Presi l’ascensore, barcollai per il breve tratto del corridoio e deposi le borse sullo zerbino mentre cercavo la chiave. Aprii la porta, accesi la luce, portai le borse in cucina e tornai indietro per chiudere la porta. Sistemai la roba separando le provviste che andavano nella dispensa da quelle per il frigorifero. Era bello avere di nuovo del cibo in casa. Fare incetta di viveri era parte integrante del mio patrimonio genetico. Le casalinghe della cittadella erano sempre pronte per le emergenze, accumulando carta igienica e scatolame nel caso in cui una bufera di neve dovesse ripetersi.
Perfino Rex era tutto eccitato mentre osservava l’attività in cucina dalla sua gabbietta, le zampette che premevano con forza sul vetro.
«Sono in arrivo giorni migliori, Rex», annunciai dandogli una fettina di mela. «D’ora in poi mangerai sempre mele e broccoli.»
Al supermercato avevo comperato una pianta della città, la aprii sul tavolo mentre mi sedevo per cenare. L’indomani avrei eseguito una ricerca accurata del furgone blu. Avrei ispezionato la zona intorno alla palestra e avrei controllato l’indirizzo di Ramirez. Tirai fuori l’elenco telefonico e cercai Ramirez. In elenco ce n’erano ventitré. Tre con il nome che iniziava con la B. Composi il primo numero e una donna rispose al quarto squillo. In sottofondo sentivo piangere un bambino.
«Benito Ramirez, il pugile, abita lì?» chiesi.
La risposta mi giunse in spagnolo e non suonò cordiale. Mi scusai per il disturbo e riappesi. Al secondo numero rispose Ramirez in persona ma non era quello che cercavo. Le tre B non portarono da nessuna parte. Conclusi che non valeva la pena di chiamare gli altri numeri. In un certo senso ero contenta di non aver trovato il pugile. Non so che cosa gli avrei detto. Niente, suppongo. Cercavo un indirizzo, non una conversazione. E la verità era che il solo pensiero di Ramirez mi dava i brividi. Avrei potuto piazzarmi alla palestra e tentare di seguire il pugile quando usciva, ma la Cherokee rossa non sarebbe certo passata inosservata. Forse Eddie poteva aiutarmi. I poliziotti trovano sempre il modo di ottenere un indirizzo. Chi altri conoscevo che avesse accesso agli indirizzi? Marilyn Truro lavorava alla Motorizzazione. Se avessi avuto un numero di targa, probabilmente avrebbe potuto risalire all’indirizzo. Oppure potevo chiamare la palestra. No, troppo facile.
Che diavolo, mi dissi. Provaci. Purtroppo avevo strappato la pagina con la pubblicità della palestra dal mio elenco, così chiamai il servizio telefonico. Ringraziai l’operatore e feci il numero che mi aveva dato. Dissi al tipo che mi rispose che dovevo incontrare Benito, ma che avevo perso l’indirizzo.
«320 Polk», rispose lui. «Non so il numero di appartamento, ma so che è al secondo piano. In fondo al corridoio. C’è il nome sulla porta, non può sbagliare.»
«Grazie di cuore», dissi.
Spinsi il telefono all’estremità del tavolo ed esaminai la mappa per localizzare Polk. La cartina indicava che si trovava a tre isolati dalla palestra e che correva parallela a Stark Street. Feci un cerchio con un evidenziatore giallo intorno all’indirizzo. Ora c’erano due posti dove cercare il furgone. Avrei parcheggiato e sarei andata a piedi, se necessario, percorrendo vicoli e chiedendo nei garage. Era la prima cosa da fare l’indomani mattina se non saltava fuori niente, sarei tornata a occuparmi dei casi che Connie mi aveva affidato. Giusto per mettere insieme il denaro dell’affitto.
Controllai tutte le finestre per assicurarmi che fossero ben chiuse, poi tirai le tende. Desideravo fare la doccia e andare a letto presto senza trovarmi davanti visitatori inaspettati.
Riordinai l’appartamento cercando di non far caso agli spazi vuoti dove prima c’erano gli elettrodomestici e di ignorare i segni dei mobili sul tappeto del soggiorno. Con i diecimila dollari per la cattura di Morelli avrei restituito una parvenza di normalità alla mia vita, ma era pur sempre una soluzione provvisoria. Probabilmente avrei dovuto continuare a cercare un impiego.
Chi volevo prendere in giro? Ormai non c’era più posto per me nel mio campo.
Potevo continuare a dar la caccia ai ricercati, ma sembrava piuttosto rischioso, nel migliore dei casi. E nel peggiore… non volevo neanche pensarci. Oltre ad abituarmi a essere minacciata, odiata e possibilmente molestata e magari ammazzata, avrei dovuto imparare a gestire la mia attività da sola. Avrei dovuto imparare le arti marziali e alcune tecniche della polizia per neutralizzare i delinquenti. Non avevo nessuna intenzione di trasformarmi in un Terminator, ma neppure ero disposta a continuare a operare come una sprovveduta. Se avessi avuto un televisore, avrei potuto guardare le repliche dei telefilm polizieschi.
Mi ricordai di aver deciso di far installare un altro catenaccio alla porta d’ingresso e decisi di andare da Dillon Ruddick, il custode. Dillon e io eravamo amici, forse per il fatto che eravamo gli unici in tutto il condominio a credere che ci si potesse alimentare senza ingoiare pillole. Riusciva a stento a leggere i fumetti, ma con un attrezzo qualunque in mano diventava un mago. Viveva nei meandri de! palazzo, in un’atmosfera di ovattata efficienza, senza mai vedere la luce del sole. Il borbottio delle caldaie e il fruscio dell’acqua nelle tubature accompagnavano le sue giornate cantandogli una sorta di serenata in sottofondo. Dillon diceva che gli piaceva, che gli ricordava l’oceano.
«Salve Dillon», lo salutai quando aprì la porta. «Come va?»
«Bene, non posso lamentarmi. Che cosa posso fare per lei?»
«Sono preoccupata per la crescente criminalità. Pensavo che sarebbe una buona idea aggiungere un altro catenaccio alla mia porta.»
«Ottima idea», approvò lui. «La prudenza non è mai troppa. Pensi che ho appena finito di mettere un catenaccio alla porta della signora Luger. Ha detto che un paio di giorni fa, nel cuore della notte, c’era un tipo grande e grosso che strillava nei corridoi. Era terrorizzata. Forse lo ha sentito anche lei, la signora Luger abita solo due porte dopo il suo appartamento.»
Trattenni a stento un singhiozzo, conoscevo il nome di quel tipo grande e grosso.
«Cercherò di mettere il catenaccio per domani», promise Dillon. «Intanto, che ne dice di una birra?»
«Molto volentieri.»
Lui mi porse una lattina di birra e una ciotola di noccioline. Successivamente alzò il volume del televisore e insieme ci sedemmo sul divano.
Avevo messo la sveglia sulle otto, ma alle sette ero già in piedi, ansiosa di andare alla ricerca del furgone. Feci la doccia e dedicai un po’ di tempo ai miei capelli, trattandoli con gel e lacca dopo averli pettinati. Quando fui pronta, somigliavo a Cher in una giornata no. Ma Cher, anche in un momento negativo, non era niente male. Indossai l’ultimo paio di shorts puliti, il reggiseno che fungeva anche da top e una casacca con il cappuccio. Allacciai le Reebok, rivoltai i calzini bianchi e mi sentii proprio a mio agio.
A colazione mangiai fiocchi d’avena surgelati. Se andavano bene a Tony la Tigre, erano buoni anche per me. Dopo di che mi lavai i denti, misi un paio di orecchini d’oro, passai il rossetto sulle labbra ed ero pronta.
Le cicale frinivano preannunciando un’altra giornata caldissima, la rugiada del mattino fumava sull’asfalto. Uscii dal parcheggio per immettermi nel flusso del traffico congestionato sulla St. James. Avevo la mappa aperta sul sedile accanto a me, più un blocco per appunti sul quale avevo iniziato ad annotare numeri di telefono, indirizzi e altre informazioni utili.
Il palazzo di Ramirez era situato al centro dell’isolato, un edificio anonimo, circondato da una selva di abitazioni a quattro piani senza ascensore, costruite l’una accanto all’altra per i lavoratori meno abbienti. Molto probabilmente in origine erano occupate da immigrati; irlandesi, italiani e polacchi di belle speranze provenienti dal Delaware per lavorare nelle fabbriche di Trenton. Difficile dire chi vi abitasse ora. Non si vedevano vecchi seduti sugli scalini, né bambini che giocavano sul marciapiede. Due donne asiatiche di mezza età aspettavano alla fermata dell’autobus, le borse strette al petto, le facce impassibili. Non c’era nessun furgone in vista, nessun posto dove nasconderne uno. Niente garage e niente vicoli. Se Morelli sorvegliava Ramirez, doveva farlo dal retro o da un appartamento adiacente.
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