Boris Akunin - La Regina d'Inverno

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La Regina d'Inverno: краткое содержание, описание и аннотация

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12.01.2024 Борис Акунин внесён Минюстом России в реестр СМИ и физлиц, выполняющих функции иностранного агента. Борис Акунин состоит в организации «Настоящая Россия»* (*организация включена Минюстом в реестр иностранных агентов).
*НАСТОЯЩИЙ МАТЕРИАЛ (ИНФОРМАЦИЯ) ПРОИЗВЕДЕН, РАСПРОСТРАНЕН И (ИЛИ) НАПРАВЛЕН ИНОСТРАННЫМ АГЕНТОМ ЧХАРТИШВИЛИ ГРИГОРИЕМ ШАЛВОВИЧЕМ, ЛИБО КАСАЕТСЯ ДЕЯТЕЛЬНОСТИ ИНОСТРАННОГО АГЕНТА ЧХАРТИШВИЛИ ГРИГОРИЯ ШАЛВОВИЧА.


Mosca, 1876: in un parco affollato, un giovane si spara davanti agli occhi di una ragazza che poco prima gli aveva rifiutato un bacio. И solo il primo di un'inquietante catena di suicidi apparentemente inspiegabili. Dietro quei gesti tanto assurdi si nasconde forse un intrigo internazionale, ordito al di fuori della madre Russia? A indagare sul caso и Erast Fandorin, investigatore alle prime armi pieno di entusiasmo e acume. La pista che segue lo condurrа ai quattro angoli della Terra, in una serie di avventure rocambolesche che approderanno a una veritа sconvolgente e imprevedibile. Con Fandorin nasce una indimenticabile figura di detective in grado di rivaleggiare con «classici» quali Poirot, Sherlock Holmes e Montalbano.

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Si sentì bene anche dopo, quando vennero tutti a congratularsi, in modo molto sincero e sentito. Soprattutto gli piacque il governatore generale Vladimir Andreevič Dolgorukij, così grassottello, amabile, con quella bella faccia tonda e i baffi spioventi. Disse di aver udito cose molto lusinghiere sul conto di Erast Petrovič e gli augurava con tutta l’anima un matrimonio felice.

Uscirono sulla piazza, tutt’intorno gridavano, ma non si vedeva bene perché il sole brillava molto luminoso.

Salì con Lizanka sulla carrozza scoperta, c’era fragranza di fiori.

Lizanka si sfilò il lungo guanto bianco e strinse forte il braccio di Erast Petrovič. Furtivamente lui avvicinò il viso al velo di lei e inspirò velocemente l’aroma dei capelli, del profumo e della calda pelle. In quell’attimo (stavano attraversando la porta San Nikita) l’occhio di Fandorin cadde per caso sul sagrato della chiesa dell’Ascensione, e fu come se una fredda mano gli serrasse il cuore.

Fandorin vide due ragazzini di otto-nove anni in lacere uniformi azzurre. Stavano a sedere con aria smarrita fra i mendicanti e cantilenavano con vocine sottili qualcosa di lamentoso. Allungando il collo, i piccoli accattoni accompagnarono curiosi con lo sguardo il sontuoso corteo nuziale.

«Che ti succede, caro?» chiese spaventata Lizanka nel vedere come era impallidito il marito.

Fandorin non rispose.

La perquisizione nella cantina segreta dell’annesso dell’esthernato non diede risultato alcuno. La bomba, di costruzione ignota, aveva prodotto un’esplosione potente, compatta, che quasi non aveva danneggiato l’edificio, mentre aveva completamente distrutto i sotterranei. Dell’archivio non era rimasta traccia. Di lady Esther nemmeno, a meno di considerare un frammento del suo vestito di seta.

Rimasto privo della direttrice e della fonte di finanziamento, il sistema internazionale degli esthernati si sfasciò. In alcuni paesi gli orfanotrofi passarono all’amministrazione dello Stato o di società caritatevoli, ma la parte principale dell’istituzione smise semplicemente di esistere. In ogni caso, entrambi gli esthernati russi furono chiusi per disposizione del ministero dell’Educazione popolare in quanto semenzai di ateismo e idee perniciose. Gli insegnanti partirono, i bambini per lo più si dispersero.

In base all’elenco sequestrato in casa di Cunningham fu possibile identificare diciotto ex allievi dell’esthernato, ma non era poi molto, visto che era impossibile stabilire chi di loro facesse parte dell’organizzazione ‘Azazel’, e chi no. Ciononostante cinque rassegnarono le dimissioni (fra questi il ministro portoghese), due si uccisero, mentre uno (la guardia imperiale brasiliana) fu perfino giustiziato. Una vasta inchiesta internazionale scoprì una quantità di persone tutte in vista e rispettabili, che avevano a loro tempo frequentato gli esthernati. Molti di loro non lo nascondevano affatto, fieri com’erano dell’educazione ricevutavi. È vero che alcuni dei «fanciulli di lady Esther» preferirono nascondersi, sottrarsi all’attenzione insistente della polizia e dei servizi segreti, ma la maggior parte restò al suo posto, tanto non li si poteva accusare di nulla. Tuttavia a partire da quel momento l’accesso alle responsabilità superiori dello Stato venne loro sbarrato, e al momento di nominare ai posti più elevati ripresero, come ai tempi feudali, a rivolgere una attenzione particolare all’estrazione e all’albero genealogico — Dio non voglia che si arrampichi in vetta un qualche «trovatello» (con questo termine battezzarono negli ambienti competenti i pupilli di lady Esther). Del resto il vasto pubblico non si accorse che era stata compiuta una purga, in quanto erano state prese misure precauzionali e segrete scrupolosamente concordate fra i governi. Per un certo periodo circolarono voci circa un complotto internazionale vuoi di massoni, vuoi di ebrei, vuoi degli uni e degli altri messi insieme, e fu fatto il nome del signor Disraeli, ma poi in un qualche modo fu messo tutto a tacere, tanto più che nei Balcani era maturata una crisi da non prendersi alla leggera, che aveva reso febbrile l’intera Europa.

Fandorin per dovere di servizio si trovò costretto a partecipare all’indagine sulla «pratica Azazel», tuttavia manifestò talmente poco zelo, che il generale Mizinov ritenne opportuno affidare al suo giovane, capace collaboratore un altro incarico, di cui Erast Petrovič prese a occuparsi con zelo di gran lunga maggiore. Sentiva di non avere la coscienza del tutto pulita nella vicenda Azazel, e che il suo ruolo era piuttosto ambiguo. Il giuramento dato alla baronessa (e involontariamente violato) gli aveva parecchio rovinato le felici settimane precedenti le nozze.

Ed ecco che doveva proprio succedere che il giorno stesso di queste sue nozze gli cadessero sotto gli occhi le vittime «dell’abnegazione, della prodezza e del lodevole zelo» da lui manifestati (così nel decreto imperiale che ne fissava la premiazione).

Fandorin si avvilì, s’abbattè, ragion per cui all’arrivo nella casa avita di via Malaja Nikitskaja Lizanka prese con decisione ogni cosa nelle sue mani: si appartò col cupo marito nella stanza del guardaroba, disposta di fianco dell’anticamera, e con la massima severità vietò di entrare senza permesso, visto che i familiari avevano abbastanza da fare con gli ospiti che arrivavano sempre più numerosi e andavano intrattenuti fino al banchetto. Dalla cucina emanava una fragranza di aromi divini, i cuochi del ristorante Bazar slavo si erano dati da fare senza un attimo di sosta fin dall’alba; dietro le porte sbarrate della sala da ballo l’orchestra riprovava per l’ultima volta i valzer viennesi; nel complesso, tutto procedeva per il suo verso. Non restava che riportare all’ordine lo sposo demoralizzato.

Accertatasi che il motivo dell’improvvisa malinconia non era affatto il ricordo di un qualche amore tornato in mente a sproposito, la sposa si tranquillizzò appieno e si mise con convinzione all’opera. Alle domande dirette Erast Petrovič rispondeva con un muggito e non faceva che cercare di cambiare argomento, quindi fu necessario mutare tattica. Lizanka carezzò il suo promesso sulla guancia, lo baciò prima sulla fronte, poi sulle labbra, poi sugli occhi, e lui si ammorbidì, si sciolse, tornò completamente sotto il suo controllo. Comunque i giovani sposi non avevano nessuna fretta di riunirsi agli ospiti. Il barone più di una volta era andato nell’anticamera e si era avvicinato alla porta chiusa, aveva perfino tossito con delicatezza, ma non si era deciso a bussare.

Bussare però gli toccò.

«Erast!» lo chiamò Aleksandr Apollodorovic, che subito quel giorno aveva cominciato a dare del tu al genero. «Scusami, amico mio, ma è arrivato per te un corriere militare da Pietroburgo. Per una questione urgente!»

Il barone diede un’occhiata al baldo ufficiale con elmo piumato fermo immobile nell’ingresso. Sottobraccio il corriere teneva un involto quadrato impacchettato con la solita carta grigia sigillata in ceralacca con impressa l’aquila bicipite.

Dalla porta si affacciò tutto rosso il giovane sposo.

«Cercate me, tenente?»

«Il signor Fandorin Erast Petrovič?» si sincerò l’ufficiale con voce chiara, con quel non so che tipico delle guardie.

«Sì, sono io.»

«Un plico segreto urgente dalla Terza sezione. Dove lo metto?»

«Mettetelo pure qui», disse Erast Petrovič facendosi da parte. «Scusate, Aleksandr Apollodorovic» (non gli riusciva ancora di chiamare il suocero per nome).

«Capisco. Il lavoro è lavoro», disse il suocero con un inchino della testa, chiuse la porta alle spalle del corriere militare e ci si mise lui davanti per impedire che, Dio non voglia, entrasse un estraneo.

Ma il tenente posò il plico su una sedia e tolse dal risvolto dell’uniforme un foglietto.

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