La cosa non mi sorprese, Rachel aveva previsto che avrebbero fatto trovare la pistola da qualche parte.
«Il fatto, Marc, è che si tratta della tua vecchia pistola, quella scomparsa da casa tua. Hanno già fatto l’esame balistico. A sparare a te e a Monica erano state due calibro 38 diverse, ricordi?»
«Sì.»
«Ebbene, quella pistola, la tua pistola, è una delle due che sono state usate quella tragica mattina.»
Chiusi gli occhi. “Che c’è?” mi chiese Rachel muovendo soltanto le labbra.
«Ora ti lascio» riprese Lenny. «Guarderò tra le mie carte per vedere se c’è qualcosa che riguardi Stacy e le adozioni, se vuoi.»
«Grazie.»
«Tu fai attenzione.»
Riattaccò. Raccontai a Rachel la storia della pistola e dei test balistici e lei prese a mordicchiarsi il labbro inferiore, un tic che aveva già quando stavamo insieme. «Questo significa quindi che Pavel e soci sono senza dubbio coinvolti nella tragedia in casa tua» osservò.
«Avevi ancora qualche dubbio?»
«Fino a poche ore fa sospettavamo che si trattasse di una messinscena, ricordi? Pensavamo che questa gente sapesse abbastanza da poter fingere di avere Tara in modo da spillare denaro a tuo suocero. Ora sappiamo che non è così, questi sono gli stessi che sono venuti in casa tua e ti hanno portato via la bambina.»
La spiegazione aveva una sua logica, ma c’era qualcosa che ancora non quadrava. «E adesso che cosa facciamo?» le chiesi.
«La mossa più logica sarebbe quella di andare a fare una visita a questo avvocato Steven Bacard» disse lei. «Il problema è che non è chiaro se lui sia il capo o soltanto uno della banda, per quello che ne sappiamo il cervello potrebbe essere Denise Vanech e Bacard solo un gregario. Oppure sono tutt’e due agli ordini di qualcun altro. Se ci presentiamo da lui, Bacard potrebbe chiudersi a riccio: è un avvocato, sa come ci si muove in certi casi.»
«Che cosa consigli di fare, allora?»
«Non lo so ancora. Forse sarebbe il caso di chiamare i federali, di fargli fare una bella irruzione nello studio di Bacard.»
Scossi il capo. «Ci vorrebbe troppo tempo.»
«Potremmo convincerli a muoversi in fretta.»
«Quanto in fretta, ammesso e non concesso che ci credano?»
«Non lo so, Marc.»
Non mi piaceva come si stavano mettendo le cose. «Supponi che Denise Vanech abbia avuto qualche sospetto. Supponi che Tatiana si spaventi e richiami la Vanech. Supponi che ci sia effettivamente un infiltrato nella polizia. Esistono troppe incognite, Rachel.»
«Secondo te, allora, che cosa dovremmo fare?»
«Attaccare su due fronti» le risposi, in pratica senza pensarci su. C’era un problema e io all’improvviso avevo trovato la soluzione. «Tu ti occupi di Denise Vanech, io di Steven Bacard. Ci organizziamo in modo da muoverci in contemporanea.»
«È un avvocato, Marc, non gli tirerai fuori nulla.»
La guardai e lei notò qualcosa nel mio sguardo. Lo vide anche Verne, che emise sottovoce un gridolino di apprezzamento.
«Hai intenzione di minacciarlo?» mi chiese Rachel.
«C’è in ballo la vita di mia figlia.»
«E vorresti applicare la tua legge…? Un’altra volta?» aggiunse poi.
«In che senso?»
«Hai minacciato con la pistola una minorenne.»
«Stavo solo cercando di spaventarla, tutto qui, non le avrei mai fatto del male.»
«La legge…»
«La legge non ha fatto un accidenti per aiutare mia figlia» dissi, cercando di non alzare la voce. Con la coda dell’occhio notai che Verne assentiva vigorosamente. «La legge è troppo occupata a incastrare te.»
Si raddrizzò di scatto. «Me?»
«È quello che mi ha detto Lenny mentre eravamo a casa sua. Pensano che sia stata tu, che io non c’entri nulla, che volevi a tutti i costi rimetterti con me o qualcosa del genere.»
«Che cosa?»
Mi alzai. «Ascolta, io vado da questo Bacard. Non ho intenzione di fare del male a nessuno, ma se lui sa qualcosa di mia figlia lo scoprirò.»
Verne levò il pugno al cielo. «Bravo!»
Gli chiesi se poteva lasciarmi ancora la Camaro e lui mi ricordò che potevo contare sul suo aiuto al cento per cento. Pensavo che Rachel avrebbe avuto ancora qualcosa da ridire, ma non fu così. Forse sapeva che non avrei cambiato idea o forse sapeva che avevo ragione. Oppure, molto più probabilmente, era ancora sbigottita dalla notizia che i suoi ex colleghi la considerassero capace di commettere un crimine simile.
«Vengo con te.»
«No.» Lo dissi con un tono che non ammetteva repliche. Non avevo idea di che cosa avrei fatto una volta che mi fossi trovato davanti Bacard, ma sapevo di essere capace di tante cose. «Ciò che ho detto prima vale ancora» ripresi, nel mio consueto tono professionale. «Ti telefonerò non appena sarò arrivato allo studio di Bacard. Ci occuperemo di lui e della Vanech contemporaneamente.»
Non attesi la risposta di Rachel. Risalii sulla Camaro e partii diretto al Centro uffici MetroVista.
Lydia si guardò attorno. Era un po’ troppo allo scoperto per i suoi gusti, ma non poteva farci nulla. Si era messa una parrucca bionda ed era pettinata come la Vanech, o almeno secondo la descrizione che le aveva fatto Steven Bacard. Bussò alla porta del monolocale.
La tendina accanto alla porta si mosse. Lydia sorrise. «Tatiana?»
Nessuna risposta.
L’avevano avvertita che Tatiana non sapeva in pratica spiccicare nemmeno una parola. Lydia aveva elaborato una strategia d’azione, consapevole dell’importanza del fattore tempo. Bisogna sistemare tutto e tutti, e se una cosa del genere te la dice uno come Bacard che odia il sangue, allora devi trarne subito le debite conclusioni. Lydia ed Heshy si erano separati, lei era venuta a occuparsi di Tatiana e si sarebbero rivisti dopo.
«Non devi preoccuparti, Tatiana» le disse parlando da dietro la porta. «Sono venuta ad aiutarti.»
Non si sentì alcun rumore.
«Sono un’amica di Pavel» continuò. «Lo conosci Pavel, vero?»
La tendina si mosse e apparve per un momento un viso di ragazza, scavato e infantile. Lydia le fece un cenno con il capo, ma la ragazza tenne la porta chiusa. Lydia si guardò di nuovo attorno, nessuno l’aveva notata ma lei si sentiva ugualmente troppo esposta. Doveva sbrigarsi.
«Aspetta» disse alla ragazza. Poi, sempre fissando la tendina, infilò una mano nella borsetta e tirò fuori un foglietto di carta e una penna. Scrisse qualcosa, assicurandosi che se la ragazza fosse stata ancora dietro i vetri vedesse esattamente ciò che stava facendo. Poi richiuse la penna e si avvicinò al vetro, sollevando il foglietto di carta perché Tatiana potesse leggerlo.
Era come convincere un gatto spaventato a uscire da sotto il divano. Tatiana si avvicinò lentamente alla vetrata e Lydia rimase immobile per non innervosirla. Tatiana continuò ad avvicinarsi. Vieni, gattina, vieni qui. Lydia ora vedeva il viso di lei, con gli occhi semichiusi per leggere il biglietto.
Quando la ragazza fu abbastanza vicina, Lydia premette la canna della pistola contro il vetro mirandola alla fronte. All’ultimo momento Tatiana cercò di scansarsi, ma si spostò troppo poco e troppo tardi. La pallottola perforò il vetro e s’infilò nell’occhio destro. Uscì del sangue. Lydia premette di nuovo il grilletto, abbassando automaticamente la canna, e centrò la ragazza in fronte. Ma quella seconda pallottola era del tutto superflua: la prima, quella nell’occhio, le aveva spappolato il cervello, uccidendola sul colpo.
Lydia si allontanò in fretta guardandosi per un attimo alle spalle. Nessuno. Arrivata al vicino centro commerciale gettò in un cassonetto la parrucca e il soprabito bianco. Infine salì sulla sua auto parcheggiata a quasi un chilometro di distanza.
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