Jeff Lindsay - Il nostro caro Dexter

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Il nostro caro Dexter: краткое содержание, описание и аннотация

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Collaboratore della scientifica di Miami, oltre che uomo affascinante e spiritoso, Dexter sente continuamente l’istinto irrefrenabile a uccidere che sfoga soltanto su chi, a suo parere, se lo merita: assassini, pedofili, stupratori. Finora è giunto al quarantesimo omicidio senza destare alcun sospetto, però adesso un collega sta iniziando a fiutare qualcosa. Per non farsi smascherare, Dexter decide di recitare per un po’ la parte del bravo poliziotto e del fidanzato perfetto, dedicando molto tempo alla nuova fiamma e ai due bambini di lei. Per quanto tempo riuscirà a tenere a freno il suo alter ego? Mentre cerca di depistare il collega, viene coinvolto dalla sorellastra Debbie, agente della Omicidi, nel caso di un sadico serial killer che uccide secondo rituali affini ai suoi, mutilando con precisione chirurgica le proprie vittime, lasciandone alcune vive e spaventosamente traumatizzate. L’appetito di Dexter viene stuzzicato, ma deve essere tenuto sotto controllo finché c’è in giro la sua nemesi, il tenace Doakes, che però all’improvviso scompare. È ora di mettersi sulle tracce di quel misterioso chirurgo e di far agire il Passeggero, a meno che non sia la preda ora a braccare il cacciatore…

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Prima che potessimo parlare, un uomo emerse dal retro e strinse la mano a Doakes.

«Alberto», fece. « ¿Como estas? »

Doakes gli rispose in un perfetto spagnolo, devo ammettere migliore del mio, anche se mi piace pensare di essere più bravo nella pronuncia. «Luis», disse. « Mas o menos. » I due si allontanarono a chiacchierare per qualche minuto, poi Luis ci portò delle tazzine di un orribile e dolciastro caffè cubano e un piatto di pastelitos. Fece un cenno a Doakes, quindi scomparve nel retrobottega.

Deborah osservò lo spettacolo con crescente impazienza e quando alla fine Luis se ne andò, prese la parola. «Ci servono i nomi di tutti quelli che erano in Salvador», sparò.

Doakes si limitò a guardarla sorseggiando il caffè. «Sarebbe un elenco interminabile», commentò poi.

Deborah si accigliò. «Sai cosa intendo», disse. «Dannazione, lui ha preso Kyle.»

Doakes mostrò i denti. «Be’, vuol dire che sta invecchiando. Una volta non ce l’avrebbero fatta.»

«Che cosa ci facevate là, esattamente?» gli chiesi. Okay, la domanda era un po’ fuori tema, ma ero davvero curioso di sapere la risposta.

Senza smettere di sorridere, se così si poteva definire, Doakes mi guardò e disse: «Secondo te?» E oltre la soglia dell’udito percepii un quieto rombo di selvaggia letizia che proveniva direttamente dall’intimo del mio sedile oscuro, un ululante richiamo tra predatori in una notte di luna. Parliamoci chiaro, che altro avrebbe potuto fare? Come Doakes conosceva me, io conoscevo lui per quello che era: un assassino a sangue freddo. Non c’era bisogno delle rivelazioni di Chutsky per indovinare che cosa aveva combinato in un circo di torture come il Salvador. Lui ne era senza dubbio uno dei direttori.

«Piantala di fare il voyeur», gli intimò Deborah. «Voglio i nomi.»

Doakes afferrò un pastelito e si appoggiò allo schienale. «Perché invece non mi aggiornate voi?» replicò. Ne morsicò uno, mentre Deborah tamburellava sul tavolo, perplessa.

«D’accordo», concesse lei. «Abbiamo una descrizione approssimativa del nostro uomo e del furgone, bianco.»

Doakes scosse il capo. «Non serve. Noi sappiamo chi è stato.»

«Abbiamo anche l’identità della prima vittima», aggiunse Debs. «Un tipo di nome Manuel Borges.»

«Bene, bene», ripeté Doakes. «Il vecchio Manny, eh? Allora sì che avreste dovuto lasciare che gli sparassi.»

«È un tuo amico?» domandai.

Doakes mi ignorò. «Che altro sapete?»

«Kyle aveva fatto un elenco», spiegò Deborah. «Tutta gente della stessa unità. Mi aveva detto che uno di loro sarebbe stato la prossima vittima. Ma non mi ha rivelato i nomi.»

«No, non voleva», commentò Doakes.

«Per questo ce li devi dire tu», replicò Deborah.

Sembrava che Doakes evitasse il discorso. «Se fossi un pezzo grosso come Kyle, prenderei uno di questi e lo metterei sotto sorveglianza.» Deborah fece una smorfia e annuì. «Il problema è che io non sono un pezzo grosso come Kyle. Sono solo un poliziotto di campagna.»

«Vuoi un banjo ?» feci, ma chissà perché non colse la battuta.

«So solo di uno della vecchia squadra qui a Miami», continuò il sergente, dopo avermi lanciato uno sguardo rapido e inquieto. «Oscar Acosta. L’ho visto a Publix due anni fa. Potremmo rintracciarlo.» Si rivolse a Deborah. «Mi vengono in mente un paio di altri nomi. Potete fare ricerche, scoprire se sono nei dintorni.» Allargò le braccia. «Non c’è altro. Magari potrei contattare qualche vecchio amico in Virginia, ma non vorrei sollevare un vespaio.» Sbuffò. «Comunque, diamo loro due giorni per meditare sulle mie richieste e su come agire di rimando.»

«Quindi che cosa facciamo?» chiese Deborah. «Sorvegliamo quell’uomo? Quello che hai incontrato? Oppure dobbiamo parlargli?»

Doakes scosse la testa. «Lui si ricorda di me. Gli posso parlare io. Se cercaste di stargli dietro, se ne accorgerebbe e potrebbe scomparire.» Guardò l’orologio. «Le tre e un quarto. Oscar sarà a casa tra un paio d’ore. Voi due aspettate che vi chiami.» Poi mi sfoderò il suo sorriso a centocinquanta watt da guarda che ti tengo d’occhio e disse: «Tu aspetti dalla tua fidanzatina?» Si alzò e uscì, lasciandoci il conto da pagare.

Deborah mi fissò. «Fidanzata?» esclamò.

«Non c’è niente di ufficiale», precisai.

«Tu sei fidanzato !?»

«Te lo stavo per dire.»

«Quando pensavi di dirmelo? Dopo il terzo anniversario?»

«Quando capirò cos’è successo», continuai. «Ancora non ci credo.»

Deborah sbuffò. «Nemmeno io.» Si alzò. «Forza. Ti riporto al lavoro. Poi puoi andare ad aspettare dalla tua fidanzata», dichiarò. Lasciai qualche soldo sul tavolo e la seguii, docile.

Mentre io e Deborah uscivamo dall’ascensore, Vince Masuoka passava in corridoio. « Shalom , amici», disse. «Come butta?»

«Lui è fidanzato», fece Deborah prima che potessi parlare. Vince la guardò, neanche avesse detto che ero incinto.

«Lui è cosa ?» chiese.

«Fidanzato. Sta per sposarsi», precisò.

«Sposarsi? Dexter?» Sembrava faticare alla ricerca dell’espressione migliore. Non era un obiettivo facile dato che anche lui era uno che fingeva, motivo per cui mi trovavo bene in sua compagnia. Eravamo due esseri umani artificiali, come piselli di plastica in un baccello autentico. Infine si sintonizzò su quello che doveva sembrare un meravigliato stupore… non fu molto convincente, ma era pur sempre un tentativo. « Mazel tov! » esclamò, abbracciandomi imbarazzato.

«Grazie», risposi, ancora del tutto sconcertato dalla faccenda. Mi domandavo se fosse il caso di continuare.

«Be’, allora», disse lui, stropicciandosi le mani, «non credere di scamparla così. Domani sera da me?»

«Per cosa?»

Sfoggiò la sua più riuscita imitazione di un sorriso. «Si tratta di un vecchio rito giapponese, risalente allo shogunato Tokugawa. Ci ubriachiamo e guardiamo film porno», spiegò, poi strizzò l’occhio a Deborah. «E tua sorella salta fuori da una torta.»

«Che ne dici invece se ti faccio saltare il culo?» disse Deb.

«Bell’idea, Vince, ma non credo che…» protestai. Cercavo di evitare ogni mossa che potesse ufficializzare ancora di più il mio fidanzamento e intanto tentavo di porre fine a quel simpatico battibecco prima che mi venisse il mal di testa. Ma Vince non mi lasciava finire.

«No, no», continuava, «è strettamente necessario. È una questione d’onore, di qui non si scappa. Domani sera, alle otto», stabilì. Poi, guardando Deborah che se ne andava, aggiunse: «E tu hai ventiquattr’ore di tempo per allenarti a ballare con il palo».

«Sai dove te lo puoi ficcare il palo?» ribatté lei.

«Hah-hah!» esclamò Vince con quella sua tremenda risata posticcia e scomparve nel corridoio.

«Mostriciattolo», borbottò Deborah dirigendosi dalla parte opposta. «Stai pure con la tua fidanzata dopo il lavoro. Mi farò viva quando avrò notizie da Doakes.»

In ufficio non c’era molto da fare. Misi a posto alcuni documenti, ordinai una cassa di Luminol al nostro fornitore e mi accorsi di aver ricevuto una mezza dozzina di memorandum che riempivano la mia casella di posta elettronica. Con la sensazione di avere compiuto il mio dovere, mi diressi alla macchina, sentendomi totalmente realizzato, e guidai nella rassicurante carneficina dell’ora di punta. Passai da casa a cambiarmi. Debs non c’era, ma il letto era disfatto quindi doveva essere stata li. Misi le mie cose in una borsa e ripartii, diretto a casa di Rita.

Quando arrivai era già buio. Non ero così convinto di andarci, ma non sapevo che altro fare. Deborah mi avrebbe cercato lì in caso di bisogno e il mio appartamento l’avevo lasciato a lei. Parcheggiai nel vialetto di Rita e scesi dall’auto. Per pura abitudine, guardai in strada nel punto in cui si fermava Doakes. Ovviamente era vuoto: il sergente era impegnato a parlare con Oscar, il suo vecchio compagno d’armi. All’improvviso mi resi conto di essere libero, lontano da quello sguardo ostile da segugio che per tanto tempo aveva represso la mia natura. Un lento e crescente inno di pura gioia oscura crebbe dentro di me, per risuonare potente di fronte all’improvvisa visione della luna che stillava dalle basse nubi all’orizzonte, tre quarti di lurida e opaca luna, ancora bassa e paffuta nel cielo notturno. E la musica usciva a tutto volume dagli altoparlanti e rotolava sugli spalti dell’Arena Oscura di Dexter, ove i timidi sussurri si trasformavano in una scrosciante acclamazione fino a raggiungere la melodia della luna, un canto crescente di Fallo, fallo, fallo. Il mio corpo ebbe un fremito e mi dissi: Perché no?

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