In effetti, perché no? Mi sarei potuto allontanare per poche, esaltanti ore… portandomi dietro il cellulare, ovvio, non ero un irresponsabile, io. Ma perché non approfittare di questa notte di luna senza Doakes per scivolare di soppiatto nella brezza oscura? Il pensiero di quegli stivali rossi mi trascinava come una marea primaverile. Reiker abitava a pochi chilometri di lì. Sarei potuto arrivarci in dieci minuti, introdurmi in casa sua, trovare la prova di cui avevo bisogno e poi… Credo che avrei dovuto improvvisare, ma la voce sotterranea aveva un sacco di idee per questa notte. Di certo sapremo escogitare qualcosa per ottenere la tanto agognata liberazione dei sensi. Oh, fallo, Dexter , ululava la voce, e mentre mi fermavo in punta di piedi ad ascoltare mi dissi di nuovo: Perché no? senza trovare nessuna risposta ragionevole…
… la porta della casa di Rita si spalancò e Astor guardò fuori. «È lui!» esclamò. «È qui!»
E così fu. Rimasi qui, non lì. A stravaccarmi sul divano invece di danzare nell’oscurità. Con indosso la devastante maschera di Dexter il Pantofolaio al posto di quella argentata e smagliante del Vendicatore Oscuro.
«Entra, su», mi invitò Rita accogliendomi sulla porta con un sorriso così radioso da farmi digrignare i denti. Intanto la folla dentro di me rumoreggiava delusa e lentamente usciva dallo stadio: fine della partita. D’altronde, che cosa potevamo farci? Niente, ovvio, e così abbiamo fatto, seguendo docilmente in casa l’allegra processione di Rita, Astor e del taciturno Cody. Trattenni a stento le lacrime. Sul serio: non stavano tirando un po’ troppo la corda? Non stavano approfittando oltre il dovuto della fondamentale bontà d’animo di Dexter?
La cena fu noiosamente gradevole, quasi a dimostrare che mi ero venduto per una vita felice e qualche braciola di maiale. Stetti al gioco, anche se il mio cuore era da un’altra parte. Tagliai la carne a pezzettini, sognando che fosse qualcos’altro. Pensai agli antropofagi del Pacifico meridionale, che chiamano l’uomo «grande porco». Avevano proprio ragione, dato che era quell’altro porco che da tempo desideravo fare a fettine e non questa roba nel mio piatto, ricoperta di una tiepida crema ai funghi. Comunque sorrisi, accoltellai i fagiolini e feci tutto come si doveva, fino al caffè. Il maiale mi mise a dura prova, comunque sopravvissi.
Dopo cena, io e Rita prendemmo il caffè, mentre i ragazzi mangiavano un semifreddo allo yogurt. Pur essendo una nota bevanda stimolante, non mi fece venire in mente nessuna idea per svignarmela… neanche un modo per allontanarmi qualche ora da quell’eterna beatitudine che mi aveva seguito furtiva per poi afferrarmi per il collo. Mi sentivo come se i miei contorni si dissolvessero e mi trasformassi nel mio travestimento, come se alla fine la mia maschera di gomma da uomo felice si fondesse con i miei lineamenti e io diventassi davvero ciò che fingevo di essere. Avrei portato i bambini a calcio, regalato fiori quando bevevo troppe birre, chiacchierato di detersivi e di promozioni anziché privare il cattivo della carne superflua. Erano pensieri davvero deprimenti e credo che avrebbero contribuito ad aumentare la mia infelicità, se proprio in quel momento non fosse suonato il campanello.
«Dev’essere Deborah», dissi. Credo che nella mia voce si leggesse chiaro il mio desiderio di salvezza. Mi alzai e andai alla porta, la aprii e vidi una bella donna robusta con lunghi capelli biondi.
«Oh», disse. «Tu devi essere… ehm… c’è Rita?»
Be’, se io dovevo essere «ehm», non me ne ero accorto fino ad allora. Chiamai Rita e lei arrivò, sorridente. «Kathy!» esclamò. «Che piacere. Come stanno i ragazzi? Kathy abita nella casa accanto», mi spiegò.
«Aha», dissi. Conoscevo molti bambini nella zona, ma non i loro genitori. Anche se questa doveva essere la mamma dello sgradevole bambino undicenne della porta accanto e del fratello più grande, che non si vedeva spesso. Questo significava che Kathy non era venuta a mettere una bomba nell’automobile o a consegnarci una fialetta di antrace, così sorrisi e tornai a tavola con Cody e Astor.
«Jason è in campeggio», spiegò. «E Nick ciondola per casa aspettando che gli crescano i baffi.»
«Mio Dio», esclamò Rita.
«Nicky è un viscidone», sussurrò Astor. «Voleva che mi abbassassi le mutandine per guardare.» Cody aveva mescolato il suo semifreddo trasformandolo in una specie di pudding.
«Senti, Rita, mi spiace disturbarti all’ora di cena», si scusò Kathy.
«Abbiamo appena finito. Vuoi un caffè?»
«Oh, no, non posso berne più di uno al giorno», rifiutò Kathy. «Ordini del medico. Piuttosto volevo dirti del nostro cane… per caso hai visto Rascal? Sono due giorni che non si fa vivo e Nicky è così preoccupato.»
«Io non l’ho visto. Aspetta… chiedo ai ragazzi», rispose Rita. Ma non appena si voltò verso di loro, Cody mi guardò, si alzò senza dire nulla e uscì dalla stanza. Anche Astor si alzò.
«Noi non l’abbiamo visto», rispose. «È dalla scorsa settimana, quando ha rovesciato la pattumiera.» E seguì Cody fuori dalla stanza. Lasciarono i dolci sul tavolo, mangiati a metà.
Rita li guardò allontanarsi a bocca aperta, poi si rivolse alla vicina. «Mi spiace, Kathy. Nessuno l’ha visto. Ma ci staremo attenti, okay? Sono certa che salterà fuori, puoi dire a Nick di stare tranquillo.» Scambiò ancora due parole con la vicina, mentre io osservavo il semifreddo, chiedendomi il senso della scena a cui avevo appena assistito.
Rita chiuse la porta e tornò al caffè ormai quasi freddo. «Kathy è una brava persona», disse. «Ma i suoi figli sono delle pesti. Sai, è divorziata, il suo ex ha comprato una casa a Islamorada, dev’essere un avvocato. Però abita qui vicino e Kathy deve badare ai ragazzini e a volte mi sembra un po’ insicura. Fa l’infermiera da un podologo.»
«E il suo numero di scarpe?» domandai.
«Sto parlando troppo?» fece Rita. «Mi dispiace. È che ero solo un po’ in ansia… sono sicura che…» Scosse il capo e mi guardò. «Dexter. Senti…»
Non scoprii che cosa dovevo sentire perché squillò il cellulare. «Scusami», la interruppi e mi diressi al tavolo dell’ingresso dove l’avevo posato.
«Ha appena chiamato Doakes», mi comunicò Deborah, senza nemmeno salutare. «Il tipo con cui doveva parlare ha tagliato la corda. Doakes lo sta seguendo per capire dove va, ma ha bisogno della nostra collaborazione.»
«Presto, Watson, è tempo d’andare», dichiarai, ma Deborah non era in vena di battute letterarie.
«Passo a prenderti tra cinque minuti», disse.
Mi congedai da Rita accampando una scusa e uscii ad aspettare. Deborah fu di parola e nel giro di cinque minuti e mezzo eravamo sulla Dixie Highway diretti a nord.
«Sono fuori da Miami Beach», mi spiegò. «Doakes mi ha detto di aver avvicinato quel tipo, Oscar, e di avergli spiegato la faccenda. Lui gli ha risposto ’fammi pensare’, Doakes ha detto ’va bene, ti richiamo’. Però era giù in strada che teneva d’occhio la casa: dieci minuti dopo il tipo saltava in macchina con una ventiquattrore.»
«Perché dovrebbe scappare proprio adesso?»
«Tu non lo faresti se sapessi di avere Danco alle calcagna?»
«No», risposi, pensando con gioia a che cosa avrei potuto fare se mi fossi trovato tête-a-tête col dottore. «Gli preparerei una trappola e aspetterei che si avvicinasse.» E poi… pensai, ma non lo dissi forte a Deborah.
«Si vede che Oscar non è come te», commentò lei.
«Pochi lo sono», osservai. «Dov’è diretto?»
Deborah aggrottò le sopracciglia e scosse il capo. «Per ora sta solo girando nei dintorni e Doakes gli sta dietro.»
«Dove credi che ci porterà?» chiesi.
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