Infilò la mano sotto il tavolo, e la porta di rame si aprì dall’interno cigolando.
Lanciando un’ultima occhiata all’immobile donna canuta e facendo tremolare la fiamma della candela, Fandorin con un balzo enorme si gettò nel buio corridoio. Per lo slancio picchiò contro la parete, a quattro zampe salì le scale, con uno scatto si raddrizzò e in due salti attraversò lo studio.
Dieci secondi dopo le porte di quercia dell’annesso per poco non schizzarono via dai cardini per la spinta potente mentre un giovane dal viso stravolto volava a rotta di collo per la gradinata. Attraversò la tranquilla strada ombrosa fino all’angolo e solo lì si fermò, respirando a fatica. Si guardò alle spalle, restò immobile.
I secondi passavano, ma non accadeva nulla. Il sole indorava benignamente le chiome dei pioppi, su una panchina sonnecchiava un gatto rosso, da qualche parte nel cortile chiocciavano delle galline.
Erast Petrovič si portò le mani al cuore che picchiava selvaggiamente. Lo aveva ingannato! Lo aveva menato per il naso come un ragazzino! Mentre lei era uscita dal passaggio segreto!
Urlò di rabbia impotente, e dall’annesso, come a rispondergli, gli fece eco un identico ruggito. Le pareti tremarono, il tetto oscillò in modo appena percettibile, e da qualche parte da sotto terra si udì il boato sotterraneo di un’esplosione.
in cui il nostro eroe dice addio alla giovinezza
Provate a chiedere a un residente qualsiasi dell’antica capitale russa quale sia il momento migliore per convolare a legittime nozze, e di sicuro vi sentirete rispondere che un uomo solido e serio, il quale desideri fin dall’inizio porre la sua vita di famiglia su solide basi, si sposa immancabilmente di settembre, verso la fine del mese, perché questo periodo si addice nel più ideale dei modi a levare gli ormeggi per un viaggio lungo e tranquillo sulle onde del mare oceano della vita. Il settembre moscovita è sazio e pigro, ornato di broccato dorato e colorito del porporino degli aceri, come la moglie in ghingheri di un mercante d’oltremoscova. Se ci si sposa l’ultima domenica di settembre, il cielo sarà immancabilmente pulito, ceruleo, mentre il sole brillerà con costanza e dolcezza; allo sposo non toccherà sudare nel duro colletto inamidato e l’attillato frac nero, né alla sposa morire di freddo in quel biancume di tulle magico, aereo, che nemmeno ha un nome che gli si addica.
Scegliere la chiesa per la celebrazione del rito richiede tutta una scienza a sé. La scelta nella città dalle cupole d’oro è ampia, grazie a Dio, ma proprio per questo di re sponsabilità ancora maggiore. Un vero moscovita sa che va bene sposarsi in via Sretenka, nella chiesa della Dormizione nel quartiere dei tipografi: gli sposi vivranno a lungo e moriranno lo stesso giorno. Per ottenere una figliolanza numerosa la più adatta di tutte è la chiesa di San Nicola alla Croce Grande, che a Kitajgorod forma un quartiere a sé stante. Chi tiene soprattutto a un rifugio tranquillo e alla vita domestica sceglierà la chiesa del Santo Pimen a Starye Vorotniki. Se lo sposo è un militare, ma preferisce porre fine ai suoi giorni non sul campo di battaglia, bensì vicino al focolare di famiglia, nella cerchia della prole e dei domestici, la cosa più sensata di tutte è che pronunci il voto nuziale nella chiesa di San Giorgio in Vspole. E, naturalmente, nessuna madre amorevole permetterà alla figlia di sposarsi alla Varvarka, nella chiesa di Santa Barbara grande martire, perché poi la poveretta passerebbe tutta la vita nei tormenti e nelle sofferenze.
Ma le persone note e d’alto rango non hanno molta libertà di scelta, perché la chiesa deve essere imponente e spaziosa, altrimenti non ci sarà posto per ospiti che rappresentano il fior fiore della società moscovita. E alle nozze, concluse nella cattedrale di San Giovanni Crisostomo, cerimoniosa e pomposa, si era infatti radunato il tout Moscou. I fannulloni che spingevano all’ingresso, dove si erano disposti in fila interminabile gli equipaggi, indicavano la carrozza del governatore generale in corpo e anima, il principe Vladimir Andreevič Dolgorukij, cosa questa che stava a indicare la celebrazione di una cerimonia ai massimi livelli.
In chiesa lasciavano entrare solo su invito personale, eppure vi si trovavano lo stesso duecento e più invitati. Si scorgevano numerose uniformi scintillanti, sia militari che civili, molti vestiti femminili sontuosi e acconciature alte, nastri, stelle, brillanti. Avevano acceso tutti i lampadari e le candele, la celebrazione del rito era iniziata da tempo, e gli invitati erano stanchi. Tutte le donne, indipendentemente dall’età e dalla condizione familiare, si sentivano emozionate e commosse, mentre gli uomini si annoiavano notevolmente e chiacchieravano d’altro a voce bassa. Degli sposi avevano già finito di ciangottare. Il padre della sposa, il consigliere segreto effettivo Aleksandr Apollodorovič von Evert-Kolokolzev, lo conosceva tutta Mosca, la graziosa Elizaveta Aleksandrovna era stata vista ripetutamente ai balli: aveva debuttato già l’anno prima, per questo al centro della curiosità generale c’era lo sposo, Erast Petrovič Fandorin. Di lui si sapeva poco: uno della capitale, passava da Mosca per brevi visite, per faccende importanti, un carrierista, si aggira vicino all’altare del potere sovrano. Il rango, a dire il vero, non l’ha poi tanto elevato, ma è ancora di primo pelo e farà presto a montare in vetta. Mica uno scherzo, a un’età del genere avere già San Vladimiro all’occhiello. Il previdente Aleksandr Apollodorovič sa guardare lontano.
Le donne si intenerivano di più della verde età e della bellezza dei due giovani. Lo sposo era emozionato in modo molto toccante, ora arrossiva, ora impallidiva, aveva confuso le parole del voto; in una parola, era un tesoro. E la sposa, Lizanka Evert-Kolokolzev, sembrava davvero una creatura non terrestre, stringeva il cuore a guardarla. E quel vestito bianco che pareva una nuvola, e quel velo incorporeo, e la coroncina di rose di Sassonia, ogni particolare era proprio come bisognava che fosse. Quando gli sposi bevvero il vino rosso dalla coppa e si scambiarono il bacio, la sposa non si confuse affatto, anzi, sorrise allegramente e sussurrò allo sposo qualcosa che fece sorridere anche lui.
Ed ecco cosa aveva sussurrato Lizanka a Erast Petrovič: «La povera Liza ha cambiato idea, invece di affogarsi si è sposata».
Per tutto il giorno Erast Petrovič si era spaventosamente tormentato dell’attenzione generale e della sua completa dipendenza dagli altri. Si erano fatti vivi moltissimi compagni del ginnasio e «vecchi amici» di suo padre (i quali nel corso dell’ultimo periodo erano stati come inghiottiti dalla terra, e adesso se ne rispuntavano fuori). Prima portarono Fandorin al pranzo d’addio al celibato alla trattoria Praga sull’Arbat, dove non fecero che darsi gomitate, ammiccare e chissà perché esprimere le loro condoglianze. Poi lo riportarono in albergo, venne il parrucchiere Pierre che gli tirò i capelli fino a fargli male, arricciandoli in un ciuffo sontuoso. Non poteva vedere Lizanka fino alla cerimonia in chiesa, e anche questo era un tormento. Tre giorni dopo il suo arrivo da Pietroburgo, dove adesso lo sposo prestava servizio, quasi non aveva visto la fidanzata: Lizanka era sempre occupata con gli importanti preparativi nuziali.
Poi, paonazzo dopo il pranzo d’addio al celibato, Ksaverij Feofilaktovič Grušin, in frac e con il nastro bianco del compare di matrimonio, aveva fatto sedere lo sposo nella carrozza scoperta e lo aveva portato in chiesa. Erast Petrovič aspettava la sposa sui gradini, intanto dalla folla gli gridarono qualcosa, una signorina gli gettò una rosa graffiandogli la guancia. Finalmente portarono Lizanka, che quasi non si vedeva da sotto le onde di tessuto trasparente. Si misero fianco a fianco di fronte al badalone, il coro cantava, il sacerdote diceva: «Dio tu che sei misericordioso e amante dell’uomo» e qualcos’altro ancora, si scambiarono gli anelli, calpestarono il tappetino rituale, e poi Lizanka disse della povera Liza, e allora Erast Petrovič tutto a un tratto si calmò, si guardò intorno, vide le facce, vide l’alta cupola della chiesa, e si sentì bene.
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