«Pochi mesi prima della tragedia.»
«Al telefono rispose Monica?»
«No, la segreteria telefonica. Io… lo so quanto può sembrare stupido… ma ti lasciai un messaggio.»
Ritrassi lentamente la mano. «Che cosa dicesti esattamente?»
«Non ricordo, ero ubriaca, piangevo. Credo di avere detto che mi mancavi e che speravo mi avresti richiamato. Non credo di essermi spinta più in là di questo.»
«Non l’ho mai ricevuto quel messaggio» dissi.
«Ora me ne rendo conto.»
Nella mia mente si accese una lampadina. «Questo significa che Monica l’ha ascoltato» dissi.
Pochi mesi prima della tragedia, pensai. Ossia quando Monica iniziò a sentirsi insicura, quando cominciavamo ad avere seri problemi. Ricordai che spesso scoppiava a piangere la notte, ricordai di quando Edgar mi informò che Monica aveva cominciato ad andare da uno psichiatra. E io, chiuso nel mio piccolo mondo smemorato, la portavo a casa di Lenny e Cheryl costringendola involontariamente a vedere quella foto con la mia ragazza di un tempo: la stessa che aveva telefonato di notte a casa nostra per confidare alla segreteria quanto le mancavo.
«Mio Dio, ora capisco perché si era rivolta a un investigatore privato» dissi. «Voleva sapere se la tradivo e probabilmente gli ha raccontato di me e te da ragazzi, di quella tua telefonata.»
Lei rimase in silenzio.
«Non hai ancora risposto alla mia domanda, Rachel. Che ci facevi davanti all’ospedale?»
«Ero venuta nel New Jersey a trovare mia madre.» La sua voce adesso tradiva qualche esitazione. «Te l’ho detto che ha un appartamento a West Orange.»
«E allora? Stai cercando di dirmi che era ricoverata nel mio ospedale?»
«No.» Tacque di nuovo e io continuai a guidare. Stavo quasi per accendere l’autoradio, meccanicamente, tanto per fare qualcosa. «Devo proprio dirtelo?»
«Sì, direi di sì.» Ma avevo capito tutto.
La sua voce era adesso quasi impersonale. «Mio marito era morto, non avevo più il mio lavoro, avevo perso tutto. Parlavo spesso con Cheryl e dalle sue parole avevo capito che tu e tua moglie avevate qualche problema.» Si voltò per guardarmi. «Andiamo, Marc, lo sai benissimo che né tu né io ci eravamo rassegnati alla fine della nostra storia. Quel giorno dunque andai in ospedale per parlarti, ma non so che cosa mi aspettassi dal nostro incontro. Ero davvero così ingenua da pensare che mi avresti stretto fra le braccia? Forse, non lo so. Me ne stavo quindi là davanti, cercando il coraggio di venire da te. Salii perfino al piano del tuo studio. Ma alla fine non ce la feci, e non per Monica e Tara. Mi piacerebbe avere uno spirito così nobile, ma purtroppo non è così.»
«Perché, allora?»
«Me ne sono andata perché temevo che mi avresti respinta e non sapevo come avrei reagito.»
Tra noi scese il silenzio. Non sapevo che cosa dire, non sapevo nemmeno che cosa stessi provando.
«Sei arrabbiato» disse.
«Non lo so.»
Rimanemmo entrambi in silenzio. Avrei tanto voluto non commettere errori e riflettei a lungo. Sia io sia lei guardavamo dritto, la tensione sembrava premere contro i finestrini. «Non ha più importanza» dissi alla fine. «Quello che conta ora è trovare Tara.»
Lanciai un’occhiata a Rachel e notai sulla sua guancia una lacrima. Davanti a noi adesso c’era il cartello stradale, piccolo, discreto e quasi invisibile. HUNTERSVILLE diceva semplicemente. Rachel asciugò la lacrima, poi si raddrizzò sul sedile. «E allora concentriamoci su quello.»
Il vicedirettore Joseph Pistillo scriveva seduto alla sua scrivania. Era un uomo grosso, dal torace possente, spalle larghe, calvo: il tipo che ti fa venire in mente gli scaricatori di porto e le risse nei saloon, forte ma senza essere costretto a mettere in mostra i muscoli. Doveva avere superato i sessantacinque anni e girava voce che quanto prima sarebbe andato in pensione. L’agente speciale Claudia Fisher fece entrare Tickner nell’ufficio e uscì richiudendosi la porta alle spalle. Tickner si tolse gli occhiali da sole e, non essendo stato invitato a sedere, rimase in piedi con le mani dietro la schiena. Non vi furono saluti, strette di mano, convenevoli, nulla di tutto questo.
«Ho saputo che stai facendo domande in giro sulla tragica morte dell’agente speciale Jerry Camp» disse Pistillo senza alzare lo sguardo.
Nella testa di Tickner si mise a suonare un campanello d’allarme. Che velocità, accidenti, quelle domande lui aveva cominciato a farle solo poche ore prima. «Sì, signore.»
Pistillo continuò a scrivere. «Era stato uno dei tuoi istruttori a Quantico, vero?»
«Sì, signore.»
«Era un bravo istruttore?»
«Uno dei migliori, signore.»
«Il migliore, agente.»
«Sì, signore.»
«Le tue domande sulla sua morte hanno qualcosa a che fare con il rapporto che ti legava all’agente speciale Camp?»
«No, signore.»
Pistillo smise di scrivere, posò la penna e piegò le mani sulla scrivania. «Perché le stai facendo, allora?»
Tickner si mise immediatamente alla ricerca delle trappole e dei trabocchetti che sicuramente si sarebbero celati nella sua risposta. «Perché il nome della vedova è emerso nel corso di un’indagine alla quale sto lavorando.»
«Parli del caso Seidman, l’omicidio con sequestro di una bambina?»
«Sì, signore.»
Pistillo si rabbuiò e sulla fronte gli comparvero altre rughe. «Pensi che esista un rapporto tra la morte accidentale di Jerry Camp e il rapimento di Tara Seidman?»
Attento, pensò Tickner, attento. «È un’ipotesi che devo valutare.»
«No, agente Tickner, non esiste alcun rapporto.»
Tickner non mosse un muscolo.
«Se riesci a collegare Rachel Mills al caso Seidman, va bene, trova pure qualche prova. Ma lascia Jerry Camp fuori da questa storia.»
«Potrebbe esserci un nesso con la morte di Camp.»
«No, non c’è alcun nesso» tagliò corto Pistillo, con una voce che non lasciava adito a dubbi.
«Ma ho bisogno di controllare…»
«Agente Tickner?»
«Sì, signore.»
«Ho già controllato il dossier. A parte questo, a suo tempo ho collaborato di persona alle indagini sulla sua morte, io e Jerry eravamo amici. Capisci?»
Tickner non rispose.
«Per me è chiarissimo che la sua morte è stata un tragico incidente. E questo, agente Tickner» e Pistillo gli puntò contro il petto il suo enorme indice «significa che è chiarissimo anche per te. Mi sono spiegato?»
I due rimasero a guardarsi. Tickner non era un idiota, lavorare per l’FBI gli piaceva, voleva fare carriera e contrariare un potente come Pistillo non gliela avrebbe agevolata. Alla fine fu quindi lui a distogliere lo sguardo.
«Sì, signore.»
Pistillo si rilassò visibilmente e riprese la penna. «Tara Seidman è scomparsa ormai da oltre un anno. Esiste qualche prova che sia ancora viva?»
«No, signore.»
«E allora il caso non è più di nostra competenza.» Ricominciò a scrivere, per far capire al suo agente che doveva andarsene. «Lascia che se ne occupi la polizia locale.»
Il New Jersey è lo stato con la maggiore densità di popolazione, e la cosa non sorprende. Il New Jersey ha città, periferie residenziali, moltissime industrie. Anche questo non sorprende. Il New Jersey è soprannominato lo “stato-giardino” ed è pieno di terreni agricoli. Questo invece sorprende.
Prima ancora che arrivassimo nei pressi di Huntersville, i segni di vita — di vita umana, voglio dire — erano cominciati a scomparire. C’erano poche case. Superammo un grande emporio ma era abbandonato da tempo, come si intuiva dalle assi inchiodate sulle vetrine. Nei cinque chilometri successivi percorremmo sei diverse strade, ma non vidi case. E non superai nemmeno un’auto.
Ci trovavamo in mezzo a un bosco. Feci l’ultima curva e l’auto s’inerpicò lungo una strada di montagna. Dal margine della strada schizzò fuori un cervo, il quarto ormai, ma era così lontano che non corsi il rischio di investirlo. Cominciai a sospettare che il nome Huntersville, città dei cacciatori, non fosse stato scelto a caso.
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