Jeff Lindsay - Il nostro caro Dexter

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Il nostro caro Dexter: краткое содержание, описание и аннотация

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Collaboratore della scientifica di Miami, oltre che uomo affascinante e spiritoso, Dexter sente continuamente l’istinto irrefrenabile a uccidere che sfoga soltanto su chi, a suo parere, se lo merita: assassini, pedofili, stupratori. Finora è giunto al quarantesimo omicidio senza destare alcun sospetto, però adesso un collega sta iniziando a fiutare qualcosa. Per non farsi smascherare, Dexter decide di recitare per un po’ la parte del bravo poliziotto e del fidanzato perfetto, dedicando molto tempo alla nuova fiamma e ai due bambini di lei. Per quanto tempo riuscirà a tenere a freno il suo alter ego? Mentre cerca di depistare il collega, viene coinvolto dalla sorellastra Debbie, agente della Omicidi, nel caso di un sadico serial killer che uccide secondo rituali affini ai suoi, mutilando con precisione chirurgica le proprie vittime, lasciandone alcune vive e spaventosamente traumatizzate. L’appetito di Dexter viene stuzzicato, ma deve essere tenuto sotto controllo finché c’è in giro la sua nemesi, il tenace Doakes, che però all’improvviso scompare. È ora di mettersi sulle tracce di quel misterioso chirurgo e di far agire il Passeggero, a meno che non sia la preda ora a braccare il cacciatore…

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Converrete con me, quindi non capivo. Così mi limitai a guardare fuori le luci soffuse delle case al di là della sopraelevata. C’erano alcuni condomini vicino al casello e tante case sparse intorno. Se avessi vinto alla lotteria, avrei chiesto a un agente immobiliare di farmene vedere una con una cantina grande abbastanza da farci stare giusto giusto un fotografo omicida sepolto sotto il pavimento. In quel momento un leggero sussurro si levò dal sedile posteriore, anche se ovviamente non potevo farci nulla, tranne applaudire alla luna riflessa sull’acqua. Proprio dall’acqua si levò un suono metallico, quello che annunciava il sollevamento del ponte.

La radio gracchiò. «Si sta muovendo», disse Doakes. «Bisogna attraversare il ponte mobile. Tenetelo d’occhio… ha una Toyota 4Runner.»

«Lo vedo», fece Deborah per radio. «Siamo sopra di lui.»

La SUV bianca attraversò la sopraelevata ed entrò nella 15 thStreet pochi istanti prima che si sollevasse il ponte. Deborah aspettò un attimo, poi lo seguì. Sul Biscayne Boulevard svoltò a destra e noi lo imitammo. «Si dirige a nord lungo Biscayne», disse Debs via radio.

«Stagli dietro», ordinò Doakes. «Io lo seguo da qui.»

La 4Runner si muoveva a una velocità normale in mezzo a un traffico piuttosto tranquillo; non superava il limite se non per pochi chilometri, viaggiava alla velocità che a Miami viene definita «da turista», costringendo gli altri guidatori a sorpassarlo suonando il clacson. Ma Oscar non sembrava badarci. Rispettava tutti i segnali stradali e stava nella corsia giusta. Si muoveva come se non avesse fretta e stesse facendo un giro in macchina per digerire il pranzo.

Quando arrivammo sulla 79 thStreet Causeway, Deborah afferrò la radio. «Stiamo attraversando la 79 thStreet», disse. «Sembra non avere fretta, continua a dirigersi a nord.»

«Dieci-quattro», fece Doakes e Deborah mi lanciò un’occhiata.

«Non ho parlato», mi affrettai a dire.

«Ma so cos’hai pensato», ribatté lei.

Ci dirigemmo a nord, fermandoci due volte ai segnali stradali. Deborah faceva attenzione a tenere davanti altre auto, impresa non difficile col traffico di Miami, in cui tutti cercano di passarti intorno, sopra o attraverso. Un’autopompa passò a sirene spiegate nell’altra direzione, strombazzando il clacson agli incroci. Sugli altri automobilisti ebbe lo stesso effetto di un agnellino indifeso: ignorarono la sirena e mantennero la posizione duramente conquistata in mezzo al traffico. Il tipo al volante dell’autopompa, essendo anche lui un guidatore di Miami, si mise a zigzagare in mezzo agli altri, suonando clacson e sirena ed esibendosi in un Duetto per Traffico.

Arrivammo alla 123 rdStreet, l’ultimo posto in cui si poteva tornare indietro prima che la 826 entrasse in North Miami Beach; Oscar proseguì diretto a nord. Subito dopo, Deborah avvisò Doakes via radio.

«Dove diavolo sta andando?» borbottò lei, posando la radio.

«Forse si sta solo facendo un giro», ipotizzai. «È una serata incantevole.»

«Vuoi scriverci un sonetto?»

Di solito, avrei risposto con una battuta geniale, ma stavolta, forse a causa di questo inseguimento così coinvolgente, non mi venne in mente nulla. E Debs si comportò come se godesse di questa sua vittoria, anche se piccola.

Qualche isolato più avanti, Oscar accelerò di colpo e svoltò in una viuzza sulla sinistra in mezzo al traffico in arrivo, provocando da entrambe le parti un intero concerto di clacson rabbiosi.

«Ha cambiato direzione», disse Deborah a Doakes. «Va a ovest sulla 135 thStreet.»

«Sono dietro di te», la avvisò Doakes, «sulla Broad Causeway.»

«Che cosa c’è sulla 135 thStreet?» si domandò Deborah a voce alta.

«L’aeroporto Opa-Locka», risposi. «A circa tre chilometri e mezzo da qui.»

«Merda», brontolò e afferrò la radio. «Doakes… da questa parte c’è l’aeroporto Opa-Locka.»

«Sto arrivando», annunciò il sergente e sentii partire le sirene non appena lui spense la radio.

Opa-Locka era stato per lungo tempo famoso tra chi trafficava droga e chi svolgeva operazioni segrete. In realtà era una distinzione di comodo, visto che i confini tra le due attività erano spesso nebulosi. Era probabile che lì Oscar avesse un piccolo aereo ad aspettarlo, pronto a portarlo fuori dal Paese e verso un qualunque posto nei Caraibi, in America centrale o del sud, purché potesse mantenere i contatti col resto del mondo. Dubitai in ogni caso che avesse come meta il Sudan o Beirut. Era più probabile che si dirigesse da qualche parte nei Caraibi. In ogni caso, nella sua situazione, abbandonare il Paese sembrava una mossa ragionevole e l’aeroporto di Opa-Locka era il posto più logico da cui partire.

Adesso Oscar andava un po’ più veloce, anche se la 135 thStreet non era così ampia e comoda come il Biscayne Boulevard. Salimmo su un ponticello lungo il canale e non appena la nostra preda arrivò al fondo accelerò all’improvviso e svoltò in una curva a esse, facendo stridere le ruote in mezzo al traffico.

«Dannazione, sembra spaventato», osservò Deborah. «Deve averci riconosciuti.» Aumentò la velocità per non perderlo di vista, lasciando comunque due o tre macchine tra noi e lui, anche se a questo punto era impossibile continuare la finzione.

In effetti qualcosa doveva averlo spaventato, perché Oscar guidava come un pazzo, si gettava pericolosamente nel traffico e poi saltava sul marciapiede. Debs, ovviamente, non aveva intenzione di perdere la sfida. Gli rimase alle costole, zigzagando tra le automobili che tentavano ancora di riprendersi dal loro incontro ravvicinato con il SUV. Poco più avanti, il nostro uomo svoltò a sinistra in una viuzza. Una vecchia Buick sterzò di botto, poi urtò il marciapiede e si schiantò contro una recinzione per finire nel cortile di una casa azzurra.

Possibile che la vista della nostra piccola auto civetta avesse spinto Oscar a comportarsi così? Mi piaceva pensarlo e mi faceva sentire molto importante, ma non ci credetti… finora si era comportato in modo tranquillo ed equilibrato. Se avesse voluto sbarazzarsi di noi, si sarebbe probabilmente lanciato in qualche mossa astuta, tipo salire sul ponte mentre si stava alzando. Allora perché farsi prendere dal panico così all’improvviso? Proprio per far qualcosa, mi piegai in avanti e guardai nello specchietto laterale. Le lettere in stampatello riflesse mi dissero che gli oggetti erano più vicini di quanto sembrassero. Le cose erano come stavano, pensai tristemente, quando vidi apparire nello specchietto un unico oggetto.

Un vecchio furgone bianco.

Stava seguendo noi e anche Oscar. Faceva lo slalom nel traffico, alla nostra velocità. «Be’», osservai, «dopotutto non è uno stupido.» E alzai la voce per farmi sentire sopra lo stridio delle ruote e i clacson degli altri automobilisti. «Oh, Deborah…» feci. «Non per distrarti dai tuoi doveri di guidatrice, ma quando hai un momento, ti spiacerebbe guardare nello specchietto retrovisore?»

«Non capisco che cazzo vuoi dire», ringhiò, però diede lo stesso un’occhiata. Fu un vero colpo di fortuna che ci trovassimo su un rettilineo, perché per un secondo Debs si dimenticò che stava guidando. «Merda», sussurrò.

«Già, l’ho pensato anch’io», concordai.

Il cavalcavia dell’I-95 era diritto davanti a noi e poco prima di passarci sotto Oscar sbandò violentemente a destra, attraversando tre corsie. Quindi svoltò in una via laterale parallela alla superstrada. Deborah imprecò e virò per stargli dietro. «Avvisa Doakes!» esclamò, e io obbediente presi la radio.

«Sergente Doakes», esordii. «Non siamo soli.»

La radio emise un sibilo. «Che cazzo significa?» ringhiò Doakes, neanche avesse sentito la risposta di Deborah e gli fosse piaciuta al punto da ripeterla anche lui.

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