Luigi Gualdo - La gran rivale

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La luce in cui si è avvolti e che ha già potuto col suo raggio illuminare il passato e farne scordare le noie trascorse, comincia a gettare pure un raggio dorato sulla strada che ne si stende dinnanzi e crediamo allora l’avvenire fulgente di chiarore proprio, mentre è solo rischiarato dall’irradiazione dell’ora presente. Venne dunque anche per essi il momento in cui credettero di poter vivere sempre come vivevano, di poter continuare e vedersi ogni giorno come facevano, e più non prevedevano alcuna scossa, alcuna tempesta. E pareva infatti che non vi fosse nulla a temere, che nessun cambiamento fosse possibile.

Poco dopo avvenne che Alberto dovette assentarsi per qualche giorno, essendo chiamato a Modena per raccogliere la piccola eredità di una vecchia zia. – Gli addii furono lunghi e tristi; pareva partisse per il giro del mondo. Nei momenti di felicità, si teme sempre che una interruzione possa essere fatale; pare che si creda di essere stati obliati in un angolo dalla sorte, che il male non sappia più la strada e che sia d’uopo stare quatti quatti per non essere ancora notati. Dovette stare assente un po’ più di quel che credeva, e allora comprese quanto amasse Emilia, sentendo come gli fosse dura la separazione. Finalmente giunse il giorno del ritorno, gli parve che la locomotiva fosse più lenta di un ronzino di vettura, e appena giunto, senza frapporre indugio, si buttò in una carrozza, gridando al cocchiere l’indirizzo d’Emilia. Egli era inquieto non avendo mai ricevuto lettera, ma non dubitava ch’ella lo stesse aspettando; avendogli scritto che arrivava. Passò dal portinaio come al solito senza chieder nulla, ma la consorte di quell’illustre personaggio, ch’era sola nello stanzino, gli fu dietro sulla scala.

– «Ehi, ehi, signore, la signora è partita.»

Alberto si arrestò di colpo.

– «Partita?!»

– «Sì, signore, e senza dire per dove, ma credo che sia in campagna.»

Egli era annichilito e mistificato, ma non volle farsi scorgere dinnanzi alla portinaia. Escì e corse a casa, ove trovò una lettera che certo gli era stata indirizzata credendosi che la sua assenza dovesse essere più breve. Prendendola, il cuore gli batteva violentemente; temeva di aprirla. La guardò da tutte le parti; era proprio la scrittura di Emilia, fina, eguale, scorrevole, nè vi era nei caratteri alcun segno di agitazione, ma non potè leggere il nome del luogo d’onde veniva. Finalmente stracciò la busta e appena lette le prime righe impallidì:

«Alberto, piango scrivendoti e non so come incominciare a dirti tutta la disgrazia che ne colpisce. Mi pare quasi che sia impossibile e vi sono dei momenti in cui mi abbandono alla speranza che tutto sia un sogno. Ti scrivo da una casa di campagna della famiglia di mio marito. Come sai, egli era da lunghissimo tempo in poco buona armonia con essi, al punto che io quasi non li conosceva: vi era sempre stato disparere fra di loro su tutte le quistioni possibili, inoltre la vita che mio marito conduceva non garbava punto alla madre, nè ai fratelli, ed essi temevano sempre ciò che infatti avvenne. Da un giorno all’altro tutto cambiò. La riconciliazione fu fatta senza che io ne sapessi nulla, essendo forse preparata già da qualche tempo senza che nulla trapelasse; il fatto stà che O***, il quale da alcuni giorni mi teneva spesso compagnia, pareva volesse mettersi meco in migliori termini e mi parlava con un tono dolce che non gli conoscevo, d’improvviso mi annunciò ch’egli era perfettamente riconciliato sotto tutti i rapporti con casa sua, dicendomi che da molto tempo lo bramava ardentemente, essendo insopportabile al suo cuore tale separazione (del che non mi ero mai accorta). Soggiunse poi: «la bella stagione comincia e andremo a star con loro in campagna; ho bisogno di riposarmi da tutte queste noie.» – Io impallidii e non seppi dire una parola. Cercai prestamente una scusa, un pretesto, un motivo, un rifiuto possibile, lo cercai come un naufrago cerca un pezzo di legno per attaccarsi – non trovai nulla. E risposi delle parole incoerenti in senso affermativo, non sapendo quello che mi dicessi, e cercando di dissimulare la mia confusione. Capisci tutto il male che questo cambiamento racchiude per noi? Capisci quanto l’avvenire si fa buio, quanto la strada diventa ardua e difficile? Io era come pazza; mi rinchiusi nella mia stanza e piansi, ma poi dovetti fingere, perchè non gli venga il sospetto che non gli è mai venuto finora. Qui fui accolta freddamente da mio suocero e dalle mie cognate, tutta gente che detestai cordialmente al primo vederli: e dovetti fingere e fingere sempre, ed esser gentile e sorridere e ascoltare delle conversazioni stupide, noiose, interminabili, rispondere affabilmente, e rendermi amabile e interessarmi a delle cose di cui non m’importa uno zero – e non mi resta quasi che la notte in cui posso pensare a te e scriverti e piangere. Chi sa quando questo esilio finirà, ma e dopo? Ah! sento che i tempi felici sono passati! Mio marito è sempre con me e parla di stare tutti insieme, ora che la pace è fatta, dicendo: «staremo assai meglio e spenderemo meno». Ma e tu allora? Non potrai più venire come prima. Chi lo avrebbe detto? Già, quando sei partito, ho avuto una specie di presentimento. Mi sento mancare le forze quando penso quanto tempo dovremo stare ancora senza nemmeno vederci. Se sapesti come ti voglio bene! Tu mi hai salvato da me stessa, mi hai tolto a tutte le mie tristezze, a tutte le mie noie, mi hai consolata di tutto. Hai per un momento irradiato di felicità la mia vita, ed ora tutto ritorna nelle tenebre. Mi amerai sempre, a qualunque costo, di faccia a qualunque avvenimento? Non posso ancora dirti di scrivere, non sapendo come tu lo possa fare senza svegliare i sospetti; ma ti avviserò appena avrò saputo combinare qualcosa. Addio, scusa l’incoerenza delle mie parole, sono abbattuta e istupidita. Eravamo troppo felici. Chi sa che avverrà di noi! Ricordati però che non m’importerebbe nulla se fossi sicura che tu non cambierai mai. Ti mando tutto l’amore di cui ho il cuore pieno per te.»

La lettura di queste righe produsse in Alberto quell’effetto di prostrazione che segue la notizia d’una sventura inattesa. Avere travisto una felicità che gli sembrava completa, avere diffidato e temuto, poi irresistibilmente attirato non aver potuto più lottare, e appena accortosi che il disinganno aspettato e temuto non giungeva, rallegrandosi della propria debolezza, veder d’improvviso cadere tutto l’edifizio di felicità come un mazzo di carte al primo urto! Cosa era stato necessario per interrompere la sua vita? semplicemente che al signor O*** venisse l’idea suggerita dall’interesse di riconciliarsi con casa sua.

A che serve lusingarci sui particolari, a che serve raccontare giorno per giorno come furono condotti a poco a poco all’alternativa o di dover rinunziare al loro amore o di dover perder tutto il resto per conservarlo? Per qualche tempo sperarono che la separazione finirebbe, che una volta ritornata si potrebbe ripigliare la vita di prima. Ma il progetto esposto nelle lettere di Emilia fu da suo marito posto in esecuzione, e tornando in città continuarono a stare insieme. O*** subaffitò il proprio appartamento e andò a stare in casa de’ suoi. Vedersi come prima era impossibile, ed ora dovettero conoscere tutte le amarezze, tutte le noie, tutte le paure della passione contrastata. Qualche tempo passò così e allora compresero quanto si amavano; poichè se il loro amore fosse stato vincibile e passeggero, a poco a poco la loro nuova vita sarebbe diventata abitudine, e gettando pure un occhio triste verso il passato, avrebbero potuto continuare così. Ma non si abituarono mai alle dure esigenze del cambiamento. Per di più, com’era inevitabile, O*** cominciò a sospettare qualcosa e la situazione divenne davvero intollerabile.

Allora – come d’un tratto uno spostamento di nubi cambia l’aspetto del cielo – tutte le idee preconcette di Alberto svanirono, tutti i suoi proponimenti caddero, tutte le sue teorie cambiarono. Capì che non si può fare una casistica della passione, e che se l’amore ci ha afferrato, egli è il padrone talvolta e ne può condurre dove meglio gli aggrada. Ciò che prima gli pareva il più grande degli errori, gli sembrava invece l’unica verità, il partito peggiore si era fatto subitamente il migliore ai suoi occhi, considerava ora la sola via che gli rimanesse quella che prima gli appariva coperta di triboli. Tutti i partiti estremi dinanzi ai quali – trovandoli nei libri – soleva prima crollare il capo o sorridere di un sorriso triste, ora capiva che talvolta è forza l’appigliarvisi.

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