Janet Evanovich - Bastardo numero uno

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A corto di soldi, Stephanie Plum rimedia un lavoro, nella società di assicurazioni del cugino, come “cacciatrice di teste”, con il compito di consegnare alla polizia tutti gli arrestati rilasciati su cauzione che non si sono presentati in tribunale per il processo. Il suo primo caso è però quello di un agente di polizia ingiustamente accusato di omicidio, un ex compagno di liceo di Stephanie, al cui Anche pubblicato come “Tutto per denaro”.

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«Sei mesi! E io non lo sapevo. Tua madre non sapeva che eri per strada.»

«Non sono per strada, ho avuto qualche impiego a termine. Come archivista e cose del genere.» Però scivolavo sempre più giù. Il mio nome figurava presso ogni ditta in cerca di personale nella zona di Trenton e leggevo religiosamente tutte le inserzioni. Non ero schizzinosa, ma il mio futuro non si presentava roseo. Ero troppo qualificata per un primo impiego e mancavo d’esperienza come manager.

Mio padre mise un’altra fetta d’arrosto nel piatto. Lui aveva lavorato per trent’anni alle poste e aveva optato per il prepensionamento. Ora guidava un taxi part-time.

«Ieri ho visto tuo cugino Vinnie», disse. «Sta cercando qualcuno che gli riordini lo schedario. Dovresti fare un salto da lui, o telefonargli.»

Proprio la carriera che speravo… un lavoro di archivio per Vinnie. Dei miei parenti era il meno simpatico. Vinnie era un verme, un maniaco sessuale, un bugiardo. «Quanto paga?» m’informai.

Papà si strinse nelle spalle. «Il minimo.»

Magnifico. Una posizione assai desiderabile per una che era già alla disperazione. Un principale disgustoso, uno sporco impiego, uno stipendio da fame. Le possibilità di compiangermi erano infinite.

«E poi è vicino», aggiunse mia madre. «Potresti venire a casa per pranzo tutti i giorni.»

Annuii distrattamente, pensando che presto mi sarei conficcata uno spillone in un occhio.

Il sole filtrava attraverso lo spiraglio tra le tende della mia camera da letto; il condizionatore in soggiorno ronzava sinistro, annunciandomi un’ennesima mattinata soffocante mentre le lancette dell’orologio mi dicevano che erano le nove. Il giorno era cominciato senza di me.

Rotolai giù dal letto e andai in bagno. Da qui mi trascinai in cucina e mi piantai davanti al frigorifero sperando che le fate mi avessero fatto una visita durante la notte. Aprii lo sportello e fissai gli scomparti vuoti: il cibo non si era materializzato per magia dalle macchie nel contenitore del burro o dai rimasugli avvizziti che giacevano sul fondo dello scomparto della frutta e verdura. Solo mezzo barattolo di maionese, una bottiglia di birra, una pagnotta di pane integrale ammuffito, un piede di lattuga congelato e raggrinzito, ricoperto da una poltiglia scura e dalla plastica, e un barattolo di noccioline per criceti si frapponevano fra me e la fame. Mi chiesi, alle nove del mattino, se fosse troppo presto per bere una birra. Naturalmente a Mosca erano le quattro del pomeriggio. Bene.

Bevvi la metà della birra e mi avvicinai tetra alla finestra del soggiorno. Tirai le tende e guardai giù nel parcheggio. La mia Miata era sparita. Lenny aveva colpito presto. Nessuna sorpresa, eppure sentivo un nodo alla gola. Ora ero ufficialmente insolvente.

E come se non bastasse, avevo promesso a mia madre, poco prima del dessert, che sarei passata da Vinnie.

Mi trascinai sotto la doccia da cui emersi dopo mezz’ora di pianto dirotto. Infilai i collant, indossai un abito ed eccomi pronta a compiere il mio dovere filiale.

Rex, il mio criceto, dormiva ancora nella cassetta della gabbia sul banco della cucina. Lasciai cadere alcune noccioline nella bacinella e cercai di attirare la sua attenzione. Rex aprì gli occhietti neri e ammiccò. Poi contrasse i baffi, annusò e rifiutò le noccioline. Non potevo dargli torto. Le avevo assaggiate a colazione il giorno prima e non erano certo il massimo.

Chiusi la porta dell’appartamento e percorsi tre isolati lungo la St. James fino al negozio di macchine usate Blue Ribbon. Nello spiazzo c’era una Nova da cinquecento dollari che pregava di essere comprata. La ruggine che incrostava la carrozzeria e le tracce di un numero infinito di incidenti la rendevano poco riconoscibile come macchina, molto meno di una Chevy. ma la ditta Blue Ribbon era disposta a cedermela in cambio del televisore e dell’aspirapolvere. Con il frullatore e il forno a microonde pagai le tasse di registrazione e circolazione.

Guidai la Nova fuori dal piazzale e andai direttamente da Vinnie. M’infilai in un posto libero all’angolo tra la Hamilton e la Olden, sfilai la chiave dell’accensione e aspettai che la macchina si raffreddasse. Recitai una breve preghiera perché non mi vedesse nessuno che conoscevo; aprii la portiera e percorsi rapidamente il breve tratto sino all’ufficio. Sull’insegna blu e bianca una scritta: AGENZIA VINCENT PLUM — GARANZIE PER CAUZIONI. Sotto, a lettere più piccole, si garantiva un servizio di ventiquattr’ore su ventiquattro su tutto il territorio nazionale. Situato fra il Tender Loving Care Dry Cleaners e Fiorello’s Deli , Vincent Plum si occupava di liti domestiche, di tumulti, furti d’auto e taccheggiamenti. L’ufficio era piccolo e impersonale, due stanze con pannelli di legno alle pareti e un tappeto color ruggine da pochi soldi sul pavimento. Nella sala d’attesa, contro una parete, un divano in stile moderno e una scrivania di metallo, con un telefono e un computer.

La segretaria di Vinnie sedeva alla scrivania, concentrata con la testa china mentre faceva passare un mucchio di schede. «Sì?»

«Sono Stephanie Plum. Vorrei vedere mio cugino, Vinnie.»

«Stephanie Plum.» La donna alzò la testa. «Sono Connie Roselli. Tu andavi a scuola con la mia sorellina minore, Tina. Gesù, non sarai qui per chiedere un prestito per la cauzione, spero.»

La riconobbi. Era la versione di Tina invecchiata, con la vita e la faccia appesantite. Aveva una gran massa di capelli neri cotonati, una splendida carnagione olivastra e una leggera peluria sopra il labbro superiore.

«Ho bisogno di quattrini», spiegai. «So che Vinnie ha bisogno di qualcuno per l’archivio.»

«Quel posto è appena stato assegnato e, detto fra noi. non hai perso niente. Un lavoraccio, al minimo stipendio, e bisogna passare tutta la giornata a scorrere le lettere dell’alfabeto. Secondo me, se proprio ti va di trascorrere tanto tempo in ginocchio, tanto vale cercare un lavoro pagato meglio. Capisci quel che voglio dire?»

«L’ultima volta che sono stata in ginocchio cercavo le lenti a contatto.»

«Ascolta, se hai bisogno di un lavoro, perché non chiedi a Vinnie di lasciarti rintracciare i latitanti? Si guadagna bene.»

«Quanto?»

«Il dieci per cento della garanzia per la cauzione.» Connie prese una scheda dal cassetto della scrivania. «Questo l’abbiamo ricevuto ieri. La cauzione era stata stabilita in centomila dollari e lui non s’è presentato all’udienza. Se lo trovi e lo porti dentro, ti prendi diecimila dollari.»

Appoggiai una mano sulla scrivania per reggermi in piedi. «Diecimila dollari per trovare un tizio? Dov’è il trucco?»

«Ecco, qualche volta non vogliono farsi trovare e ti sparano. Ma succede raramente.» Connie sfogliò il dossier. «Questo è uno di qui. Morty Beyers ha iniziato a seguire il caso, perciò il lavoro preliminare è già stato fatto. Abbiamo le foto e tutto il resto.»

«Che cosa è capitato a Morty Beyers?» m’informai.

«Appendicite acuta. È successo alle undici e mezzo di ieri sera. Adesso è al St. Francis con un tubo di drenaggio nel fianco e un tubicino nel naso.»

Non volevo augurare sfortuna a Morty Beyers, ma cominciavo a eccitarmi alla prospettiva di prendere il suo posto. Mi allettava il denaro e l’impiego aveva una sua impronta decisa. D’altra parte, acchiappare i latitanti sembrava un’impresa azzardata e io ero abbastanza vigliacca quando si trattava di arrischiare la pelle.

«A mio avviso non dovrebbe essere difficile scovare questo individuo», riprese Connie. «Potresti andare a parlare con sua madre, e se la cosa si complica puoi sempre tirarti indietro. Che cos’hai da perdere?»

Solo la vita. «Non lo so. Non mi va la faccenda delle sparatorie.»

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