Janet Evanovich - Bastardo numero uno

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A corto di soldi, Stephanie Plum rimedia un lavoro, nella società di assicurazioni del cugino, come “cacciatrice di teste”, con il compito di consegnare alla polizia tutti gli arrestati rilasciati su cauzione che non si sono presentati in tribunale per il processo. Il suo primo caso è però quello di un agente di polizia ingiustamente accusato di omicidio, un ex compagno di liceo di Stephanie, al cui Anche pubblicato come “Tutto per denaro”.

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«Probabilmente è come guidare in autostrada», ribatté Connie. «Ci si abitua. Vivere nel New Jersey è una sfida, con i rifiuti tossici, gli autotreni e gli schizofrenici armati. Voglio dire, che cosa ti importa se un pazzo ti spara?»

Abbastanza affine alla mia filosofia, in teoria. E i diecimila dollari erano maledettamente allettanti. Avrei potuto pagare i creditori e raddrizzare la mia vita. «Okay», decisi. «Ci sto.»

«Prima devi parlare con Vinnie», disse Connie girandosi sulla sedia verso l’ufficio di Vinnie. «Ehi, Vinnie», gridò. «C’è da concludere un affare.»

Vinnie aveva quarantacinque anni ed era alto un metro e settanta senza gli alzatacchi. Aveva un corpo snello dalle ossa minute che lo faceva assomigliare a un furetto. Portava scarpe a punta e gli piacevano le donne con i seni a punta, oltre ai giovanotti dalla pelle scura. Guidava una Cadillac Seville.

«Steph accetta il lavoro di caccia ai latitanti», gli spiegò Connie.

«Niente da fare, troppo pericoloso», replicò lui. «Quasi tutti i miei agenti lavoravano nella polizia. Occorre sapere qualcosa sulle procedure legali.»

«Posso imparare», ribattei.

«Allora prima impara e poi torna.»

«Ho bisogno di lavorare subito.»

«Non è un problema mio.»

Era il momento di mostrarsi decisa… «Vedrai che diventerà anche un problema tuo, Vinnie. Farò una lunga chiacchierata con Lucilie.»

Lucilie era la moglie di Vinnie e l’unica persona alla cittadella a non sapere dei gusti sessuali di Vinnie. Lucilie teneva fermamente gli occhi chiusi e non era mio compito aprirglieli. Naturalmente, se l’avesse chiesto però…

«Vorresti ricattarmi? Me, tuo cugino?»

«Sono tempi disperati.»

Lui si rivolse a Connie. «Dalle qualche caso civile. Magari un’indagine che possa svolgere al telefono.»

«Voglio questo», dichiarai puntando il dito sulla scheda che giaceva sulla scrivania di Connie. «Voglio il caso da diecimila dollari.»

«Scordatelo. Si tratta di omicidio. Non avrei mai dovuto garantire la cauzione, ma lui era del quartiere e io ero dispiaciuto per sua madre. Dammi retta, non hai bisogno di cacciarti in un guaio di questo tipo.»

«Mi serve il denaro, Vinnie. Dammi la possibilità di portar dentro quel tipo.»

«Col cavolo», tagliò corto Vinnie. «Non si farà acciuffare. Io sono fuori di centomila dollari e non ho intenzione di mandargli dietro una dilettante.»

Connie roteò gli occhi verso di me. «Lui non ci rimette un bel niente. C’è di mezzo una grossa assicurazione.»

«Dammi una settimana, Vinnie», insistetti. «Se non lo prendo in una settimana, puoi affidare il caso a qualcun altro.»

«Non ti do neanche mezz’ora.»

Tirai un profondo sospiro e mi chinai verso mio cugino, sussurrandogli all’orecchio: «So tutto di madame Zaretski, delle fruste e delle catene. So tutto dei ragazzini e il resto».

Vinnie non parlò. Si limitò a serrare le labbra finché divennero bianche. Compresi di averlo in pugno. Lucilie sarebbe diventata matta se avesse saputo certi particolari. Lo avrebbe riferito a suo padre, Harry detto «il Martello», che avrebbe tagliato il pene di Vinnie.

«Chi devo cercare?» domandai a mio cugino.

Lui mi diede il dossier. «Joseph Morelli.»

Il mio cuore diede un balzo. Sapevo che Morelli era stato coinvolto in un omicidio. La notizia si era sparsa in tutta la cittadella e i dettagli della sparatoria avevano occupato la prima pagina del Trenton Times. POLIZIOTTO UCCIDE UOMO DISARMATO. Era successo più di un mese prima, poi altre notizie, come l’esatto ammontare del montepremi della lotteria, avevano relegato in secondo piano la vicenda di Morelli. In assenza di ulteriori informazioni avevo concluso che la sparatoria aveva avuto luogo mentre era in servizio. Non avevo capito che Morelli era stato accusato di omicidio.

A Vinnie non sfuggì la mia reazione. «Dall’espressione della tua faccia, si direbbe che lo conosci.»

Annuii. «Gli ho venduto un cannolo quando ero al liceo.»

Connie grugnì. «Cara, metà delle donne del New Jersey gli hanno venduto un cannolo.»

2

Comperai una lattina di acqua tonica da Fiorello’s e la bevvi mentre mi dirigevo alla mia auto. Salii, slacciai gli ultimi due bottoni della camicia di seta rossa e, per il gran caldo, mi tolsi i collant. Poi aprii il dossier di Morelli e studiai prima le immagini: foto segnaletiche d’archivio, un’istantanea che lo ritraeva in giubbotto di pelle e jeans, e una posa ufficiale in giacca e cravatta, chiaramente tratta da una pubblicazione della polizia. Non era cambiato molto. Un po’ più magro, forse. Con l’ossatura facciale più marcata e qualche ruga intorno agli occhi. Una cicatrice, sottile come un foglio di carta, gli tagliava il sopracciglio destro, tanto che la palpebra si abbassava leggermente: un effetto inquietante, minaccioso.

Morelli aveva approfittato della mia ingenuità non una volta, ma due. Dopo l’episodio sul pavimento della pasticceria, non mi aveva più chiamato, né mandato una cartolina e neppure un saluto. E il peggio era che io avrei voluto che mi chiamasse. Mary Lou Molnar aveva ragione. Joe Morelli era irresistibile.

Acqua passata, conclusi fra me. Negli ultimi undici anni l’avevo rivisto tre o quattro volte, e sempre a distanza. Morelli faceva parte della mia infanzia e i miei ricordi d’infanzia non trovavano spazio nel presente. Avevo un lavoro da svolgere. Chiaro e semplice. Non cercavo di vendicare vecchie offese. Trovare Morelli non aveva niente a che vedere con la vendetta. Significava solo racimolare i soldi dell’affitto. Sicuro. Ecco perché improvvisamente sentivo quel nodo alla bocca dello stomaco.

Secondo le informazioni sul contratto a garanzia della cauzione, Morelli abitava in un complesso residenziale appena fuori la Route 1. Sembrava il luogo adatto da dove cominciare a cercare. Dubitavo di trovare Morelli in casa, ma potevo chiedere ai vicini e controllare se ritirava la posta.

Misi da parte il dossier e con una certa riluttanza calzai di nuovo le scarpe. Poi girai la chiave dell’accensione. Niente. Diedi un pugno sul cruscotto e tirai un sospiro di sollievo quando il motore si accese.

Dieci minuti più tardi entravo nel parcheggio del residence di Morelli. Gli edifici in mattoni erano tutti a due piani. Ognuno era dotato di portici di collegamento. Otto appartamenti davano su ciascun portico: quattro sopra e quattro sotto. Spensi il motore e feci scorrere i numeri degli appartamenti. Morelli ne aveva uno al pianterreno, sul retro.

Rimasi seduta in macchina per un po’, mi sentivo stupida e impacciata. Mettiamo che Morelli sia in casa, che cosa faccio? Minaccio di raccontare tutto a sua madre se non viene via con le buone. Era accusato di omicidio: aveva molto da perdere. Non pensavo che mi avrebbe fatto del male, ma poteva rivelarsi un’esperienza terribilmente rischiosa. Il rischio, tuttavia, non mi aveva mai impedito di gettarmi a capofitto in un numero incredibile di progetti sballati… come il mio sciagurato matrimonio con Dickie Orr, quel farabutto. Sull’onda dei ricordi, il mio viso si contrasse in una smorfia involontaria: era difficile credere che avessi davvero sposato un uomo come Dickie.

Okay, conclusi, lascia perdere Dickie. Questo è il caso Morelli. Controlla la cassetta delle lettere e il suo appartamento. Se avevo fortuna, o sfortuna secondo i punti di vista, e lui avesse aperto la porta, avrei borbottato qualcosa fra i denti e me ne sarei andata. Dopo di che avrei chiamato la polizia lasciando agli agenti il compito di arrestarlo.

Attraversai a grandi passi il piazzale asfaltato ed esaminai attentamente la fila delle cassette della posta incassate nel muro. Erano tutte piene di buste, e quella di Morelli più delle altre. M’incamminai per il portico e bussai alla sua porta. Nessuna risposta. Ma che bella sorpresa! Tornai a bussare e aspettai. Silenzio. Girai sul retro dell’edificio e contai le finestre: quattro nell’appartamento di Morelli, quattro in quello dietro al suo. Morelli aveva abbassato la tenda avvolgibile, ma mi avvicinai lo stesso per sbirciare tra un’estremità della tenda e il muro interno. Se la tenda si fosse alzata all’improvviso, me la sarei fatta sotto. Non accadde, ma sfortunatamente non riuscii a scorgere nulla oltre la tenda. Tornai verso il portico per dare un’occhiata agli altri tre appartamenti. Due erano apparentemente deserti. Il terzo era occupato da una signora anziana che abitava lì da sei anni e non aveva mai visto Morelli. M’ero cacciata in un vicolo cieco.

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