tratto della loro vita Joy sarebbe stata la loro.

John si trattenne un istante prima di raggiungerli.

«Vuoi che torni a prenderti?»

«Non ti preoccupare, mi farò dare un passaggio da qualcuno.»

«Okay. A dopo, allora.»

Rimase in strada finché il mezzo non si avviò e sparì svoltando l’angolo.

Poi salì i gradini e rientrò in chiesa, che in quel momento era deserta. Solo una coppia di donne si era trattenuta in un banco vicino all’altare, per un prosieguo personale di quel contatto collettivo con Dio che era stata la messa.

Sul lato destro, subito dopo l’ingresso, c’era il confessionale. Era in legno chiaro e lucido, con i due ingressi coperti da tende di velluto bordeaux. Una luce rossa, accesa o spenta, indicava la presenza del sacerdote all’interno e una più piccola, di lato, se era libero o meno. La parte riservata al confessore era uno spazio angusto con l’unico conforto di una sedia di vimini, sotto una applique schermata che dall’alto diffondeva una luce tenue sulla tappezzeria azzurra. La parte del penitente era molto più spartana, con l’inginocchiatoio e la griglia che permetteva una riservatezza di cui molti necessitavano in un momento così intimo.

Qui padre McKean si rifugiava a volte, senza accendere la luce né segnalare in alcun modo la sua presenza all’interno. Rimaneva per qualche tempo a riflettere sulle necessità economiche della sua opera, a raccogliere le idee quando erano uccelli migratori, a concentrarsi sul caso di un ragazzo particolarmente difficile. Per arrivare alla conclusione che tutti lo erano e che tutti meritavano la stessa attenzione, che con il denaro che avevano a disposizione compivano degli autentici miracoli e che avrebbero continuato a compierli. E che le idee, anche le più difficili da seguire, prima o poi mostravano il posto dove avevano fatto il nido.

Quel giorno, come tanti altri, scostò la tenda, entrò e si sedette, senza accendere la piccola luce sopra la sua testa. La sedia era vecchia ma comoda e la penombra un alleato. Il sacerdote stese le gambe e appoggiò la testa contro il muro. Le immagini che erano uscite dalla televisione a sconvolgere gli occhi e le coscienze avevano un prezzo per chiunque, anche per chi non era stato toccato direttamente dalla tragedia. Per il solo fatto di esistere. C’erano giorni come quello in cui la sua vita saliva su una bilancia e la difficoltà maggiore era capire. Nonostante quello che aveva detto durante la messa, non solo di capire gli uomini ma anche la volontà del Dio che serviva. Di tanto in tanto si chiedeva come sarebbe stata la sua esistenza se non avesse seguito il richiamo di quella che il mondo ecclesiastico definiva vocazione. Avere una moglie, dei figli, un lavoro, una vita normale. Aveva trentotto anni e tanti anni prima, al momento della scelta, gli avevano detto a cosa rinunciava. Tuttavia era un avvertimento e non un’esperienza. Ora a volte sentiva un vuoto a cui non sapeva dare un nome, ma nello stesso tempo era certo che un vuoto simile facesse parte del vissuto di ogni essere umano che camminava sulla terra. Lui aveva la sua rivalsa giornaliera sul nulla vivendo ogni giorno a contatto con i suoi ragazzi e aiutandoli a non farne mai più parte. In definitiva, si disse che la cosa più difficile non era capire, ma dopo aver capito continuare, nonostante la fatica, a percorrere la strada. In quel momento, era la cosa più vicina alla Fede che potesse offrire a se stesso e agli altri.

E a Dio.

«Eccomi, padre McKean.»

La voce entrò all’improvviso e senza preavviso. Arrivò dalla penombra e da un mondo senza pace che per qualche istante era stato dimenticato. Si appoggiò al bracciolo e si sporse verso la grata. Dall’altra parte, nella luce incerta, una figura appena intravista e una spalla coperta da un tessuto verde.

«Buona giornata. Cosa posso fare per te?»

«Nulla. Credo che lei mi stesse aspettando.»

Quelle parole lo misero a disagio. La voce era cupa ma tranquilla, come di qualcuno che non ha nessuna paura dell’abisso al quale è affacciato.

«Ci conosciamo?»

«Molto bene. O per nulla, se preferisce.»

Il disagio divenne un leggero senso di angoscia. Il sacerdote trovò rifugio nelle uniche parole che potevano offrirglielo.

«Sei entrato in un confessionale. Devo pensare che vuoi confessarti?»

«Sì.»

Il monosillabo era arrivato deciso ma noncurante.

«E allora dimmi i tuoi peccati.»

«Io non ne ho. Non cerco assoluzione perché non ne ho bisogno. E in ogni caso so che non me la darebbe.»

Dalla sua parte, il sacerdote rimase interdetto di fronte a quella dichiarazione di inutilità. Dal tono della voce aveva percepito che non veniva da una semplice presunzione ma da qualcosa di molto più ampio e devastante. In un altro momento il reverendo Michael McKean forse avrebbe reagito diversamente. Ora aveva ancora gli occhi e le orecchie pieni di immagini e suoni di morte e il senso di disfatta che prende dopo una notte quasi insonne.

«Se questo è il tuo pensiero, allora cosa posso fare per te?»

«Nulla. Volevo solo lasciare a lei un messaggio.»

«Che messaggio?»

Un attimo di silenzio. Ma non era esitazione. Era solo il tempo di permettere all’altro di sgombrare la mente da ogni altro pensiero che non fosse quello.

«Sono stato io.»

«A fare cosa?»

«Sono stato io a fare esplodere il palazzo nel Lower East Side.»

Padre McKean rimase senza fiato.

Le immagini si sovrapposero. Polvere, ambulanze, le urla dei feriti, il colore del sangue, i cadaveri trasportati in un telo, il pianto dei sopravvissuti, lo strazio di chi aveva perso tutto. Le dichiarazioni alla televisione. E un’intera città, un intero Paese di nuovo percorsi dalla paura che era, come aveva detto qualcuno, l’unico vero cavaliere dell’apocalisse.

E l’ombra indistinta che stava dall’altra parte di quella sottile barriera asseriva di essere la responsabile di tutto questo.

La ragione gli impose di prendere tempo e di riflettere con lucidità. Nel mondo esistevano persone malate che amavano addossarsi la colpa di omicidi e disastri dei quali non c’era la minima possibilità che fossero responsabili.

«Lo so che cosa sta pensando.»

«Cosa?»

«Che sono un mitomane, che non c’è nulla che provi che quello che sto dicendo sia vero.»

Michael McKean, uomo di ragione e sacerdote per credo, in quel momento era solo un animale con tutti i sensi tesi. E ogni frammento del suo istinto ancestrale gli urlava che l’uomo dall’altra parte del confessionale diceva la verità.

Ebbe bisogno di respirare qualche istante, prima di proseguire. L’altro capì ed ebbe rispetto del suo silenzio. Quando ritrovò la voce, il sacerdote si appellò a una pietà che sapeva già non avrebbe trovato.

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