Rachel si portò dietro l’atlante stradale e il palmare e continuò a lavorare camminando. Verne era entrato nel caffè e chiacchierava con un tipo tarchiato dietro il bancone. Si era messo in testa un berrettino da baseball della Deere e una T-shirt sulla quale si leggeva: MOOSEHEAD: UNA GRANDE BIRRA E UNA NUOVA ESPERIENZA PER UN ALCE.
Ci sedemmo a un tavolino.
«Allora, com’è andata?» chiese Verne.
Lasciai a Katarina il compito di informarlo, e mi misi a osservare Rachel. Ogni volta che facevo per aprire bocca lei alzava un dito per farmi tacere. Dissi a Verne di riportare a casa Katarina, non avevamo più bisogno del suo aiuto, mentre invece i bambini avevano bisogno dei loro genitori. Ma Verne mi sembrò riluttante.
Tra una cosa e l’altra si erano fatte quasi le dieci del mattino. Non ero per niente stanco, la mancanza di sonno non mi crea alcun problema, anche se a tenermi sveglio sono circostanze meno eccitanti. Questo in seguito alle tante notti trascorse di guardia in ospedale.
«Bingo! Ci siamo» disse ancora Rachel.
«Che cosa?»
Senza staccare gli occhi dal palmare, allungò una mano. «Fammi usare il tuo cellulare.»
«Che c’è?»
«Dammelo, va bene?»
Glielo porsi, lei compose un numero e si spostò in un angolo del locale. Katarina si scusò e andò in bagno. Verne mi diede una leggera gomitata, indicandomi poi Rachel.
«Siete innamorati?»
«È complicato» gli risposi.
«Soltanto se sei un coglione è complicato.»
Mi strinsi nelle spalle.
«O sei innamorato o non lo sei. Tutto il resto è roba da coglioni» insistette lui.
«Per questo hai reagito in quel modo sentendo la confessione di Katarina?»
Ci pensò su. «Quello che ha detto e ciò che ha fatto in passato non hanno molta importanza. L’importante è ciò che si ha dentro. Ho dormito sette anni con quella donna, e so che cos’ha dentro.»
«Io non conosco Rachel così bene.»
«Sì, invece. Guardala.» La osservai e mi sentii percorrere da una corrente lieve e delicata. «È stata picchiata a sangue, le hanno sparato, santo Iddio.» S’interruppe. Non lo stavo guardando, ma avrei scommesso che stava scuotendo la sua lunga chioma disgustato. «Se te la lasci scappare lo sai che cosa sei?»
«Un coglione.»
«Un coglione professionista, passi da dilettante a professionista.»
Rachel chiuse la telefonata e tornò velocemente da noi. Forse sono state le parole di Verne, ma giurerei di aver visto luccicare un bagliore di fuoco negli occhi di lei. E quell’abitino estivo, quei capelli arruffati, quel sorriso sicuro e furbo mi fecero fare un tuffo nel passato. Non durò molto, soltanto un attimo: ma forse fu sufficiente.
«Allora?» le chiesi.
Lei riprese ad armeggiare sul palmare. «Devo fare un’ultima cosa, nel frattempo da’ un’occhiata a questo atlante stradale.»
Lo presi e Verne si mise alle mie spalle per guardare anche lui. Puzzava di olio per motori. Sulla cartina lei aveva fatto segni di tutti i tipi: asterischi, crocette e una linea continua che seguiva un percorso tortuoso. Capii subito che cosa stava a indicare.
«Questo è l’itinerario seguito la scorsa notte dai rapitori, e da noi che gli stavamo dietro» dissi.
«Esatto.»
«Che cosa significano gli asterischi e quegli altri simboli?»
«Una cosa alla volta. Guarda la strada che hanno fatto: prima hanno puntato verso nord, oltre il Tappan Zee, poi a ovest, quindi a sud e di nuovo a ovest. Alla fine sono tornati verso est per poi dirigersi a nord.»
«Cercavano di guadagnare tempo.»
«Proprio così, è andata come dicevamo. Ci stavano preparando la trappola davanti a casa tua. Ora rifletti un attimo. Finora abbiamo pensato che un loro informatore all’interno della polizia li avesse messi al corrente della microspia, giusto?»
«Allora?»
«Nessuno quindi sapeva della microspia finché tu sei rimasto in ospedale. Questo significa che almeno all’inizio del pedinamento non sospettavano che li stavamo seguendo.»
«Okay» dissi, anche se non ero sicuro di avere capito bene dove volesse andare a parare.
«La bolletta del telefono la paghi via computer?» mi chiese.
La domanda mi lasciò per un attimo sconcertato. «Sì.»
«Questo significa che ti arriva sul computer il dettaglio delle telefonate, no? Ti basta collegarti per vedere quali numeri hai chiamato. E probabilmente è possibile anche l’operazione contraria, cioè cliccando sul numero puoi sapere a chi corrisponde.»
Era proprio così.
«Bene, ho guardato l’ultima bolletta telefonica di Denise Vanech.» Sollevò una mano. «Non ti preoccupare, anche quest’operazione è abbastanza facile. Harold probabilmente ci sarebbe riuscito forzando il sistema, se avesse avuto tempo, ma con le conoscenze giuste oppure pagando è più semplice. E adesso con l’addebito via Internet è ancora più facile.»
«Harold ti ha mandato la bolletta della Vanech?»
«Sì, e la signora fa un bel po’ di telefonate. Per questo c’è voluto del tempo, abbiamo dovuto esaminarle, trovare i nomi e poi gli indirizzi.»
«Ed è saltato fuori un nome in particolare?»
«No, un indirizzo. Ho controllato se ha mai telefonato a qualcuno che abita in una via di quel tortuoso itinerario.»
Capii dove voleva arrivare. «Ed è andata proprio così, immagino.»
«Meglio ancora. Ti ricordi quando si sono fermati davanti al Centro uffici MetroVista?»
«Certo.»
«Il mese scorso Denise Vanech ha telefonato sei volte allo studio legale di un certo Steven Bacard.» Rachel mi indicò un asterisco che aveva segnato sulla cartina. «E questo studio ha sede al MetroVista.»
«Un avvocato?»
«Harold sta cercando di saperne di più, ma ancora una volta sono andata su Google. E il nome Steven Bacard compare con una certa frequenza.»
«A che proposito?»
Rachel sorrise. «È un avvocato specializzato in adozioni.»
«Santa madre di Dio!» esclamò Verne.
Provai ad assimilare quella notizia. Nel mio cervello cominciarono a suonare numerosi campanelli d’allarme, ma non capivo bene che cosa significassero. Katarina tornò al nostro tavolo e Verne la informò della scoperta. Ci stavamo avvicinando alla verità, lo sapevo, ma mi sembrava di andare alla deriva. Il mio cellulare suonò, anzi per la precisione quello di Zia. Guardai il numero sul display, era Lenny. Fui tentato di non rispondere, ricordando le raccomandazioni di Zia: ma lui sapeva che c’era la possibilità di essere intercettati, era stato proprio lui a mettere in guardia la mia socia.
Premetti il tasto verde.
«Lasciami parlare» esordì Lenny, prima ancora che potessi dire: “Pronto”. «Voglio subito mettere in chiaro, nel caso qualcuno ci stia ascoltando, che questa è una conversazione tra avvocato e cliente e di conseguenza gode di particolare tutela giuridica. Non dirmi dove ti trovi, Marc, non dirmi nulla che possa mettermi nella condizione di dover mentire. Capito?»
«Sì.»
«Il tuo viaggetto ha dato dei frutti?» mi chiese.
«Non nel senso che intendi tu, quel frutto che cercavamo non l’abbiamo trovato, o almeno non ancora. Ma ci siamo vicini.»
«Posso esserti d’aiuto?»
«Non credo. Anzi sì, aspetta un momento.» Mi ero ricordato che ogni volta che mia sorella era stata arrestata, Lenny si era occupato di lei, le aveva fatto insomma da consulente legale. «Stacy ti ha mai detto nulla a proposito di adozioni?» gli chiesi.
«Non ti seguo.»
«Ha mai pensato di dare un bambino in adozione, ti ha mai parlato comunque di adozioni?»
«No. C’entra qualcosa con il rapimento di Tara?»
«Può darsi.»
«Non ricordo nulla del genere. Ascolta, è possibile che ci stiano ascoltando e quindi lasciami dire perché ti ho telefonato. Hanno trovato vicino a casa tua il cadavere di un uomo con due pallottole nella testa.» Lenny sapeva che conoscevo già tutta la storia, e capii che me lo stava raccontando solo a beneficio di eventuali intercettatori. «Non l’hanno ancora identificato, ma hanno trovato l’arma del delitto nel giardinetto dietro la casa dei Christie.»
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