«Ha calato le braghe.»
Il detective si voltò a guardare il corpo di Burdett. «Un federale», brontolò. Poi osservò la testa e gli arti tagliati e buttò giù un altro sorso. Scosse il capo. «Questi ragazzi li mettono così sotto pressione che poi finiscono a pezzi.» Guardò fuori dalla finestra ed estrasse il cellulare.
Mentre Angel Nessuna Parentela stava rimettendo il suo kit nel furgone, Deborah arrivò sul posto, tre minuti prima del capitano Matthews. Sono ben lungi dal criticarlo: a differenza di Matthews, Deborah non si era spruzzata qualche goccia di Aramis per farsi bella e non aveva perso tempo aggiustandosi il nodo alla cravatta. Poco dopo giunse un’auto che ormai conoscevo meglio delle mie tasche: una Ford Taurus marrone, con il sergente Doakes al volante.
«Ehilà… ecco la banda al completo!» esclamai con allegria. L’agente Snyder mi guardò stranito, neanche avessi proposto di spogliarci e ballare nudi, mentre Coulter infilò l’indice nella sua bottiglia e andò incontro al capitano.
Deborah, che aveva visto la scena dal di fuori, aveva ordinato al collega di Snyder di spostare un po’ più indietro il nastro giallo. Quando alla fine venne verso di me per parlarmi, ero giunto a una sorprendente conclusione. Era iniziato come un buffo capriccio, adesso però era diventato una certezza. Passai davanti a una di quelle finestre, secondo Coulter costosissime, e guardai fuori, appoggiato al muro, rimuginando sull’idea. Per qualche motivo, il Passeggero Oscuro trovò la cosa molto divertente e mi fece da inquietante contrappunto. Alla fine capii che era l’unica conclusione possibile e mi sentii come se stessi per vendere segreti nucleari ai talebani. «Deborah», mormorai, mentre lei veniva verso di me, «stavolta non arriveranno i rinforzi.»
«Sul serio, Sherlock?» disse.
«Siamo soltanto noi, e non bastiamo.»
Lei si tolse un ricciolo dalla fronte e sospirò: «Che cosa ti avevo detto?»
«Lasciami finire, sorellina. Siamo in pochi e ci serve aiuto. Ci serve qualcuno che sappia…»
«Cristo, Dexter! Finora non abbiamo fatto altro che dargli in pasto della gente!»
«Questo significa che l’unico candidato rimasto attualmente è il sergente Doakes.»
Non sarebbe bello dire che le cascò la mascella. Deborah rimase a fissarmi a bocca aperta, poi si voltò verso Doakes. L’uomo era davanti al corpo di Burdett e parlava al capitano Matthews.
«Il sergente Doakes», ripetei. «Già sergente Doakes delle Special Forces. In servizio distaccato in Salvador.»
Lei guardò prima me, poi il sergente.
«Deborah, se vogliamo trovare Kyle, dobbiamo saperne di più. Conoscere i nomi sulla lista di Kyle e scoprire a che squadra apparteneva e perché è successo tutto questo. E Doakes è l’unico a venirmi in mente che possa saperlo.»
«Lui ti vuole morto», mi fece presente lei.
«È impossibile lavorare in condizioni perfette», osservai, con il mio migliore sorriso di allegra perseveranza. «E credo che, ancora più di Kyle, lui voglia che questa faccenda finisca.»
«Più di Kyle non penso proprio», commentò Deborah. «Io, non ne parliamo.»
«Allora… Questa è la tua occasione.»
Per vari motivi, Deborah non era convinta. «Il capitano Matthews non vorrà perdere Doakes. Dovremmo parlarne con lui.»
Indicai i due che stavano conversando. «Eccolo», dissi.
Deborah si morse il labbro e alla fine ammise: «Merda. Potrebbe funzionare».
«Non mi viene in mente niente di meglio», dichiarai.
Fece un altro respiro, poi, come se qualcuno avesse premuto un pulsante, si diresse verso Matthews e Doakes con la mascella serrata. Le andai dietro, cercando di mimetizzarmi con la parete, in modo che il sergente non mi balzasse addosso per strapparmi il cuore.
«Capitano», disse Deborah, «in questo caso c’è bisogno di dinamismo.»
Anche se «dinamismo» era una delle sue espressioni preferite, Matthews la guardò come se fosse uno scarafaggio nell’insalata. «Quello di cui abbiamo bisogno», replicò il capitano, «è che questa… gente… a Washington mandi una persona competente a fare piazza pulita.»
Deborah indicò Burdett. «Hanno mandato lui», disse.
Matthews abbassò lo sguardo verso il cadavere, pensieroso. «E tu che cosa suggerisci?»
«Abbiamo un paio di piste», dichiarò, facendomi un cenno col capo. Desiderai fortemente che non l’avesse fatto, dato che Matthews e, peggio ancora, Doakes si voltarono dalla mia parte. A giudicare dalla sua faccia da cane rabbioso, i sentimenti del sergente nei miei confronti non dovevano essere cambiati.
«E tu che parte hai nella storia?» mi domandò Matthews.
«Mi fornisce assistenza per le perizie legali», spiegò Deborah e io annuii con modestia.
«Merda», esclamò Doakes.
«Qui c’è di mezzo il fattore tempo», aggiunse Deborah. «Dobbiamo trovare quest’uomo prima che… prima che la faccenda diventi di dominio pubblico. Non possiamo tenerla segreta ancora per molto.»
«Credo che l’espressione più adeguata sia ’frenesia mediatica’», proposi, servizievole come sempre. Matthews mi lanciò un’occhiataccia.
«A grandi linee, conosco la strategia che Kyle… che Chutsky stava adottando», continuò Deborah. «Ma non posso portare avanti il lavoro perché non sono a conoscenza dei retroscena.» Alzò il mento in direzione di Doakes. «Lui invece sì.»
Doakes sembrava stupito, cosa che non doveva essergli capitata molto spesso.
Senza dargli il tempo di ribattere, Deborah proseguì: «Ritengo che noi tre insieme siamo in grado di prendere quell’uomo prima che arrivi un altro federale e si rimetta sulla pista».
«Merda», ripeté Doakes. «Volete che io lavori con lui ?» Non c’era bisogno che mi indicasse perché gli altri capissero a chi alludeva, però lo fece ugualmente, premendomi l’indice nodoso contro la faccia.
«Proprio così», fece Deborah.
Il capitano Matthews si mordicchiava le labbra, perplesso, mentre Doakes continuava a ripetere «Merda». Sperai che le sue abilità comunicative migliorassero, se dovevamo lavorare insieme.
«Mi avevi detto che qualcosa sapevi», disse Matthews a Doakes, che con riluttanza smise di fissarmi e si voltò verso di lui.
«Uh-huh», borbottò Doakes.
«Dal tuo… uh… dall’esercito», continuò Matthews. Non sembrava intimorito dall’espressione stizzita di Doakes, ma forse solo perché era abituato a comandare.
«Uh-huh», ripeté Doakes.
Il capitano Matthews aggrottò le sopracciglia, facendo il possibile per sembrare un uomo d’azione che prende una decisione importante. Avevamo tutti la pelle d’oca.
«Morgan», disse alla fine il capitano. Guardò Debs, poi si interruppe. Un furgone con scritto ACTION NEWS si fermò davanti alla casetta e ne uscì della gente. «Maledizione», imprecò Matthews. Guardò il morto, quindi Doakes. «Te ne occupi tu, sergente?»
«Non credo che farà piacere a Washington», ribatté lui. «Né a me che sono qui.»
«Sono stufo di preoccuparmi di quello che piacerà a Washington», ribatté Matthews. «Abbiamo i nostri problemi. Pensi di farcela?»
Doakes mi squadrò. Tentai di mostrarmi serio e zelante, ma lui non fece altro che scuotere la testa. «Okay», capitolò. «Me ne occupo io.»
Matthews gli diede una pacca sulla spalla. «Bravo», disse e raggiunse di corsa i giornalisti.
Doakes era ancora lì che mi fissava. Ricambiai lo sguardo. «Pensa adesso com’è più facile starmi dietro», lo incoraggiai.
«Quando questa faccenda sarà finita», dichiarò, «ce la vediamo io e te.»
«Sì, quando sarà finita», replicai.
Lui annuì, una volta sola. «Aspetta che lo sia», intimò.
Doakes ci portò in una tavola calda sulla Calle Ocho, di fronte a un concessionario d’auto. Ci condusse a un tavolino d’angolo e si sedette guardando l’entrata. «Qui possiamo parlare», dichiarò. Si comportava come in un film di spionaggio e mi pentii di non avere con me gli occhiali da sole. Forse avrei ricevuto per posta quelli di Chutsky. Nella migliore delle ipotesi, senza il suo naso attaccato.
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