Laura Mancinelli - I dodici abati di Challant

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I dodici abati di Challant: краткое содержание, описание и аннотация

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Sospesi tra storia e invenzione in un Medioevo che sembra vero, sono qui raccolti in un unico volume tre romanzi di Laura Mancinelli, in cui l'autrice approda a una visione fantastica e affettuosamente ironica della tradizione e della società medioevale: "I dodici abati di Challant", dove, in una cornice di ironia mondana e gaudente, dodici monaci ricevono l'incarico di sorvegliare un feudatario che eredita un castello con la clausola di mantener fede a un maligno obbligo di castità; "Il miracolo di Santa Odilia", immagine della vita che si afferma in chiave religiosa, ma non trascendente, attraverso la storia di due Odilie: la prima devota e pia, la seconda giovane e bella; e infine, conclusione ideale di questa metafora ideale, "Gli occhi dell'imperatore", dove una contessa piemontese, un cavaliere-musico-poeta e l'imperatore Federico II, ormai prossimo alla morte, partecipano a un affascinante percorso di avventure e sentimenti, che è anche un intreccio di entusiasmo, rassegnazione e senso del destino.

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Fece alcuni assaggi fingendo noncuranza, si molleggiò sulla linea della schiena, prese la rincorsa e finì a piedi fermi scivolando sul pavimento; ripeté l'esercizio in senso inverso andandosi a fermare proprio a pochi centimetri dai baffi del rivale che fu costretto ad aprire gli occhi già quasi chiusi nel sonno; allora giudicò che fosse venuto il momento di annichilire il grassone con le sue prove di abilità. Saltò sul tavolo, finse di gettarsi giù e s'aggrappò al bordo con una delle zampe anteriori, si spenzolò nel vuoto oscillando, ritornò di slancio sul tavolo e ripeté l'esercizio, si gettò a terra e fece una capriola, rimbalzò sul tavolo, prese la rincorsa verso il lume e si fermò a pochi centimetri, poi si gettò di sotto e riprese ad oscillare appeso ad una sola zampa. Intanto il grassone, sempre immobile davanti al camino, anziché raccogliere la provocazione, dopo averlo guardato senza interesse per un po', volse la testa dall'altra parte e si mise a dormire. Quello che accadde allora si spiega solo con una logica tipica del gatto nevrotico. Mirò rimase ad oscillare ancora un poco, appena il tempo di vincere la perplessità a cui l'aveva indotto l'atteggiamento dell'avversario, poi fece un lungo balzo ben aggiustato e giunse ad unghie sfoderate sulla schiena del dormiente. Il quale si svegliò di scatto stridendo, sbatté a terra Mirò e ve lo tenne inchiodato con una zampa. Riacquistata la calma, stava meditando come punire l'importuno quando la marchesa, che si era precipitata di corsa, gli tolse Mirò di sotto le zampe e lo portò in salvo.

- Vi chiedo scusa, signora, - disse alla pretessa; - è un gatto un po' complessato perché ha sofferto molto da piccolo. - E le due donne ripresero la loro conversazione, mentre Mirò, più avvilito che mai, andava a recuperare la dignità perduta appollaiandosi in una coppa d'argento cesellato in cui la marchesa soleva, nell'estate, tenere i fiori del gelsomino per profumare la stanza.

- Vedete, marchesa, non vi chiederei questo favore se la "Fin du monde" non fosse così isolata da rendere impossibile ad uno studioso di quel genere ogni specie di attività ed ogni contatto col mondo. Vi rendete conto che cosa vuol dire lasciare la scuola di Salerno nel fior degli anni per un sospetto di eresia? e finire in mezzo a queste montagne? - Me ne rendo conto, non dubitate, - rispose la marchesa, - e vi ripeto che non c'è nessun problema. Il castello è grande e possiamo senza alcuno scomodo ospitare questo giovane studioso: anzi sarà un piacere per noi conoscerlo e conversare con lui. Quanto al sospetto di eresia, non preoccupatevi: gli abati che avete visto girare per questo castello hanno altro a cui pensare...

- Allora siamo intese, marchesa: quando domani monsignor Venafro mi accompagnerà a casa, condurrà qui messer Goffredo da Salerno.

- E sarà il benvenuto, non dubitate, - rispose la marchesa.

Amore e morte

Il giorno dopo, nelle prime ore del pomeriggio, Venafro entrava nella corte di ritorno dalla "Fin du monde" a cavallo del suo bel Rabano e con la solita slitta legata ai finimenti. La marchesa stessa, avvertita dai servi, scese nella corte a riceverlo. Nella slitta sedeva un uomo di mezz'età, dal volto bello, ricoperto in parte da una folta barba; lisci capelli castani ricoprivano parte della fronte sfuggendo al pesante cappuccio del mantello. Si scoprì il capo di fronte alla marchesa e le baciò in silenzio la mano. I servi intanto scaricavano una pesantissima cesta piena di libri. Erano i libri su cui Goffredo da Salerno conduceva i suoi studi. Ma alla prima cesta ne seguì un'altra, ancora più grande e ancora più pesante.

- Questo, - disse Venafro, - è un dono della pretessa. Un bellissimo dono, di cui son certo che tutti noi godremo. - Così dicendo toglieva la pezza di tela che copriva la cesta. Agli occhi dei presenti apparvero bellissimi pezzi degli scacchi, torri, alfieri, cavalli e tutto l'occorrente, scolpiti in prezioso legno d'ebano e di rosa, proprio come la marchesa li aveva desiderati.

- Ma sono splendidi, Venafro! - gridò la marchesa coprendosi con le mani la bocca quasi a soffocare la gioia e lo stupore; e poi andava toccando ed estraendo dalla cesta i pezzi, che erano di bellissima fattura e di grandi dimensioni, raggiungendo ognuno il mezzo metro d'altezza.

- La pretessa ci ha fatto uno splendido dono, Venafro! come potremo mai sdebitarci con lei? - Ecco, veramente, madonna... c'è un'altra cosa che non avete ancora visto e che la pretessa vi prega di accettare e tenere con voi. Se la "Fin du monde" non fosse troppo solitaria, l'avrebbe tenuto con lei, lassù. Ma teme che sarebbe cresciuto troppo selvatico. - Mentre parlava aveva tratto fuori dalla slitta un fagotto avvolto in uno scialle e andava svolgendolo delicatamente. La marchesa ebbe un sussulto: - Ma Venafro! questo è un bambino! - Si, signora, è un bambino - e dall'apertura dello scialle usciva intanto una testa bionda che guardava curiosamente intorno, poi una manina che s'allungava cautamente ad afferrare alcuni peli dei baffi di Venafro e li tirava con tutta forza.

- Si chiama Cicco, signora. Nemmeno la pretessa sa chi sia. Dovrebbe avere dai due ai tre anni: gliel'hanno portato che era piccolissimo.

Vi raccomanda di averne cura e vi fa sapere che verrà a vederlo ogni tanto, - e così dicendo Venafro cercava di difendere i suoi baffi girando la testa dall'altra parte.

I regali della saggia pretessa piacquero molto; a qualcuno piacquero più gli scacchi, a qualcun altro più il bambino. A madonna Maravì piacque soprattutto Goffredo da Salerno. Anzi non l'aveva ancora visto che già ne era innamorata. L'aveva sentito parlare e aveva riconosciuto la lingua elegante che parlano a Salerno le persone di cultura. Quando poi lo vide, la sua persona le piacque ancor più che la sua parlata.

Nel complesso Cicco andava d'accordo con tutti, tranne con Mirò: i due litigavano di cuore come litigano spesso le persone che si amano ma non vogliono capirlo. Così si rubavano le pigne da giuocare e i panini al miele che madonna Camilla faceva cuocere apposta per loro; talvolta addirittura si picchiavano e poi Mirò si nascondeva a consumare in silenzio il suo dolore e Cicco correva piangendo dalla marchesa o da qualche damigella o dallo stesso Venafro per cui aveva una gran predilezione.

L'unico che ebbe a ridire sulla presenza di Cicco fu l'abate Foscolo, prete saccente e autoritario che vedeva nel bambino un figlio del peccato.

- Marchesa, - disse un giorno affrontando l'argomento, - non potete tenere in casa vostra uno che non sapete chi sia.

- Perché? - chiese madonna Bianca.

- Perché non sapete chi sia.

- A maggior ragione lo tengo, - rispose la marchesa, - pensate che potrebbe essere un principe, anzi dev'essere un principe di sicuro; oppure il figlio del papa, oppure il figlio di qualche santo importante. - L'abate Foscolo interruppe questo discorso da cui capiva di non poter ricavare molto. Si limitò a guardare il bambino con occhi malevoli, ma lui non se ne accorse perché non aveva nessun motivo di guardare l'abate Foscolo. Accadde anzi ben presto una cosa incredibile: Cicco e Mirò diventarono amici: giuocavano insieme con le pigne e mangiavano insieme i pasticcini di madonna Camilla e tale fu il loro rapporto che divennero ben presto inseparabili.

Era il mese di febbraio e il sole cominciava a riscaldare la neve. La marchesa riprese la sua antica abitudine di uscire a cavallo nelle ore tiepide del pomeriggio e Venafro le era spesso compagno in queste cavalcate. La marchesa sceglieva di preferenza il suo cavallo Ippomele e Venafro doveva trattenere con la briglia il focoso Rabano perché portava seduto davanti a sé, ben avvolto in uno scialle di lana o in una coperta di pelliccia, il piccolo Cicco, mentre la marchesa portava sul suo cavallo il piccolissimo Mirò. Ma intanto un dramma maturava tra le mura del castello.

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