Il guardaportone si buttò a terra con un gemito, mentre Erast Petrovič sporse davanti a sé la sua Herstal e premette il grilletto fino a che il percussore non prese a schioccare sui bossoli vuoti. Calò un sordo silenzio. Con dita tremanti Fandorin tirò fuori dalla tasca la scatola e sfregò un fiammifero. Timofej s’era messo come un fagotto informe contro la parete e non si muoveva. Fatti alcuni passi avanti, Erast Petrovič vide Andrew che giaceva lungo disteso. La fiammella tremolante giocò per un po’ negli occhi vitrei dopodiché si spense.
Trovandosi al buio, insegna il grande Fouché, bisogna socchiudere gli occhi, contare fino a trenta perché si restringano le pupille, e solo a quel punto la vista potrà distinguere la minima fonte di luce. Erast Petrovič per sicurezza contò fino a quaranta, aprì gli occhi, e difatti da un punto arrivava una striscia di luce. Allungando davanti a sé il braccio con l’ormai inutile Herstal, fece un passo, un altro, un terzo e vide davanti a sé una porta appena socchiusa, dalla cui fessura si spandeva una debole luce. La baronessa poteva trovarsi solo laggiù. Fandorin si diresse a passo deciso verso la striscia illuminata e spinse energicamente la porta.
Al suo sguardo si aprì una stanzetta modesta con degli scaffali lungo le pareti. In mezzo alla stanza c’era un tavolo con un candelabro di bronzo su cui ardeva una candela che illuminava il viso di lady Esther solcato di ombre.
«Entrate, ragazzo mio», disse lei tranquillamente. «Vi stavo aspettando.»
Erast Petrovič varcò la soglia, e la porta gli si chiuse improvvisamente alle spalle. Rabbrividì, si voltò e vide che la porta non aveva né paletto né maniglia.
«Avvicinatevi», lo invitò piano milady. «Voglio guardare meglio il vostro viso, perché è il viso del destino. Voi siete il ciottolo in cui ho inciampato nella mia strada. Un piccolo ciottolo, in cui era scritto che mi imbattessi.»
Offeso da questo paragone, Fandorin si avvicinò al tavolo su cui vide una liscia scatola di metallo posata davanti alla baronessa.
«Questo cos’è?» chiese.
«Ne parleremo fra un po’. Cosa ne avete fatto di Hebchardt?»
«È morto. Colpa sua: non aveva nessun bisogno di finire sotto la pallottola», rispose poco educatamente Erast Petrovič, cercando di non pensare che nello spazio di pochi minuti aveva ucciso due persone.
«È una grande perdita per l’umanità. Era un uomo strano, posseduto, ma un grande scienziato. Abbiamo un Azazel di meno…»
«Cosa vuol dire Azazel?» si eccitò Fandorin. «Che rapporto c’è fra questo Satana e i vostri orfani?»
«Azazel non è Satana, ragazzo mio. È un grande simbolo di salvatore e illuminatore dell’umanità. Il Signore ha creato questo mondo, ha creato gli uomini e li ha lasciati a se stessi. Ma gli uomini sono così deboli e ciechi che avrebbero trasformato il mondo di Dio in un inferno. L’umanità sarebbe scomparsa da tempo, non fosse stato per certe personalità speciali che compaiono di tanto in tanto fra gli uomini. Non sono demoni e non sono dei, io li chiamo héros civilisateurs. Grazie a ciascuno di loro l’umanità ha compiuto un salto in avanti. Prometeo ci ha dato il fuoco. Mosè ci ha dato il concetto di legge. Cristo ci ha dato un perno morale. Ma il più apprezzabile di tutti questi eroi è il giudaico Azazel, che ha insegnato all’umanità il senso della sua dignità. È detto nel libro di Enoch: ‘Si intrise di amore per gli uomini e svelò loro i segreti conosciuti nei cieli’. Ha regalato all’umanità lo specchio, affinché l’uomo potesse guardarsi alle spalle, ovverosia avesse memoria e comprendesse il suo passato. Grazie ad Azazel l’uomo può occuparsi dei suoi mestieri e difendere la sua casa. Grazie ad Azazel la donna da rassegnata femmina generatrice si è trasformata in un essere umano dotato di eguali diritti, di libertà di scelta, di essere brutta oppure bella, una madre oppure un’amazzone, di vivere per la famiglia oppure per l’umanità tutta intera. Dio si è limitato a dare le carte agli uomini, mentre Azazel insegna loro come giocarle in modo da vincere. Ciascuno dei miei allievi è un Azazel, anche se non tutti lo sanno.»
«Come sarebbe a dire ‘non tutti’?» la interruppe Fandorin.
«Solo alcuni sono iniziati alla causa segreta, solo i più fedeli e inflessibili», spiegò milady. «Questi si prendono sulle loro spalle tutto il lavoro sporco, affinché gli altri miei bambini restino immacolati. ‘Azazel’ è il mio reparto d’avanguardia, che deve gradualmente, a poco a poco, prendere in mano il timone della direzione mondiale. Oh, come fiorirà il nostro pianeta quando avrà a capo i miei Azazel! E questo potrebbe accadere molto presto, fra una ventina d’anni… Gli altri allievi dell’esthernato, quelli che non sono iniziati nel segreto di ‘Azazel’, entrano semplicemente nella vita seguendo la loro strada, portando all’umanità un vantaggio inestimabile. E io mi limito a seguire i loro successi, mi rallegro delle loro conquiste e so che, in caso di necessità, nessuno di loro negherà un aiuto alla loro madre. Ah, cosa ne sarebbe di loro senza di me? Cosa ne sarebbe del mondo? Ma fa niente, ‘Azazel’ è vivo e porterà la mia missione fino in fondo.»
Erast Petrovič si agitò: «Li ho visti io i vostri Azazel, i vostri ‘fedeli e inflessibili’! Morbid e Franz, Andrew e quello con gli occhi di pesce, che ha ammazzato Achtyrzev! Sono loro la vostra guardia, milady? Sono loro i più degni?»
«Non solo loro. Ma anche loro. Ricordatevi, amico mio, vi ho detto che non a ciascuno dei miei bambini è dato trovare la propria strada nel mondo contemporaneo, perché hanno un talento che appartiene a un remoto passato oppure che si rivelerà necessario in un lontano futuro? Avviene questo, che da allievi del genere si ottengono i più fedeli e devoti esecutori. Alcuni dei miei bambini sono il cervello, altri le braccia. Mentre l’uomo che ha fatto fuori Achtyrzev, non era uno dei miei figli. Era un nostro alleato momentaneo.»
Le dita della baronessa accarezzarono distrattamente la superficie lucida della scatola, dopodiché premettero come per caso un piccolo bottone tondo.
«È tutto, caro giovane. Ci restano ancora due minuti. Daremo addio alla vita insieme. Purtroppo non posso lasciarvi fra i vivi. Danneggereste i miei figli.»
«Che cos’è questo?» gridò Fandorin, e afferrò la scatola, che risultò assai pesante. «Una bomba?»
«Sì», gli sorrise partecipe lady Esther. «Un meccanismo a orologeria. L’invenzione di uno dei miei ragazzi di talento. Scatolette del genere ce ne sono a trenta secondi, a due ore, perfino a dodici ore. Non è possibile aprirle per arrestarne il meccanismo. Questa mina è calcolata a centoventi secondi. Io perirò insieme al mio archivio. La mia vita è finita, ma quanto sono riuscita a realizzare non è poi così poco. La mia missione continuerà, e si ricorderanno ancora di me con una buona parola.»
Erast Petrovič provò a sollevare il bottone con le unghie, ma non ottenne nulla. Allora si gettò verso la porta e prese a palparla con le dita, a batterla coi pugni. Il sangue gli pulsava nelle orecchie mentre contava il battito del tempo.
«Lizanka!» gemette disperato Fandorin ormai perduto. «Milady! Non voglio morire! Sono giovane! Sono innamorato!»
Lady Esther lo guardò con compassione. In lei stava chiaramente avvenendo una lotta.
«Promettetemi che la caccia ai miei bambini non diventerà lo scopo della vostra vita», gli disse a voce bassa, guardando Erast Petrovič negli occhi.
«Lo giuro!» esclamò lui, pronto in quel momento a promettere qualsiasi cosa.
Dopo una pausa tormentosa, infinitamente lunga, milady si rischiarò in un sorriso morbido, materno: «D’accordo. Vivete, ragazzo mio. Ma sbrigatevi, avete quaranta secondi».
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