«Abbiamo appena girato a destra sulla 6 thAvenue e c’è un furgone bianco che ci segue.» Non udii risposta, allora ripetei: «Te l’ho detto che è bianco?» e stavolta mi presi la soddisfazione di sentire Doakes grugnire. «Figlio di puttana.»
«Proprio quello che ho pensato anch’io», concordai.
«Lasciate andare avanti il furgone e stategli dietro», ordinò lui.
«No, merda», borbottò Deborah a denti stretti, poi disse di peggio. Fui tentato anch’io di aggiungere qualcosa di simile. Infatti mentre Doakes toglieva la comunicazione, Oscar imboccò il ponte della I-95 con noi all’inseguimento e all’ultimo secondo sterzò rapido e tornò indietro in discesa infilandosi nella 6 thAvenue. Il suo 4Runner rimbalzò non appena toccò terra e vacillò per un attimo sulla destra, come se fosse ubriaco, infine accelerò e tirò dritto. Deborah inchiodò facendo un mezzo testa coda; il furgone bianco ci superò, saltando giù per la discesa, e coprì la distanza che lo separava dal 4Runner. Dopo mezzo secondo, Deborah si raddrizzò, si rimise in corsia e li seguì.
Quella strada laterale era stretta, con una fila di case sulla destra, un’alta massicciata di cemento giallo sulla sinistra, sovrastata dal ponte della I-95. Guidammo per parecchi isolati, andando via via sempre più veloci.
Una coppia di vecchietti che si tenevano per mano si fermò sul marciapiede e guardò sfrecciare la nostra singolare processione. Era senz’altro frutto della mia immaginazione, ma al passaggio dei due veicoli mi sembrò di vederli svolazzare in aria.
Ci avvicinammo un po’ di più al furgone che fece lo stesso col 4Runner. Tuttavia Oscar correva sempre di più; ignorò uno stop costringendoci a sterzare per non finire addosso a un camion con rimorchio. Il veicolo girava su se stesso nel tentativo di evitare il 4Runner e il furgone; tentò una svolta sgraziata a forma di ciambella e si schiantò contro un idrante. Debs strinse i denti, aggirò il camion e oltrepassò l’incrocio, noncurante dei clacson e del getto d’acqua che schizzava fuori dall’idrante, finché non raggiunse i due veicoli.
Qualche isolato più avanti di Oscar, scorsi una strada principale e il semaforo rosso. Anche da lontano si vedeva il traffico riversarsi a ondate nell’incrocio. D’accordo, non siamo immortali ma, potendo scegliere, non era questo il modo in cui desideravo morire. All’improvviso guardare la tivù assieme a Rita non mi sembrò poi così male. Cercai un modo educato e allo stesso tempo efficace per convincere Debs a fermarsi un istante, ma proprio ora che ne avevo bisogno il mio mirabile cervello sembrava disconnesso. Prima che riuscissi a farlo funzionare, Oscar era già al semaforo.
Probabilmente l’uomo doveva essere andato in chiesa quella settimana, perché non appena sfrecciò attraverso l’incrocio, il semaforo diventò giallo. Il furgone bianco gli corse subito dietro, inchiodando per evitare un’utilitaria blu che tentava di passare dalla parte opposta; poi fu il nostro turno e venne il verde. Sbandammo dietro al furgone e per poco gli finimmo dentro. Ma, dopotutto, eravamo a Miami… infatti un camion di cemento passò col rosso dopo l’utilitaria blu, proprio davanti a noi. Deglutii a fatica mentre Deborah teneva schiacciato il pedale del freno e l’auto faceva un testacoda intorno al camion. Sbattemmo con violenza contro il marciapiede, le due ruote sinistre vi saltarono sopra prima di rimbalzare sulla strada.
«Niente male», commentai, mentre Deborah riprendeva ad accelerare. Forse avrebbe anche avuto il tempo di ringraziarmi per il complimento, se solo il furgone bianco non avesse deciso di approfittare della situazione per rallentare al nostro fianco e finirci addosso. La parte posteriore della nostra auto si spostò a sinistra, ma Deborah riuscì a raddrizzarla. Il furgone ci urtò di nuovo, più forte, proprio dietro alla mia portiera che, mentre incassavo il colpo, si aprì. Visto che la macchina sbandava, Deborah frenò… forse non era la strategia vincente, dato che il furgone contemporaneamente accelerò e stavolta agganciò la portiera così forte da staccarla e farla volare via: la vidi colpire il furgone con un forte schiocco sullo pneumatico posteriore, prima di mettersi a oscillare come una ruota deformata, sprizzando scintille.
Scorsi il furgone barcollare pian piano e sentii il rumore di una gomma che scoppiava. Poi quella parete bianca sbatté contro di noi un’altra volta. La nostra macchina sbandò violentemente a sinistra, salì sul marciapiede ed entrò in una recinzione metallica che divideva la strada dalla rampa di discesa della I-95. Non smettevamo di girare, come se le ruote fossero di burro. Deborah tentò di fermarle, stringendo i denti, e ce l’avevamo quasi fatta. Ma naturalmente, quella settimana io in chiesa non c’ero andato: mentre le nostre ruote anteriori sbattevano contro il marciapiede dal lato opposto della rampa, un’enorme SUV rossa ci entrò nel cofano. Ci rovesciammo in mezzo all’incrocio della superstrada, nell’area erbosa che circondava un grande stagno. Ebbi soltanto un attimo per notare che l’erba tagliata sembrava aver preso il posto del cielo notturno. L’auto rimbalzò e l’airbag mi esplose sulla faccia. Mi sentii come se avessi fatto la battaglia dei cuscini con Mike Tyson. Ero ancora stordito quando la macchina si rovesciò sul tettuccio, entrò nello stagno e cominciò a riempirsi d’acqua.
Non ho vergogna a riconoscere i miei modesti talenti. Per esempio, non nascondo di avere un’abilità al di sopra della media nel fare osservazioni brillanti e anche una certa predisposizione a piacere alla gente. Ma sono onesto con me stesso e disposto a riconoscere anche i miei difetti. Dopo un breve esame di coscienza mi vidi dunque costretto ad ammettere di non essere mai stato capace di respirare l’acqua. Inchiodato al sedile dalla cintura di sicurezza, stordito, la osservavo penetrare a fiotti e vorticarmi sulla testa. La mia era davvero un’enorme pecca, pensai.
Non fu molto incoraggiante nemmeno l’ultima visione che ebbi di Deborah, prima che l’acqua si chiudesse sulla sua testa. Era imprigionata al sedile, immobile, con gli occhi chiusi e la bocca spalancata, esattamente l’opposto rispetto a com’era di solito, e non mi sembrò un buon segno. Poi l’acqua mi entrò anche negli occhi e non vidi più nulla.
Amo anche pensare di avere una buona capacità di reazione agli imprevisti, e credo che l’improvviso stordimento fosse dovuto al fatto di essere stato sballottato su e giù e di aver sbattuto contro l’airbag. In ogni caso, rimasi in acqua a testa in giù per un tempo che mi parve piuttosto lungo e, mi vergogno ad ammetterlo, ne passai la maggior parte a disperarmi per la mia scomparsa.
Devoto Dipartito Dexter, stroncato nel fiore degli anni! Quante grandi cose poteva ancora fare e quanti criminali restavano da smembrare. Le porgo le mie più sentite condoglianze, Passeggero Oscuro, io lo conoscevo bene. E quel povero ragazzo stava anche per sposarsi. Altro che triste… mi immaginai Rita vestita di bianco, che piangeva sull’altare con i due bambini accanto. La cara, piccola Astor, con i capelli cotonati e l’abitino verde da damigella inzuppato di lacrime. E il silenzioso Cody nel suo minuscolo smoking che fissava il fondo della chiesa e aspettava. Pensava alla nostra ultima giornata di pesca, si domandava quando avrebbe potuto di nuovo affondare il coltello e rigirarlo lentamente, per assistere sorridendo al sangue rosso vivo che gorgogliava fuori, sulla lama e poi…
Con calma, Dexter. Da dove ti venivano tutti quei pensieri? Domanda retorica, d’accordo, e non mi serviva il boato divertito del mio vecchio amico interiore per trovare la risposta. Ma grazie a quel suggerimento feci due più due e capii che Cody…
Non è strano quello che ci viene in mente prima di morire? La macchina si era ribaltata sul tettuccio e mi cullava lentamente, piena di un’acqua così densa e fangosa che non sarei riuscito a distinguere una pistola puntata contro il mio naso. E nonostante ciò la visione di Cody era nitida, più chiara persino dell’ultima volta in cui ci eravamo trovati nella stessa stanza. Dietro alla sua sagoma sottile scorsi un’enorme ombra scura, una massa nera e senza volto che sembrava sghignazzare.
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